L’edificio di Alicante che si ispira ad una cicala

Un edificio ispirato alle forme di una cicala trova spazio nel Comune di Alicante, nella Comunità Valenciana, in Spagna, inserito in adiacenza del “Centro Cultural Las Cigarreras”, il più grande spazio culturale della città, composto da un edificio per mostre di arte contemporanea, una casa della musica, un edificio dedicato al patrimonio culturale della città e un giardino verticale.

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Il luna park tra i boschi è ad energia zero: lo azionano i visitatori

Nonostante ci troviamo nell’epoca in cui per divertirsi si usa il pc, la Playstation, la tv e altri dispositivi elettronici infernali che contribuiscono a far lievitare l’importo della bolletta, c’è qualcuno, a Treviso, che sembra apprezzare anche attrazioni alternative. A dimostrarlo è il parco divertimenti “Ai Pioppi” di Nervesa di Battaglia, nel trevigiano, che a poco tempo dall’apertura è già in grado di vantare un boom di visitatori attratti dall’idea di un Luna Park funzionante ad energia zero.

ENERGY CAROUSEL: LA GIOSTRA AD ENERGIA CINETICA 

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Divertimento a energia zero: il luna park nel bosco

Il parco divertimenti sorge in una foresta fitta e rigogliosa, caratteristica che ha suggerito il nome, “Ai Pioppi”. Le attrazioni che lo compongono non sono collegate all’energia elettrica, ma la loro “vita” è diretta conseguenza della forza motrice prodotta dai visitatori che si divertono con esse. 

Il Luna Park si compone di 50 giostre, da quelle più tradizionali come le catenelle, il pendolo, gli scivoli e le altalene, a quelle più originali e innovative. Una delle attrazioni si presenta, addirittura, come un omaggio all’uomo vitruviano, essendo caratterizzata da un anello con dei fermi in corrispondenza dei quadranti a cui vengono fissati mani e piedi dei visitatori per lasciarsi andare all’oscillazione e al divertimento. 

L’ideatore delle attrazioni a energia zero è Paolo Schiavetto, disegnatore tecnico locale, capace di trasformare un concetto in realtà assicurandosi, preventivamente, della sicurezza delle giostre che hanno permesso al parco divertimenti di essere inserito dalla rivista The Guardian tra le dieci attrazioni più bizzarre fatte a mano del mondo.

caption: foto di Osteria Ai Pioppi

caption: foto da idealista.it

La storia del Luna Park “Ai Pioppi” parte da Disneyland

Il Luna Park non presenta solo la particolarità di essere interamente eco-friendly e sostenibile dal punto di vista energetico, ma incuriosisce anche per via della sua storia. Il fondatore Bruno Ferrin, già proprietario di un’osteria in zona, ebbe l’idea dopo essersi reso conto che, quando ci si reca in un parco divertimenti come Disneyland o Gardaland e si sale sulle giostre, si viene imbracati e si vive l’attrazione in modo alquanto passivo. Di qui l’idea: creare un parco giochi in cui i visitatori non salgono sull’attrazione in azione per divertirsi, ma si divertono mettendo in azione l’attrazione.

La cellula da cui ha avuto origine l’intera struttura è stata una semplice altalena che Ferrin si era messo in testa di costruire accanto all’osteria di famiglia. Poi, visto il successo del piccolo gruppo di giostrine, il progetto si è esteso sempre di più, entrando nel cuore della foresta in cui svettano pioppi, ovviamente, castagni, olmi, faggi e betulle e diventando un posto costantemente frequentato da chi ha il desiderio di vivere un’esperienza diversa da tutte le altre.

Un ulteriore punto di forza del parco, oltre al divertimento “attivo” assicurato dal funzionamento delle giostre che le compongono, è costituito dai suoi costi contenuti, soprattutto per chi decide di pranzare all’osteria. Per questi ospiti, in particolare, l’ingresso è gratuito. 

caption: foto da idealista.it

Nel verde del bosco si sviluppano percorsi su ponti sospesi, composti semplicemente da assi di legno e funi, reti elastiche, liane, carrucole con funi, altalene, girotondi e scivoli. A queste attrazioni si accostano giostre di taglia maggiore, come pendoli e strutture azionate tradizionalmente con energia elettrica e che, in questo caso, non consumano neppure un centesimo. Tutte le giostre sono perfettamente in sicurezza e costantemente controllate dal personale.

A pochi mesi dall’apertura il parco di ad energia zero vanta già 50 mila visitatori all’anno e le previsioni delle presenze sono più che rosee, vista l’accoglienza calorosa che il luna park “Ai Pioppi” ha ricevuto da parte dei chi ne ha anche soltanto sentito parlare. 

Per l’Italia è motivo di orgoglio avere, nel proprio territorio, un parco giochi che, diversamente da quelli esistenti, si preoccupa di produrre energia pulita e priva di sfruttamenti di qualsiasi genere. Il tipo di sostenibilità promosso da questo progetto si può definire a 360 gradi, abbracciando l’aspetto ambientale, quello economico e, non meno importante, quello sociale. Le giostre, infatti, essendo azionate dall’attività di chi si sta divertendo con esse, spinge gli ospiti a interagire e a collaborare per un obiettivo comune, il movimento e il funzionamento della giostra eco-friendly e, più in generale, friendly.

caption: Ragazzo al parco di avventura © Noblige, via Dreamstime.com

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Ristrutturazione casa: quanto costa?

La ristrutturazione della propria casa è una scelta importante. Sia che si decida di acquistare un nuovo immobile che si voglia adeguare la vecchia casa alle nuove esigenze o alla normativa, ristrutturare comporta una spesa aggiuntiva per il bilancio familiare.

Ma quanto costa ristrutturare casa

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Perché si ristruttura

La ristrutturazione della casa non risponde solo a motivi estetici, all’esigenza di modificarne l’organizzazione interna per assecondare il mutare delle esigenze di chi la abita o alla volontà di rivoluzionarla per incontrare una tendenza in fatto di interior design. Accade spesso che gli interventi di ristrutturazione siano necessari per motivi tecnici: ad esempio per adeguarla alle norme antisismiche, per eliminare le barriere architettoniche, o per renderla più efficiente dal punto di vista energetico.

Se l’obiettivo principale è quello di ristrutturare casa per migliorarne l’efficienza energetica, ci si potrebbe avvalere degli incentivi per cui il costo reale della ristrutturazione (cioè il costo sostenuto al netto dei rimborsi IRPEF) potrebbe abbassarsi. 

Gli interventi di riqualificazione energetica volti a migliorare l’efficienza degli elementi dell’involucro degli edifici esistenti sono soggetti a detrazioni fiscali del 36%.

Approfondimento: Riqualificazione energetica: detrazioni fiscali ed incentivi

Qualunque sia il motivo per ricorrere a dei lavori di ristrutturazione, ci sarà una spesa da affrontare per avere una casa più luminosa, trendy, efficiente, confortevole.

Il budget per la ristrutturazione

Il problema del budget andrebbe affrontato a priori, fissando un tetto di spesa e scegliendo lavorazioni e materiali sulla base dell’ammontare massimo che si è disposti a spendere.

La posizione dell’immobile non è un aspetto da sottovalutare. La sua collocazione geografica incide non poco sui costi di ristrutturazione. È infatti calcolato che tra Nord, Centro e Sud d’Italia ristrutturare casa ha costi diversi e, a parità di lavorazioni, si può arrivare anche a 6.000 euro di differenza sul costo totale, passando da un costo di 633 euro/mq per una ristrutturazione da effettuare a Venezia contro i 566 euro/mq per un identico intervento da effettuarsi a Napoli.

È sempre importante avvalersi di un tecnico qualificato che ci consigli su cosa intervenire, come farlo e ci aiuti ad individuare la ditta più competente a cui affidare i lavori di ristrutturazione. La preventivazione sarà una prima linea guida per il mostro tecnico, per ripartire le spese e investire su materiali ed impianti di buona qualità e a portata di budget.

La scelta della ditta a cui affidare lavori costa tempo e denaro. Fissato il tetto di spesa massimo, il preventivo steso dall’azienda potrebbe essere una discriminante fondamentale nella scelta della ditta che eseguirà la ristrutturazione.

Se le idee sui lavori da effettuare sono abbastanza chiare, potrebbe essere utile ricorrere ad un comparatore di prezzi, facile da trovare digitando poche parole chiave nei motori di ricerca. I prezzi varieranno molto in base ai metri quadri da ristrutturare, alla tipologia di abitazione e al suo stato di conservazione, da cui dipenderà l’entità dei lavori.

Da considerare è ancora una volta il ricorso alla rete. Un servizio online, come quello offerto da Edilnet, può venirci in soccorso, richiedendo fino a 4 preventivi gratuiti e senza impegno dalle aziende presenti in zona. Per avere un preventivo occorrerà descrivere il servizio richiesto nei dettagli e saranno le ditte, in competizione, a proporre una stima dei costi di intervento. Giardino, infissi, impianti, ristrutturazioni e traslochi, ogni tipo di lavoro necessario potrà essere commissionato in pochi minuti scegliendo l’azienda più adatta consultando le valutazioni lasciate da altri utenti che hanno già usufruito del servizio.

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University Island: il concorso per il campus sull’isola abbandonata di Poveglia

Poveglia, isola dell’arcipelago veneziano, che dal 1380 ha assistito ad un lento e costante abbandono, sarà l’oggetto di un concorso per la realizzazione di un nuovo campus universitario.

Affascinante e misteriosa, complici i mancati collegamenti con la terra ferma, l’isola è oggi abbandonata e preda di una fittissima vegetazione, che ne nasconde le coltivazioni e le architetture.

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Poveglia, dall’aspetto incantato e melanconico, ha recentemente suscitato un rinnovato interesse da parte di privati ed amministrazioni, che intendono pensare ad un nuovo utilizzo dell’isola.

YAC, Young Architecture Competition, sulla scia della riqualificazione dell’isola, ha proposto di trasformarla in centro della cultura Veneta, realizzandovi un nuovo Campus Universitario in cui concentrare attività di tipo didattico e formativo, extra curriculare, di svago e riposo per i numerosi studenti che scelgono l’ateneo veneziano per i propri studi universitari.

L’arduo compito di immaginare la trasformazione di un’isola abbandonata in polo culturale è affidato ai partecipanti della competizione University Island”, bandita da YAC in collaborazione con RIAM. Ai partecipanti è richiesto di ripensare la partecipazione universitaria come una nuova esperienza a 360 gradi, che vada oltre le mere attività didattiche, di legare fortemente il costruito con il paesaggio naturale dell’isola e le preesistenze architettoniche, di progettare un complesso quanto più possibile autosufficiente.

Gli spazi da prevedere necessariamente nel progetto con cui partecipare al concorso di University Island saranno aule e laboratori, uffici di ateneo, biblioteca e sala lettura, mensa ed area ristoro, residenze per studenti, spazi espositivi e polivalenti, dotazioni sportive, un auditorium. 

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Iscrizioni, giuria e premi

Ci si può iscrivere per partecipare alla competizione University Island entro il giorno 8 Giugno 2016.

Gli elaborati devono essere consegnati entro e non oltre il 15 Giugno 2016.

In giuria, Peter Cook di Crab studio, Patrick Luth di Snohetta, Iannis Kandyliaris di BIG, Francesco dal Co di Casabella, Pierluigi Cervellati di Studio Cervellati e Associati, Alberto Ferlenga di IUAV, Andrea Boeri di Unibo, Alessandro Marata di CNAPPC e Francesca Graziani dell’Agenzia del Demanio, assegneranno i 3 premi, 4 menzioni gold e 10 menzioni d’onore.  Per i primi tre classificati è previsto un premio economico rispettivamente di 10 mila, 4 mila e 2 mila euro, mentre per le 4 menzioni gold è previsto un premio di mille euro ciascuna. Tutti i progetti premiati, comprese le 10 menzioni d’onore ed i 30 finalisti, riceveranno un anno di abbonamento alla rivista Casabella.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC

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Nasu Tepee: la casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

Nasu Tepee è una residenza privata realizzata nel 2013 e progettata dallo studio giapponese Hiroshi Nakamura & NAP nella prefettura di Tochigi, sull’isola di Honshu in Giappone. Completamente immersa nei boschi, la casa sorge in uno dei luoghi giapponesi più conosciuti per la villeggiatura estiva.

Passando attraverso i campi, una strada forestale conduce ad un boschetto di alberi misti. La posizione privilegiata in stretto contatto con la natura è stata scelta dai proprietari, una giovane coppia che nel fine settimana ama dedicarsi all’agricoltura organica e produrre da sé verdure fresche, con la volontà di preservare il più possibile l’ambiente circostante.

VACANZE NELLA NATURA IN PICCOLE CASE MOBILI

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La casa-tenda immersa nei boschi giapponesi

La casa Nasu Tepee è composta da un unico corpo di 186 metri quadrati, si articola in volumi composti da grandi falde che vanno da cielo a terra generando ambienti dal forte andamento verticale, scelta progettuale legata a due aspetti molto importanti, il primo relativo all’ubicazione: la forma allungata e piramidale segue l’andamento dei tronchi e dei rami, in modo da poter costruire la casa senza dover compromettere la natura circostante.

L’accentuata verticalità della casa-tenda, oltre a sottolineare l’aspetto peculiare del paesaggio giapponese in cui è immersa, serve per poter captare più luce naturale possibile. Diversi lucernari, studiati ad hoc per ogni stanza, creano dei vuoti in questi grandi tetti portando la luce naturale dei boschi all’interno della casa. Si generano dei tagli di luce che caratterizzano le diverse prospettive degli ambienti, essenziali e minimalisti, in cui la luce diventa uno degli elementi protagonisti. L’inclinazione diagonale è studiata in base ai movimenti delle persone all’interno dell’edificio, con altezza massima di 8 metri e minima di 2,60 metri. Il soffitto scende come una tenda da campeggio e consente la creazione di uno spazio di vita caldo che si confonde con gli alberi. La struttura della Nasu Tepee è in legno, le stanze sono collegate tra loro tramite varchi triangolari.

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L’altezza ed il posizionamento delle aperture della casa-tenda sono stati studiati per generare un effetto camino che permette il ricambio di aria e il raffrescamento estivo. Le falde diventano l’involucro stesso dell’edificio, in alcuni punti si trasformano in una doppia pelle che permette di riutilizzare il calore interno.

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La rinascita del complesso rurale di Casa Salina

Immersa nella campagna siciliana poco distante dalla città di Scicli in provincia di Ragusa sorge Casa Salina: un tempo complesso rurale edificato nel XIX secolo, oggi residenza estiva. La rinascita è avvenuta grazie ad un sapiente lavoro di squadra. Gli architetti Viviana Pitrolo e Francesco Puglisi hanno collaborato con la paesaggista Maria Giardina e con gli ingegneri Raffaele Campo e Giorgio Scrofani, rispettivamente impiantista e strutturista, al fine di mitigare le nuove esigenze abitative con le forme e i materiali della tradizione iblea.

UN FRANTOIO PUGLIESE TRASFORMATO IN CASA VACANZE DI LUSSO

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Il volume originario del complesso rurale è rimasto inalterato ed è composto da alcuni corpi di fabbrica accostati dalle altezze ridotte. La muratura è in pietra locale e i tetti, in parte piani e in parte a doppio spiovente, sono in legno. Casa Salina si dispone in parte su di un unico livello e in parte su due. La zona giorno e due camere con rispettivi servizi sono collocati al piano terra, che si apre da un lato verso la campagna e dall’altro verso il baglio, mentre al primo piano sono collocate altre due stanze da letto con i rispettivi spazi adibiti a servizio.

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Negli ambienti interni di Casa Salina le finiture originarie e i materiali locali si coniugano con arredi moderni. La muratura è stata lasciata a vista quasi in ogni ambiente: l’intonaco e i rivestimenti in gres porcellanato sono stati applicati solo nei locali di servizio. I pavimenti sono in basole di pietra calcarea e i nuovi serramenti sono in legno per non alterare la composizione delle facciate dell’abitazione rurale. 

Una serie di muri a secco di altezze differenti delimitano la proprietà e il baglio all’interno del quale è stata realizzata una piscina a sfioro. Il giardino, che si espande intorno al complesso, è stato piantumato prendendo in considerazione solo essenze originarie del luogo: ulivi e alberi di carrubo si alternano tra le aiuole e i percorsi disegnati nel prato con pietre calcaree.

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Il giardino sul tetto della stazione: Crossrail Place di Foster + Partners

Da tempo ormai, l’immagine di Londra non è più soltanto legata alla storia ed ai suoi monumenti. Big Ben, Westminster, Buckingham Palace e Tower Bridge restano le attrazioni turistiche per eccellenza, ma stanno pian piano lasciando spazio alla Nuova Londra, costruita da maestri e archistar dell’ultima generazione. La stazione di Crossrail Place a Canary Warf progettato dallo studio Foster + Partners è uno dei simboli della nuova città, con il suo giardino sul tetto già ultima e visitabile.

IL GIARDINO TROPICALE DELLA STAZIONE ATOCHA RENFE DI MADRID

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Viaggiando in questa strabiliante città, si ha l’occasione di assaporare una realtà completamente diversa da quella italiana. Tutto a Londra è architettura, innovazione, ricerca. Perdersi per le sue strade oggi vuol dire anche attraversare aree circondate da cantieri in corso, nuove costruzioni che si affiancano a quelle esistenti o che sempre più spesso ne prendono il posto per contribuire al cambiamento ed alla nuova immagine di Londra.

L’area di Canary Wharf è una delle aree che negli ultimi anni ha consolidato la sua immagine e che si propone come una delle tappe obbligate per chi decide di visitare la Londra contemporanea.

A Canary Wharf, la prima parte del complesso Crossrail è stata finalmente aperta al pubblico: si tratta di una delle 40 stazioni della rete di collegamento fra l’est e l’ovest della città di Londra, progettata dallo studio di architettura Foster + Partners.

L’edificio sostenibile chiamato Crossrail Place ospita un centro commerciale che arricchirà la zona tra il quartiere residenziale e quello finanziario. L’intero complesso sarà costituito da un edificio a 7 piani che si estenderà per circa 300 metri lungo il molo. La conclusione è prevista entro il 2018 ed oltre alla stazione, ci saranno negozi, cinema, ristoranti, caffè e un giardino sul tetto.

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Sono stati inaugurati 4 piani del Crossrail Place tra cui l’ultimo, dove trova collocazione il meraviglioso giardino disegnato dallo studio londinese Gillespies, specializzato in progettazione del verde, che offre una passeggiata panoramica in un bellissimo giardino protetto dalle piogge londinesi. “Il disegno del giardino risponde al linguaggio architettonico del tetto nella creazione di un ambiente adibito a parco originale e riparato. Offrirà ai visitatori un punto di vista del tutto nuovo per guardare i canali e la zona circostante”. Ha spiegato uno dei partner dello studio Gillespies che ha collaborato al progetto con Foster + Partners.

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Passando attraverso ponti di collegamento è possibile l’accesso a questo suggestivo mondo verde popolato da essenze vegetali originarie dei paesi visitati dalla Gran Bretagna durante le esplorazioni marittime: le essenze scelte per il giardino sul tetto del Crossrail Place di Foster, infatti, sono state selezionate per ricordare l’ambiente marittimo della zona e provengono dai paesi visitati dagli inglesi nel XIX secolo per commerciare le navi che furono costruite nei magazzini della zona della stazione dalla West India Dock Company. Questi tre depositi furono abbandonati nel 1960 fino alla chiusura del 1980, con il piano per riqualificare la zona e farne un polo finanziario.

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Il parco che sovrasta la costruzione di sette piani di Foster + Parners è coperto da una struttura in legno lamellare che mediante moduli triangolari consente il posizionamento delle lastre di ETFE, etilene-tetra-fluoro-etilene, una plastica autopulente e riciclabile che non ostacola l’ingresso delle componenti dello spettro luminoso che servono alla crescita delle piante del tetto verde. La copertura della stazione è, inoltre, aperta al centro per il passaggio di luce, aria e acqua meteorica.

L’effetto è davvero suggestivo sia per il contrasto con l’architettura circostante di vetro e acciaio che per la tranquillità che emana il giardino del Crossrail Place, facendo da contrappunto al rumore della metropoli all’esterno.

Un modo tutto nuovo per guardare Londra con occhi diversi.

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La scuola materna che insegna a coltivare: Nursery Fields Forever

Non si è mai troppo piccoli per imparare ad occuparsi delle piante e degli animali. È questa il motto della Nursery Fields Forever, l’asilo dove si impara anche a coltivare l’orto, progetto vincitore del concorso di idee londinese AWR International Ideas Competition. L’obiettivo dell’iniziativa è stato quello di trovare una proposta interessante e innovativa per una nuova scuola materna nella città di Greenwich, alle spalle della più famosa accademia di danza Laban Centre, firmata da Herzog & De Meuron. 

E così, dopo gli asili nido nel bosco, le fattorie didattiche e altri esperimenti progettuali nati con l’intenzione di portare sin da subito i piccoli a contatto con la natura, nasce la scuola che inizia all’agricoltura, che riesce a mixare perfettamente l’agricoltura urbana, la pastorizia e l’istruzione materna.

FATTORIE URBANE: A SINGAPORE ORTI E ALLOGGI PER GLI ANZIANI

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La scuola che insegna a coltivare: un team tutto italiano

Il tema del concorso lanciato da AWR e che ha visto trionfare il progetto della scuola materna Nursery Fields Forever è attuale più che mai. Al giorno d’oggi i bambini, che dovrebbero essere lasciati liberi di vivere la propria innocenza e la propria ingenuità, oltre che la spensieratezza tipica della loro tenera età, vengono costantemente spinti nell’inferno della tecnologia. In questo modo i piccoli tendono ad allontanarsi sempre più dalla natura e a cercare sempre meno nuove tecniche per curarla e, soprattutto, per rispettarla. In questo scenario, se il presente appare triste, ancora peggio sembrerebbe il futuro che, molto probabilmente, verrà lasciato nelle mani di giovani, ora bambini, incapaci di comprendere fino in fondo quanto è stata buona e clemente con l’uomo Madre Natura e inadatti ad impegnarsi per sfruttare le risorse naturali a loro disposizione rispettandone l’essenza. 

È per questo motivo che il team tutto italiano, precisamente romano, composto da Edoardo Capuzzo Dolcetta, Gabriele Capobianco, Davide Troiana e Jonathan Lazar per per la scuola materna di Greenwich ha pensato di presentare un progetto forte e innovativo, nato dall’intenzione di preservare l’infanzia dei bambini, ma anche la bellezza della natura. L’asilo con il suo orto didattico insegna ai piccoli umani a coltivare il giardino imparando così la reale provenienza del cibo. 

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I tre principi della scuola “agricola”

Secondo i componenti della squadra vincitrice, l’istruzione materna dovrebbe avere tre approcci paralleli: imparare dalla natura, imparare dalla tecnica, imparare dalla pratica. È soprattutto quest’ultimo principio a fare la differenza, a guidare verso una progettazione che permetta ai piccoli di comprendere, praticamente, un aspetto molto importante della vita dell’uomo, qualunque sia la sua età: la provenienza del cibo che si mangia

Il progetto Nursery Fields Forever, infatti, non prevede aule chiuse e tutte uguali tra di loro, ma ampi spazi aperti, adibiti a coltivazione di verdure e ortaggi, oltre che a pascolo per gli animali che si aggirano liberi tra una pianta e l’altra. In queste macchie verdi si inseriscono delle strutture coperte, con tetto a doppia falda, caratterizzate da ampie vetrate rivolte verso il paesaggio naturale circostante. Questi spazi sono destinati alle attività da svolgere al chiuso, quando le condizioni climatiche e le temperature non permettono di godere appieno della bellezza dell’aria aperta. 

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Imparare a coltivare a scuola: sostenibilità ambientale e sociale

La Nursery Fields Forever rappresenta un manuale di buon comportamento per i bambini nei confronti del pianeta, un memorandum su come agire rispetto a quella natura così benevola da offrire, a loro e alle famiglie, cibo da mangiare, animali da accudire, energia per sopravvivere. I bambini, infatti, oltre alle attività tipicamente agresti, come la coltivazione dell’orto e la cura degli animali, saranno introdotti anche al tema dell’energia rinnovabile. Gli allievi dell’asilo scopriranno il potere nascosto del vento e del sole, imparando il funzionamento delle turbine eoliche e dei pannelli fotovoltaici installati in loco.

Ma la Nursery Fields Forever è anche e soprattutto un progetto che punta alla sostenibilità sociale. Collaborando con i compagni nella cura di piante e animali presenti nella “scuola-fattoria”, infatti, i bambini avranno la possibilità di socializzare, di imparare l’importanza di lavorare insieme, di cooperare, di comunicare e di aiutarsi a vicenda per raggiungere un obiettivo comune, quello di coltivare la pianta o di accudire l’animale in questione.

Conseguenza diretta di questo metodo di insegnamento è la presa di coscienza, da parte dei piccoli, delle proprie capacità. Tutti possono occuparsi della natura se correttamente istruiti e disposti a dedicare il proprio tempo a questa attività. La Nursery Fields Forever vuole formare piccoli eroi, bimbi dall’autostima ben sviluppata e consapevoli dell’importanza di quello che imparano nella scuola materna.

Il progetto non è ancora stato realizzato e già piace a tutti, come dimostra la vittoria del concorso per il team che l’ha partorito, ma la speranza comune è che questi bimbi, una volta terminato l’asilo e conosciuto il mondo delle “scuole tradizionali”, non dimentichino quello che hanno imparato e che, al contrario, da adulti, ne facciano tesoro, dimostrando al mondo intero come si può iniziare a rendere migliore il modo in cui si vive già da quando si è ancora bambini.  

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Michael Reynolds per la prima scuola sostenibile in Uruguay

Riciclo, riuso e recupero sono le parole chiave che meglio descrivono i progetti Michael Reynolds, ma la sua ultima opera in Uruguay vanta un primato che la rende un modello da seguire: “Una escuela sustentable è la prima scuola completamente ecosostenibile del paese, costruita secondo i consolidati criteri della Earthship Biotecture.

In copertina: immagine da UnaEscuelaSustentable.uy

LE EARTHSHIP DI MICHALE REYNOLDS: ABITAZIONI CON PNEUMATICI E LATTINE

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Per molti Paesi nel mondo non sembrerebbe una novità la realizzazione di un edificio interamente sostenibile e autosufficiente, grazie alla capillare diffusione della progettazione secondo regole rispettose del pianeta. Per l’Uruguay, invece, la situazione è un po’ diversa. Soltanto da pochi giorni, infatti, lo stato sudamericano può vantare nel suo territorio un edificio, ancora in fase di realizzazione, sostenibile, autosufficiente e basato sul concetto del riciclo.

Una escuela sustentable è un progetto firmato dall’architetto Michael Reynolds che si fonda sulle tre “R” di Riciclo, Riuso, Recupero per dare vita ad una scuola ottenuta dall’applicazione di materiali altrimenti destinati allo smaltimento e al deperimento. Il progetto vanta la proposta della prima scuola al 100% ecosostenibile nell’Uruguay

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Michael Reynolds per la sostenibilità in Uruguay

Michael Reynolds, fondatore dell’associazione a scopo umanitario Earthship Biotecture, si reca a Jaureguiberry e decide di costruire un edificio per i bambini del luogo, così che anche loro possano avere un’istruzione adeguata e uno spazio dove potersi dedicare alle attività proprie della loro età. 

L’edificio si trova in una zona completamente rurale e, proprio per questo, ha come obiettivo quello di far crescere i bimbi a diretto contatto con la natura. Non a caso, prima di procedere alla realizzazione della scuola, il progetto è stato presentato a insegnanti, genitori e abitanti di Jaureguiberry attraverso una serie di conferenze e workshops volti a sensibilizzare la popolazione rispetto ai principi del riciclo e del riuso da applicare all’architettura. Il coinvolgimento degli abitanti della piccola cittadina di appena 500 anime, inoltre, non si è limitata all’aspetto “teorico”, ma si è esteso anche alla partecipazione attiva alla costruzione e al reperimento dei materiali costruttivi. I “rifiuti” impiegati per la realizzazione dell’edificio, infatti, sono quegli stessi rifiuti che, quotidianamente, le famiglie di Jaureguiberry producono e inviano allo smaltimento.

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I materiali di riciclo della scuola di Reynolds

Una escuela sustentable ha un’ampiezza di 270 metri quadri per ospitare ben 100 bambini all’anno. La sua struttura è costituita da pneumatici, bottiglie, lattine e cartoni riciclati abbinati a terra cruda e legno. La sua copertura prevede l’installazione di pannelli solari e di mulini del vento che permetteranno all’edificio di produrre energia elettrica e di presentarsi come un sistema completamente autosufficiente. Il progetto inserisce, inoltre, un apposito sistema di raccolta e ricircolo dell’acqua oltre ad una serra utile alla coltivazione di specie vegetali fruttifere e alla produzione di cibo. 

La costruzione dovrebbe durare circa 7 settimane, durante le quali si alterneranno gruppi di operai uruguaiani e volontari provenienti da tutto il mondo desiderosi di imparare e applicare il metodo costruttivo promosso dall’associazione di Reynolds. 

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Earthship Biotecture

Earthship Biotecture, attraverso le earthship (ovvero “navi della Terra”), si impegna a realizzare, grazie al contributo di volontari provenienti da tutto il mondo, case bio, autosufficienti ed ecosostenibili nei punti più disagiati della terra. 

L’obiettivo dell’associazione è di fornire un servizio assente nel luogo coinvolgendo le popolazioni locali e, soprattutto, sensibilizzando a quella che non è una semplice tecnica costruttiva ma un vero e proprio stile di vita. Il ricorso a materiali di scarto, infatti, è frequente nelle costruzioni di Earthship Biotecture, che punta buona parte del suo programma sulla sostenibilità economica, oltre che ambientale e sociale

Con questa nuova sfida, il progetto di Una escuela sustentable, l’associazione e, soprattutto, il suo fondatore si sono caricati di una missione speciale, che va ben oltre la semplice realizzazione di una nuova scuola: l’obiettivo è quello di dare un’opportunità migliore ai ragazzini della città, ma anche a genitori, insegnanti e abitanti tutti, offrendo loro l’occasione di imparare non soltanto dai libri che si leggono a scuola, ma anche dalla costruzione della scuola stessa. 

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FONTE IMMAGINI

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http://lapalomahoy.uy/05-2015/resize_1431473128.jpg

http://arq.clarin.com/arquitectura/MIKE-REYNOLDS-arquitecto-permanecera-Uruguay_CLAIMA20150904_0162_8.jpg

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http://www.entornointeligente.com/images-noticias/2016/02/shaune-fraser-URUGUAY–Una-escuela-hecha-con-lo-que-la-gente-tira.jpg

http://neturuguay.com/wp-content/uploads/2015/08/becas-formacion.jpg

http://www.risparmio-energetico.com/IMG/arton502.jpg

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Cohousing nel bosco: vivere insieme nella natura

Vivere insieme, coabitare, condividere vita ed esperienze. Sì, ma in un bosco. A due passi da Torino è stato infatti presentato dall’associazione CoAbitare, in collaborazione con la cooperativa Sumisura, un progetto di cohousing nel bosco di Reaglie, che si pone l’obiettivo di realizzare molto concretamente un percorso di vita immerso nella natura, con momenti di collaborazione e di condivisione degli spazi e delle risorse, pur mantenendo un forte legame di vicinanza con la città poco distante.

COHOUSING: VIVERE INSIEME A BASSO IMPATTO NEL REGNO UNITO

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Il cohousing in Italia

La coabitazione in Italia è ancora una realtà marginale perché non si è ben compreso che il modo in cui una società abita non è un dogma indiscusso ma un processo in costante evoluzione. Le configurazioni architettoniche dei condomini urbani si conciliano poco con la logica del vivere partecipato; formare un gruppo di persone capaci di coabitare, richiede conoscenza, formazione e adeguamento reciproco. In uno spazio condiviso, infatti, socialità, vivibilità e sostenibilità si compenetrano e le persone si aiutano reciprocamente, compiendo scelte autonome ma orientate al bene comune.

L’associazione CoAbitare, dopo aver avviato alcune esperienze di cohousing in città, si avvia ora a questo nuovo progetto in mezzo al verde della natura.

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Il progetto del cohousing nel bosco

L’edificio è collocato in un’antica vigna del settecento e sorge in un parco di 88.000 mq, uno dei più grandi parchi privati del comune di Torino, a pochi chilometri di distanza dal centro della città. In questo modo i cohousers potranno mantenere stretti contatti con l’area urbana e creare sinergie con privati e associazioni per lo sviluppo di progetti.

L’immobile è formato da un unico corpo, con la struttura tipica della “casa di famiglia” e ha una superficie di 600 mq, suddivisi attualmente in cinque appartamenti. A questi si aggiungono circa 250 mq di locali accessori per il cohousing formati da legnaia, box, androne e magazzino che permetteranno di riorganizzare la casa in sei o sette unità abitative, con un miglioramento dell’efficienza energetica. Infine, una cantina di 70 mq, una soffitta e uno spazio da adibire a parcheggio, completano il tutto.

Uno dei responsabili dell’associazione spiega: ”A proposito degli spazi comuni coperti, l’idea attuale prevede una cucina per cene in comune, feste, ecc., un’area bimbi, uno spazio aperto ai turisti da adibire a b&b e/o per ospitare attività di associazioni, workshop, laboratori, il recupero della legnaia in cui è presente un forno per pane e pizze e uno spazio polivalente di circa 100 mq per uso interno, coworking, laboratori, cinema, bricolage”.

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Le attività all’aperto

Essere all’interno di un grande parco, principalmente collinare e boschivo, presenta molti punti di forza, sia dal lato agricolo ed energetico che per iniziative socio-culturali. Gli spazi di cohousing attorno alla casa possono accogliere orti, frutteti, vitigni e arnie, oltre ad un impianto fotovoltaico. Mentre, per quanto riguarda la socializzazione, sarà possibile fare sport, organizzare giochi e attività per bambini nel bosco, cinema all’aperto e fare grigliate.  

Un modo diverso di vivere in un bellissimo contesto naturale.  

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Progettare per gli ipersensibili: il centro terapeutico per autismo

Il centro NewYork Presbyterian ha deciso di convertire una vecchia palestra a centro per l’autismo e lo sviluppo del cervello (CADB) dove progettare spazi ambulatoriali per intervenire precocemente sui bambini autistici dai 18 mesi e diagnosticare la patologia fino all’età adulta.

Il progetto nasce dalla proficua collaborazione tra personale medico e lo studio DaSilva Architects che, per la prima volta, si è dovuto confrontare con questa tipologia di utenti ipersensibili.

ARCHITETTURA PER BAMBINI: L’APPROCCIO PEDAGOGICO PER UN CENTRO ACCOGLIENZA

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Dal punto di vista funzionale era necessario dotare l’edificio, adibito a vecchia palestra sgangherata, di una reception e di ambulatori per la valutazione di diagnosi e cura dei pazienti del centro terapeutico. Analizzando i casi di autismo in letteratura, studi hanno provato che a chi è stata diagnosticata questa patologia è più sensibile di altri alla vista, al suono e alle sensazioni derivate dall’ambiente che li circonda

L’ipersensibilità dimostrata da questi soggetti rende la progettazione delle strutture una sfida per gli architetti; una formazione preventiva sul tema è stata necessaria per poter immaginare un ambiente curativo confortevole e adattare un luogo già costruito a persone condizionabili da ciò che le circonda.

L’edificio originario, risalente al 1924, il Ginnasio Rogers, era una struttura costituita da muri in mattoni e grandi finestre con inferriate.

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Il centro terapeutico come un villaggio in cui sentirsi a casa

L’interno della palestra è stato ripensato adottando un approccio più da urbanista che da architetto: la casa di cura è stata concepita come un “villaggio del trattamento”, colorata e vivace. Gli spazi per la consulenza e le sale per i trattamenti del centro terapeutico sono stati strutturati come una serie di piccoli padiglioni luminosi all’interno dello spazio unico; gli ambienti sono connessi tra loro tramite percorsi, interrotti da spazi vuoti, come piccole piazze.

Ricreare un ambiente familiare e quanto più distante dal classico modello di ambulatorio medico è stata una precisa indicazione da parte della committenza. Si è tentato di evitare di progettare quella spiacevole sequenza di porte anonime e indistinguibili tipiche degli ambienti ospedalieri. I progettisti hanno voluto ricreare, seguendo la logica del “villaggio Disney”, “un’architettura di comunicazione più che di spazio”, come riporta Robert Venturi nel celebre Learning from Las Vegas, dando vita a una piccola cittadella ricca di elementi riconoscibili (la strada, le panchine, i parchi) per gli ipersensibili.

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Ogni stanza, in cui è prevista l’attività di analisi del centro, è stata progettata in modo flessibile per essere utilizzata da bambini, adolescenti e adulti. I volumi in cui si svolgono le terapie rivolte agli ipersensibili rispecchiano tre diverse figure tridimensionali, con tetti, porte e finestre che si aprono a zone di circolazione comune all’interno del più ampio spazio giorno illuminato. Colore, dimensione, forma, struttura e luce sono elementi giocati magistralmente per creare spazi adatti ai pazienti affetti da autismo e alle loro famiglie.

A soffitto è stato ricreato un cielo artificiale con nuvole e tutto l’interno ricrea un paesaggio esterno, quasi un “giardino della guarigione“, comprensivo di parchi, panchine e giardini.

L’acustica, la luce e la forma nel progetto

Il segreto della riuscita del progetto è stato l’attenzione a tre aspetti: l’acustica, la luce e la forma, con un uso sapiente dei materiali.

Dal punto di vista acustico sono stati escogitati tanti piccoli trucchi per rendere l’ambiente più confortevole. Sono state accuratamente eliminate le luci fluorescenti, che emanano un fastidioso ronzio e solitamente agitano molto i soggetti affetti da autismo.
Per tentare di attutire l’effetto di disturbo provocato dal rumore dei passi e distrazioni esterne, DaSilva Architects hanno inserito materiali che rendessero gli ambienti insonorizzati, utilizzando moquette e pannelli fonoassorbenti alle pareti. Nelle zone bagno, dove la moquette sarebbe stata antigienica, sono stati posati pavimenti in gomma morbida per uniformarsi agli altri locali.

Si è intervenuto gli impianti, in modo che non influissero negativamente sull’involucro insonorizzato: i progettisti hanno deciso di trasferire condizionatori, caldaie e ventilazione in una capanna collegata all’edificio, in modo da isolare la casa di cura dai rumori delle macchine.

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Nelle aree di passaggio, le “piazzette”, create tra un padiglione e l’altro, gli architetti hanno proposto pavimentazioni in sughero per smorzare il rumore del calpestio.

L’illuminazione, importante in qualsiasi spazio, per i pazienti ipersensibili del CADB può diventare motivo di malessere. Per alcune persone affette da autismo, infatti, la luce è un problema di tono: non può essere troppo calda, troppo fredda, troppo luminosa, troppo debole, troppo dura, troppo artificiale, o addirittura troppo naturale. Ha bisogno di essere ben bilanciata.

Per il centro terapeutico CADB, DaSilva Architects ha scelto di illuminare lo spazio con una miscela di fonti naturali e artificiali. Anche se la letteratura mette in guardia dalla troppa luce naturale in ambienti dedicati all’autismo, per non fornire distrazioni all’utente, le enormi finestre dell’edificio del Rogers Gymnasium, tuttavia, si trovavano più in alto rispetto al piano dell’osservatore, e questo non disturba gli utenti, beneficiando di una luce non diretta senza distrarre i pazienti con ciò che accade al di fuori. Per l’illuminazione artificiale, DaSilva Architects ha deciso di evitare l’uso totale di luci d’ambiente come quelle che si trovano in molti uffici, preferendo un variegato mix di fonti, installando sia plafoniere che fari che illuminano lateralmente. Tutte queste lampade possono essere oscurate nel caso in cui un paziente ne sia infastidito. Il risultato è un centro più simile a un salotto che a una casa di cura.

Proprio come succede per il suono, il rumore e la luce, molti di questi utenti sono ipersensibili alla forma degli oggetti. Un paziente potrebbe essere attratto da superfici scivolose, lucide, mentre un altro potrebbe trovare una superficie leggermente abrasiva insopportabile al tatto. Per contemplare il più ampio ventaglio di possibilità, la struttura del CADB presenta tessuti e materiali naturali, come sughero, gomma, porcellana, e lana. 

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Il centro terapeutico CADB dimostra che se non si possono eliminare i fastidi che l’ambiente provoca nella mente delle persone affette da autismo, almeno, concentrando la propria attenzione su chi fruirà ciò che si progetta, si può provare a rendere lo spazio di cura più confortevole agli ipersensibili.

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Promuoviamo il paesaggio Italiano

In occasione del Convegno organizzato dal CNG,  tenutosi il 16 febbraio 2016 presso Castel Volturno (Caserta) avente come tematica Il Paesaggio Italiano, si è discusso sulla tutela e valorizzazione del paesaggio e la promozione delle bellezze naturali. Il concetto di paesaggio, le problematiche inerenti la sua tutela e valorizzazione, il campo d’azione e le fonti disponibili ancora oggi non sono ben chiare e spesso finiscono con l’essere in contrasto tra di loro.

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Cos’è il paesaggio?

L’art. 131, comma 1 del DLgs n. 42 del 22 gennaio 2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio riporta la seguente definizione: Ai fini del presente codice per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni”. In termini comuni potremmo dire che esso non è altro che l’insieme degli elementi naturali ed artificiali caratteristici di un territorio.

Perché è importante studiare il paesaggio?

Capire le forme del paesaggio, la distribuzione dei suoi componenti e il rapporto che esiste tra loro equivale a dare un significato alle forme naturali e vedere come l’azione dell’uomo ha modificato l’ambiente naturale. Studiare il paesaggio porta a comprendere perché il territorio ha l’aspetto che noi oggi osserviamo. Ovviamente i fattori che ne hanno influenzato la forma sono molteplici: struttura geologica, regime idrico, copertura vegetale, clima.

Purtroppo la tutela e la valorizzazione di un paesaggio non sono annoverabili nella famiglia delle scienze esatte in quanto, a differenza di altre discipline, non è possibile organizzare un laboratorio, andare sul campo, prelevare un campione e svolgere un esperimento atto ad osservare e misurare gli effetti e verificarne al riproducibilità. Ecco perché la città, il territorio ed il paesaggio non sono fenomeni isolabili né nello spazio né nel tempo.

Tutela, valorizzazione e trasformazione del paesaggio

L’innovazione tecnologica ed il progresso scientifico degli ultimi decenni, soprattutto nel settore delle telecomunicazioni, hanno radicalmente trasformato il modo in cui lavoriamo, trascorriamo il tempo libero o altro. A tale trasformazione hanno partecipato tutte le componenti: economiche, politiche, amministrative, trasporti, disponibilità di risorse, etc. La velocità con cui si è attinto e con cui sono state utilizzate le risorse non rinnovabili (suolo, acqua, petrolio e così via) ne ha comportato la scarsità, con il conseguente pericolo di esaurimento definito in un arco di tempo ormai limitato. È dalla riflessione su tutto ciò che non possiamo trascurare la questione spazio quale risorsa finita, e quindi, la necessità di ri-usare ed ottimizzare l’uso del patrimonio insediativo già costruito, evitando di consumare ulteriore spazio e rispettando le istanze dello sviluppo sostenibile. Allo stato attuale la popolazione mondiale consuma in un anno una quantità di risorse la cui rigenerazione richiede circa sedici mesi (quindi ogni anno ci indebitiamo di quattro mesi con l’ambiente). I dati sono pressoché catastrofici e l’obiettivo sarebbe, quanto e se possibile, di minimizzare il segno dell’uomo sui paesaggi naturali al fine di preservarne la naturalità.

Cercare di sbrogliare questa complicata situazione generata da industrializzazione, consumismo e capitalismo finanziario ed economico, appare assai difficile. Ma con un impegno serio e costante da parte di bravi progettisti qualcosa può mutare. Tra le abilità richieste vi è sicuramente quella di preservare e valorizzare le specificità dei diversi territori, senza alterare l’ambiente nella sua struttura con modalità irreversibili, limitando al massimo l’impronta ecologica. Realizzare luoghi nei quali il cittadino, ossia l’uomo, a sua volta, sia capace di orientarsi e riconoscersi, luoghi ai quali sente di appartenere perché in essi ritrova la propria memoria, la propria storia, la propria cultura e la propria identità. Quindi sviluppo sostenibile e tutela e valorizzazione del paesaggio non sono concetti alienabili e devono camminare di pari passo, attraverso l’attivazione di un processo di avvicinamento e partecipazione della comunità alle scelte che si assumono, che spesso e volentieri sono condizionate da fattori esterni quali la politica.

Nel nostro bel paese sicuramente la L. 45/85 (ex condono edilizio) ha contribuito ad alimentare il divario impellente tra qualità e quantità architettonica e/o paesaggistica. Quindi la responsabilità dello scenario attuale non è esclusiva dei “cattivi progettisti” o dei “cattivi cittadini” in quanto le trasformazioni del paesaggio sono la conseguenza anche di scelte amministrativo-politiche e della pressione di gruppi di interesse che spingono verso una determinata direzione piuttosto che un’altra. Ma mettendo da parte per un momento l’abusivismo residenziale, la pianificazione e la costruzione di nuove strutture non sono sempre la scelta migliore, in quanto la ri-qualificazione urbano-territoriale attualmente prevale di gran lunga sugli aspetti quantitativi.

In conclusione con un’attenta pianificazione, un’attenta gestione e un attento contributo da parte di ogni singolo cittadino possiamo ridurre la traccia umana e tutelare e valorizzare il paesaggio, ove sia ancora possibile.

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Un tetto giardino nel cuore di Brooklyn: Periscope House

Il periscopio è uno dispositivo ottico costituito da due specchi paralleli tra loro che, inclinati di 45 gradi, consentono ad un osservatore situato più in basso dell’obiettivo di esplorare l’intero orizzonte. Da tale strumento prende il nome la Periscope House (Casa Periscopio), l’a casa con tetto giardino a Brooklyn, che sfrutta lo stesso principio per godere, dall’interno dell’abitazione, del suggestivo panorama dello skyline di Manhattan.

In copertina: Foto © Frank Oudeman

TETTI GIARDINO:PIÙ VERDE NEL CAMPUS UNIVERSITARIO DI MELBOURNE

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Il progetto di uno dei primi tetti verdi di Slope Park

L’operazione effettuata dai progettisti di nARCHITECTS a Brooklyn per la Periscope House potrebbe sembrare una delle tante ristrutturazioni edilizie realizzate a New York. In realtà dietro la brownstone, la pietra scura tipica di molti edifici residenziali della Grande Mela, si nasconde uno dei primi tetti giardino realizzati nel quartiere di Slope Park.

L’intervento, commissionato dai Signori Wilson nel 2007, prevedeva la ristrutturazione e l’ampliamento di un appartamento articolato su 4 livelli; gli architetti lo hanno declinato in un progetto originale e sostenibile, in cui è il verde a fare da protagonista.

Gli ambienti principali della casa offrono infatti una spettacolare vista su “giardini intimi”: delle vere e proprie “stanze all’aperto” poste a quote differenti e connesse tra loro tramite una serie di scale.

caption: foto di © Frank Oudeman

Il tetto giardino

Fiore all’occhiello dell’intervento è il tetto giardino, realizzato in collaborazione con i paesaggisti del Future Green Studio. Il tetto verde è caratterizzato da un mix casuale di specie erbose tra cui piante alte, rampicanti, Sedum in fiore e tappezzanti. Si tratta per lo più di specie perenni e “rustiche”, ovvero in grado di resistere a basse temperature e con necessità di poca annaffiatura. Il mix di colori va dal rosso fuoco del nasutrizio (Tropaeolum speciosum, il “fiore fiamma”) al lilla e violetto dei cespugli di Aster, al rosa e bianco dei garofani fino al blu e grigio della festuca glauca. La maggior parte di queste specie fioriscono in estate ma una volta appassiti i petali, rimane comunque il verde del fogliame.

caption: foto di © 2016 Future Green Studio Corp.

Alla flora volutamente selvaggia del tetto si contrappone quella più ordinata e curata della texture del giardino al primo livello. Su di esso si affaccia una terrazza illuminata da luci a LED e protetta da parapetti in vetro colorato in cui le dense aiuole non interrompono la continuità della pavimentazione in deck.

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caption: foto di © Frank Oudeman

caption: In Immagine: A sinistra, foto di © Frank Oudeman; a destra foto di © 2016 FUTURE GREEN STUDIO CORP.

Gli interni della Periscope House si contraddistinguono per i colori chiari e il design pulito ed essenziale. Ciò è reso ancora più evidente dalla luce naturale che invade ogni angolo dell’abitazione, grazie alle nuove aperture vetrate. Tali bucature sono frutto di una progettazione attenta, in cui dimensione e posizione non vengono lasciate al caso. Lo scopo è fare in modo che, da qualsiasi stanza, durante la routine quotidiana, non venga mai perso il contatto visivo con le terrazze verdi sulle quali ciascun ambiente affaccia. Le finestre dello studio sono dunque poste a filo della scrivania mentre quelle della cucina si trovano a circa 50 cm dal pavimento, perfettamente allineate con le panche lignee che corrono lungo le due pareti perimetrali.

caption: foto di © Frank Oudeman

La scala periscopio per ammirare lo skyline di Manhattan

Cuore dell’intero progetto è la scala a giorno che conduce al tetto giardino; completamente in legno, emerge in copertura con un volume netto, a forma di prisma trapezoidale.

Il rame che riveste tale volume lascia spazio, sul alto est, al vetro colorato; qui un’ampia finestra consente alla luce del mattino di illuminare naturalmente la stanza sottostante.

Uno specchio, posto all’intradosso della copertura inclinata di 45 gradi, trasforma il corpo scala in un periscopio: guardando in alto, dai piedi della scala, è dunque possibile ammirare il fascino dei grattacieli di New York mentre, durante il tramonto, l’appartamento è inondato da una luce purpurea.

Spogliato della mera funzione di collegamento, un semplice connettivo verticale diventa un elemento architettonico a sé stante.

caption: foto di © Frank Oudeman

caption: foto di © Frank Oudemancaption: foto di © nARCHITECTS

Vivere in un appartamento senza rinunciare al verde è possibile, anche in una città come New York; la Periscope House ne è la prova.

L’operazione effettuata da nARCHITECTS a Slope Park a Brooklyn è inoltre la conferma di come ogni progetto, anche quello all’apparenza più semplice, può racchiudere in sé molteplici sfide; sta alla sensibilità del progettista saperle cogliere e soprattutto affrontarle libero da qualsiasi pregiudizio.

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Il bianco nell’architettura tradizionale mediterranea

Le bianche architetture affacciate sul Mediterraneo non sono lì solo per deliziare i nostri occhi. L’uso del bianco nella tradizione costruttiva mediterranea è infatti frutto di sperimentazioni e di un sapiente uso dei materiali locali che oggi distinguono uno stile architettonico ben preciso, rispondendo anche requisiti legati al comfort e alla vivibilità.

In seguito alla Rivoluzione Industriale e ancora di più al giorno d’oggi grazie alle tecnologie digitali, gli standard progettuali si sono evoluti, a volte sono completamente cambiati e, sfortunatamente, a causa delle esigenze di mercato e per bisogni legati al crescente sviluppo industriale e demografico, dopo il XX secolo, le città hanno perso molti dei propri connotati originari e con essi le proprie caratteristiche architettonico-urbanistiche.

In copertina: Ostuni

TETTI BIANCHI: LA TECNOLOGIA COOL ROOF PER RIDURRE LA TEMPERATURA

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Nell’ambito del bacino Mediterraneo tuttavia restano ancora evidenti quelle peculiarità stilistiche che nascono da esigenze ben precise. I materiali per eccellenza dello stile mediterraneo sono la pietra, il ferro battuto ed il legno. I colori invece sono il blu, in tutte le sue sfumature che arrivano sino all’azzurro chiaro che richiama il colore cristallino del mare, ed il bianco. Il bianco resta quello che primeggia nei paesaggi urbani ed extraurbani e che spicca tra il verde della campagna e i colori limpidi del cielo e delle coste del Mediterraneo.

La scelta del colore bianco in architettura non è casuale e tantomeno legata a semplici fattori estetici: esso è un colore che ha delle qualità ben specifiche.

Il perché dell’uso del bianco

Il bianco riflette i raggi solari più degli altri colori, che a loro volta riflettono di meno tanto quanto sono più tendenti al nero. Più la radiazione solare viene riflessa tanto minore è il calore che si accumula nell’ambiente interno.

Visto che nell’antichità le leggi della fisica non erano note ma ogni scoperta era fatta casualmente o in maniera empirica, le ragioni che condussero a prediligere il bianco in edilizia furono principalmente due:

  1. la facile reperibilità, il basso costo e la semplice lavorazione/posa in opera della materie prime di colore bianco a disposizione;
  2. l’aver scoperto, mediante il suo utilizzo, che il bianco riflette la radiazione solare e fa apparire più estesi gli spazi in cui è utilizzato.

caption: Il grassello di calce

Cenni storici sull’uso del bianco nell’architettura mediterranea 

Il motivo dell’antica tradizione di imbiancare gli edifici sta nel fatto che le materie prime sono ancora oggi facili da reperire a basso costo, ma la necessità un tempo era soprattutto quella di riflettere i raggi solari e assicurare agli ambienti ristretti dei vicoli e delle strade dei centri storici di impianto medievale, maggiore igiene e luminosità, grazie alla luce sia diretta che riflessa.

Fra i luoghi che ospitano edifici dell’architettura tradizionale mediterranea noti per il proprio colore bianco e per essere realizzati con materiali naturali e tecniche della tradizione edilizia locale ricordiamo:

  • Alberobello con i suoi trulli;
  • Ostuni, detta “la città bianca”;
  • Le città siciliane, come Trapani e Siracusa, e le piccole isole degli arcipelaghi siculi;
  • Santorini e Mykonos, in Grecia, con le loro tipiche casette ed i mulini a vento;
  • I cosiddetti “villaggi bianchi” dell’Andalusia in Spagna;
  • I villaggi croati in riva al mare. 

caption: Santorini

Materiali e prodotti di colore bianco nell’edilizia mediterranea

La calce spenta

La calce spenta (differente dalla cosiddetta calce viva per composizione chimica e perché utilizzata in edilizia) è un materiale che dona un colore candido alle superfici e che, oltre ad essere 100% naturale (parliamo di calce tradizionale senza additivi chimici) possiede molte proprietà utili alla conservazione dell’involucro edilizio e al miglioramento delle sue performance, come il fatto di essere impermeabilizzante e disinfettante. Inoltre la calce, essendo altamente traspirante, evita il formarsi di fenomeni di umidità.

Le pietre naturali bianche

Alcuni tipi di pietre naturali di colore bianco o comunque molto chiaro come la pietra di Lecce, la pietra di Trani, la pietra bianca di Siracusa (in dialetto locale pietra giuggiulena) per citarne alcune dell’arco mediterraneo italiano, oltre a quelle usate in Grecia, Spagna e Turchia, hanno la caratteristica di essere oltre che facilmente lavorabili anche utili ad innescare processi bioclimatici all’interno degli edifici se collocate opportunamente come rivestimenti sia esterni che interni.

caption: Il ciclo della calce

Le tende bianche

L’uso di tendaggi e di sistemi di oscuramento dal colore candido sono ancora oggi utilizzati se pure con alcune varianti moderne rispetto a quelle della tradizione: molti forse non sanno che collocare una tenda per proteggersi dalla radiazione solare all’esterno dell’infisso è la scelta giusta per impedire che la radiazione solare -e quindi il caldo- penetri all’interno dell’immobile. Mettere una tenda dalla parte interna della facciata serve solo a proteggere dalla luce poiché il calore sarà penetrato dalla vetrata senza ostacolo! 

caption: Schermature solari e risparmio energetico

Col tempo l’uso dei tendaggi, soprattutto nelle costruzioni moderne, è stato soppiantato da tecnologie più evolute e più pratiche dal punto di vista della manutenibilità: parliamo dei vetri rivestiti da pellicole e con schermature solari integrate nella vetrata dell’infisso che assolvono le stesse funzioni di isolamento dall’irraggiamento eccessivo con il vantaggio di non ingombrare, di non dover essere lavati e di non dover essere sostituiti per usura come i tessuti di una tenda tradizionale.

caption: Controllo della radiazione solare

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Il ristorante sociale progettato per l’inserimento lavorativo dei disabili

Il design e l’architettura sono “arti sociali”, in cui immaginare spazi, colori, ambienti vuol dire conoscere le persone che vivranno quegli spazi, ed il modo in cui li vivranno. Quando spazi, attività e persone sono in sinergia, quello che accade è magico e forte. Inevitabilmente. In Puglia, a San Vito dei Normanni, un paese dell’Alto Salento, è successo qualcosa di simile. In un ex stabilimento enologico è stato realizzato XFood, il primo ristorante sociale che prevede l’inserimento lavorativo di ragazzi disabili. 

DISABILI: COME PROGETTARE L’ACCESSIBILITÀ

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Il ristorante sociale e l’inserimento lavorativo dei disabili

All’interno di un grande contenitore urbano che è Ex Fadda (Laboratorio urbano nato dalla politica della Regione Puglia all’interno di un ex stabilimento enologico), è stato realizzato un ristorante speciale. Il suo nome è “XFood: qualcosa di diverso” e si tratta del primo ristorante sociale della Regione, in cui si porta avanti un importante progetto di inclusione sociale, dove la disabilità è intesa come risorsa.
Il progetto ha infatti permesso il coinvolgimento e l’inserimento lavorativo di sedici ragazzi disabili. C’è da occuparsi della cucina, della sala, e anche dell’orto!

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In un contesto così ricco e speciale, in cui il valore sociale e di comunità acquistano un posto di rilievo, l’architettura e le scelte progettuali hanno finalmente la possibilità di tornare a raccontare quello che hanno sempre fatto: il legame tra lo spazio, le attività e le persone diventa indissociabile, e soprattutto percepibile.
Il risultato del progetto di XFood è speciale per questo. Manifesta un aspetto fortemente emozionale.

L’esperienza del ristorante sociale

Oltre al tema dell’accessibilità per i disabili e al loro inserimento lavorativo, un’altra cosa che colpisce, avvicinandosi all’ingresso, sono le luci: tante, luminose, calde; quasi a indicare un luogo di festa e di gioia. Le luci sono luminarie (quelle tipiche delle feste patronali del Sud Italia) ricomposte secondo un design moderno.

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Il primo tema che si evidenzia nel ristorante è proprio quello di una forte integrazione tra la tradizione -il passato, la memoria (spesso associati ai tempi in cui la collettività era un valore ed una “pratica” attiva e ordinaria)- e l’innovazione (tipicamente evidenziata da un design contemporaneo: un vero e proprio riuso di questo tipo di luci). Di fatto già l’utilizzo delle luminarie come illuminazione interna di un ambiente costituisce una novità rispetto al loro utilizzo abituale.

Una volta dentro il ristorante un altro aspetto attira la nostra attenzione: tutti gli arredi presenti all’interno, dai tavoli alle sedie e persino posate e stoviglie, sono diversi tra loro. Ogni oggetto del ristorante è unico, esclusivo: trovati nei mercatini, recuperati dalla casa della nonna o ancora ridisegnati. Ciascun oggetto ha una storia e una provenienza differente. Ma è nell’essere insieme a tutti gli altri oggetti e sedie e tavoli -tutti diversi tra loro- che ogni singolarità acquista valore.

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Il concetto espresso da questa scelta progettuale è basilare e diventa potente in funzione delle attività e della vita che si compiono in quello spazio.

L’esempio del ristorante sociale XFood è importante perché permette di vedere come delle valide scelte progettuali, sicuramente sostenibili (grazie ad una sapiente pratica del riuso) e funzionali, possano trovare realizzazione anche in piccoli contesti e “spazi minori”.

Il progetto, realizzato dalla designer Sara Mondaini, è stato inoltre selezionato dall’Osservatorio Permanente di Design ADI per concorrere al premio della prossima edizione del Compasso d’oro (il più antico e autorevole premio di design a livello mondiale) oltre ad essere pubblicato nell’annuario ADI Design Index 2015.

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Dai Show Theatre, il teatro cinese ispirato alle foglie di palma

Sembra un edificio su cui è stato adagiato uno dei classici cappellini cinesi a forma di tronco di cono con una base particolarmente schiacciata. Sarà per questo che in molti hanno interpretato la scelta progettuale fatta dallo studio Stufish Entertainment Architects per il Dai Show Theatre, realizzato a Xishuangbanna (Yunnan) in Cina come un omaggio alla cultura cinese. La pseudo-cupola scintillante quasi come l’oro, in realtà, non si riferisce al copricapo asiatico, ma piuttosto guarda alla natura per far entrare, nella struttura, la natura stessa sotto forma di vento e di luce. L’idea nasce dalla sovrapposizione di rami di palma ed è stata realizzata per garantire la ventilazione e l’illuminazione naturale degli ambienti interni al Dai Show.

TEATRI: A MONTPELLIER L’EDIFICIO ROSSO DAL CUORE VERDE

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Il progetto del Dai Show Theatre

Il Dai Show Theatre spicca per imponenza, magnificenza, ricchezza. Non è un caso che la copertura si ispiri, sì, ad un elemento naturale come le foglie di palma, ma risulti luccicante come lamine d’oro intrecciate e ripiegate per raggiungere la forma desiderata. 

L’edificio si sviluppa su una superficie di circa 20 mila mq ed è sormontato da una copertura con un raggio di circa 55 metri. Si presenta come un polo multifunzionale destinato ad attrarre quanti più turisti possibili con gli appartamenti, centri commerciali, negozi di vario genere, bar, alberghi e ristoranti che ne costituiscono l’anima. Al suo interno è presente anche un parco tematico, ideale per l’intrattenimento dei più piccoli.

Il cuore dell’edificio è il teatro, progettato dal team Stufish Entertainment Architects, il cui nome suggerisce chiaramente la loro propensione e specializzazione nella realizzazione di strutture dedicate all’intrattenimento. Si tratta di un ambiente con ben 1183 posti a sedere disposti ad anello intorno ad uno spazio destinato ad ospitare uno spettacoli permanenti di acrobazia acquatica.

La scala, di forma circolare, è divisa in tre settori, tutti affacciati sul palco centrale, anch’esso circolare. Alto 14 metri, ospita una piscina dal diametro di 8 metri, studiata per essere sollevata o fatta scomparire in base al tipo di spettacolo che si deve svolgere.

Al soffitto sono applicati dei dispositivi che permettono agli acrobati di fluttuare ad un’altezza di 9 metri dal palco, aggiungendo all’effetto scenografico della struttura anche quello dell’intrattenimento. In questo aspetto è evidente tutta l’abilità degli architetti che, contemporaneamente, si sono imposti anche come validi scenografi.

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La copertura come rami di palme incrociati

La copertura rappresenza senza dubbio l’aspetto più interessante dell’intera progettazione, sia perchè è l’elemento più evidente, a causa dell’aspetto scintillante, sia per il concetto che si nasconde dietro la sua progettazione. Immerso in uno splendido contesto naturalistico, infatti, il Dai Show Theatre è circondato da alberi di diverse specie ma, su questi, ne prevale uno: la palma. È per questo motivo che gli architetti, nell’elaborazione della forma della copertura, hanno preferito rifarsi proprio a questi slanciati alberi.

Il disegno originale è stato ideato dal fondatore dello studio Mark Fisher che, dopo aver visitato il sito prescelto per il teatro, è rimasto immediatamente colpito dalla bellezza della natura circostante e da essa ha tratto l’ispirazione. La sua intenzione è stata quella di creare un’architettura che si integrasse al parco circostante in modo tale da sembrare viva, da essere percepita come se fosse un albero in costante crescita in mezzo a tanti alberi veri.

caption: Stufish Entertainment Architects

La copertura è caratterizzata da una fitta intelaiatura a doghe secondo uno schema che rievoca la conformazione delle foglie di palma. È organizzata su due livelli sovrapposti, così da assolvere a una duplice funzione. Da un lato i visitatori potranno godere della bellezza del parco in cui il teatro è immerso senza essere accecati dal sole, dall’altro, più importante, è possibile garantire la ventilazione naturale degli ambienti. Questo aspetto, oltre ad essere in perfetto accordo con i principi dell’architettura sostenibile, rappresenta una condizione ideale per un clima caldo come quello di Xishuangbanna.

La doppia copertura è sorretta su entrambi i piani da pilastri a forma di tronco di albero. In questo modo, chi staziona tra un piano e l’altro, ha davvero la sensazione di trovarsi all’ombra di un albero di palma. Le doghe, collegate a dei costoloni al cui interno sono stati fatti passare gli impianti, si sviluppano attraverso un movimento di torsione, creando, all’interno, un effetto di grande impatto scenografico. Sono posizionate in modo tale da permettere il passaggio e il ricambio dell’aria oltre che della luce. Quest’ultima, tuttavia, non arriva in modo diretto, ma la struttura a “foglie di palma” costituisce una sorta di brise soleil capace di illuminare in maniera soffusa. La scelta del color oro si addice al modo in cui i fasci luminosi battono sulla parete, perchè permette di diffondere all’interno la radiazione solare senza accecare e, soprattutto, sfruttando anche dei tagli molto sottili come quelli progettati dagli architetti. 

caption: © Tim Franco

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Hong Kong: demolendo i borghi storici cancella la sua storia

Si può arrivare a dei compromessi per evitare che lo sviluppo urbano divori le origini di un popolo? In alcuni luoghi del pianeta pare di no: dove la speculazione non tiene presente le esigenze di tutti, si demolisce anziché tutelare e recuperare, rischiando di cancellare importanti pezzi di storia di una civiltà. Un caso emblematico è quello di Hong Kong e del borgo antico di Nga Tsin Wai, un minuscolo villaggio inghiottito dalla metropoli che rischia di sparire.

IL VILLAGGIO CINESE SOMMERSO DALLA VEGETAZIONE

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Hong Kong sta per perdere un pezzo di storia durato sei secoli e mezzo.

La Urban Renewal Autority (URA) demolirà infatti la maggior parte di un borgo di Kowloon, Nga Tsin Wai, noto per essere stato istituito dalle famiglie Ng, Chan e Lee durante la metà del XIV secolo. Al suo posto sorgeranno due torri di appartamenti e un parco urbano.

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La storia del villaggio Nga Tsin Wai

A quel tempo (era il 1352), essendo il villaggio situato vicino al porto, le famiglie residenti decisero di costruire al suo interno un tempio in onore della dea del mare Tin Hau. In origine il borgo storico di Hong Kong contava 127 edifici ed un ponte levatoio serviva a superare il fossato perimetrale che, con la cinta di mura perimetrali servivano a difendersi.

Nel 1724 sono state costruite delle mura per proteggere il villaggio dai pirati ma poi, da allora e fino ai giorni nostri, il mare è scomparso, sostituito dall’aeroporto Kai Tak. 

La conformazione del borgo è rimasta tuttavia sempre quella di centinaia di anni fa, con tre strade strette e sei vicoli fiancheggiati da piccole case con tetti di tegole. 

I residenti attuali dicono che “tutto questo sta per essere presto perso per sempre”. Quello che si perderà sarà un altro pezzo dell’identità di Hong Kong che – come per altre metropoli iperindustrializzate – tende apparentemente a svilupparsi, ma in realtà perde identità e si uniforma alle regole di un’Architettura troppo globalizzata per essere ritenuta “sostenibile”.

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Le reazioni dei residenti al nuovo sviluppo urbano 

Uno dei portavoce di URA dice che già oltre la metà delle proprietà del borgo sono state acquisite e che il processo di acquisizione è ancora molto lento a causa di chi si oppone alle demolizioni. Tuttavia la URA promette di conservare i cimeli storici del villaggio e alcune sue parti come la portineria, il tempio, la cosiddetta “sala degli antenati”, ed alcune vecchie case caratteristiche che saranno inseriti in un “parco urbano della conservazione” che metterà in evidenza la storia del paese, ma pochi, pare, hanno fiducia in queste promesse. 

L’Associazione Conservancy che si batte contro la demolizione di Nga Tsin Wai ha rilasciato una dichiarazione critica circa le proposte avanzate dalla URA sulla conservazione apparente dei cimeli di questo luogo. 

Choi Yan-chi, uno dei fondatori della vicina Cattle Depot Artists ‘Village e da molto tempo residente nella città di Kowloon, dice che è solo l’ultimo di una serie di borghi storici abbattuti nella zona. Ma il motivo di tanto timore per Nga Tsin Wai  è che “Questo è il più antico di sinistra e noi vogliamo che rimanga”, dicono.  

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“Ho sempre considerato questo villaggio come la mia sola ed unica casa” racconta uno dei residenti, e ancora “Stanno distruggendo un luogo a noi sacro, in cui le tradizioni del nostro popolo e i ricordi familiari sono gli unici valori di vita. Viviamo in un’epoca dove si pensa solo ai soldi e non alla cultura […] Il nostro futuro è incerto, ci sentiamo frustrati”.

Per il momento, la vita del villaggio va avanti, anche se le case vengono lentamente abbattute e il numero di abitanti diminuisce. Da lontano Nga Tsin Wai appare vivace, circondato da negozietti di alimentari, barbieri all’aperto e venditori ambulanti, ma l’atmosfera cambia quando si attraversa il cancello del borgo. Macerie e cartelli di cantiere hanno preso il posto di molte case. L’erba cresce dai vecchi tetti di tegole degli edifici rimanenti, quasi a richiamare quel senso di ruralità ormai scomparso da tempo.

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Se vi capitasse di passare dal borgo Kowloon e di incontrare un’anziana abitante di Nga Tsin Wai  chiamata Wong Poh-Poh – letteralmente “nonna Wong” – state pur certi che lei vi dirà “Prima di fare qualsiasi altra cosa, andate a rendere omaggio al tempio di Tin Hau”. Questo la dice lunga su quanto valore abbia l’Architettura tradizionale e perché abbia importanza preservarla: con ogni tassello della storia che cancelliamo, perdiamo una parte di utili notizie che servono a far sì che lo sviluppo futuro sia davvero sostenibile. Non facendo così, dimenticando tutto e seppellendo la storia con il cemento, il metallo, il vetro, avremo solo temporanei involucri senza anima.

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Il grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano eletto Building of the Year 2016

Il grattacielo Intesa Sanpaolo, progettato da Renzo Piano Building Workshop, è vincitore del premio ArchDaily Building Of the Year 2016 per la categoria uffici. L’importante riconoscimento è stato assegnato in seguito ad una votazione tra gli oltre 3 mila progetti presentati da ArchDaily, il sito web di Architettura più visitato al mondo, a cui hanno partecipato 55.000 utenti.

PILLOLE DI RENZO PIANO: LA MINI ABITAZIONE DIOGENE

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Il grattacielo, firmato da Renzo Piano e vincitore del premio Archdaily Building of the Year 2016, nasce a Torino in prossimità del centro storico, all’incrocio tra Corso Inghilterra e Corso Vittorio Emanuele. La realizzazione è parte di una convenzione siglata tra la Città di Torino e Intesa Sanpaolo che comprende anche la riqualificazione dell’adiacente Giardino Nicola Grosa, e di un parcheggio interrato di 8.800 mq in via Nino Bixio. 
L’opera, che ha richiesto un investimento complessivo di circa mezzo miliardo di euro, è stata interamente finanziata dal gruppo bancario per ospitare gli uffici centrali e dirigenziali.
L’inaugurazione è avvenuta nell’aprile 2015, a 5 anni dall’inizio dei lavori. Al processo progettuale hanno partecipato gli studenti del Master di II livello in Progettazione e costruzione di edifici di grande altezza, organizzato dal Politecnico di Torino in cooperazione con Intesa Sanpaolo e la Camera di Commercio di Torino.

La struttura del grattacielo Intesa San Paolo

Il grattacielo di Renzo Piano si sviluppa verticalmente su 44 livelli, di cui 38 fuori terra, raggiungendo una altezza di 166 metri, due in meno rispetto alla Mole Antonelliana.
Gli elementi strutturali sono costituiti da un nucleo, che contiene i vani per i diciassette ascensori e le scale, e uno scheletro portante, disposto secondo pianta di 7000 mq, che sostiene l’involucro esterno in alluminio e vetro.
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L’edificio ha al proprio interno un mix di spazi di lavoro e per la collettività. La sezione interrata ospita un giardino ipogeo, un asilo nido, un ristorante aziendale, locali impianti e tre livelli destinati a parcheggi per oltre 300 vetture. Alla base dell’Intesa Sanpaolo Office Building si trova un auditorium che, grazie alla platea amovibile, ha capacità di cambiare la propria conformazione trasformandosi all’occorrenza in sala aperta al pubblico per conferenze, concerti ed esposizioni. 27 piani sono occupati dagli uffici, frequentati giornalmente da oltre 2000 dipendenti. Il 31° piano è un laboratorio per l’innovazione e la ricerca.

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In cima al grattacielo è ubicato il secondo spazio di carattere pubblico, una serra bioclimatica di 15.000 mq suddivisa su 3 livelli: il tetto giardino con ristorante panoramico (35° piano), una sala esposizioni (36° piano) e una caffetteria con galleria (37° piano). Percorrendo il ballatoio, che si sviluppa lungo il perimetro sui tre piani, è possibile godere di viste panoramiche su tutta la città ed osservare gli arbusti e le piantagioni presenti, tra cui eucalipti, acacie, lavande, che contribuiscono al mantenimento del clima temperato all’interno dell’ambiente.

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Criteri di sostenibilità del nuovo grattacielo di Renzo Piano

Durante la progettazione sono state studiate le più sofisticate strategie energetiche per lo sfruttamento ottimale delle risorse naturali, secondo i principi di sostenibilità promossi dal GBC (Green Building Council).
Il grattacielo Intesa Sanpaolo ha ottenuto la certificazione LEED Platinum con il totale di 83 punti, uno score fra i più elevati al mondo per gli edifici di grande altezza.
La certificazione è ottenuta in seguito alla valutazione e ai punteggi assegnati in base alle caratteristiche del sito di costruzione, alle scelte progettuali e tecnologiche, alla qualità degli ambienti interni e alla gestione dei materiali.

Sostenibilità del sito

L’edificio sorge all’interno di un’urbanizzazione già sviluppata. La presenza di un elevato numero di servizi a disposizione dell’utenza non rende necessario la costruzione di ulteriori strutture con una conseguente riduzione dell’impatto del progetto sul territorio.

I servizi di base sono compresi entro una distanza percorribile a piedi oppure mediante mezzo di trasporto alternativo. È stata predisposta, infatti, l’installazione di stazioni per il bike sharing e il car sharing. L’accessibilità dell’area è inoltre ampiamente servita dalla rete di trasporto pubblico.

Energia e Atmosfera

Il funzionamento della struttura tecnologica è controllato da sonde collegate al BMS (Building Management System), un sistema di gestione avanzato che permette di modulare il comportamento dell’edificio in relazione alle variazioni climatiche.
Le superfici a est e ovest sono rivestite da un involucro trasparente “a doppia pelle”.
In inverno, i raggi solari attraversano il primo strato di vetro e alluminio e riscaldano per effetto serra l’aria presente nell’intercapedine contribuendo alla mitigazione del clima.
In estate, la regolazione meccanica delle aperture e dei sistemi frangisole permette il rilascio del calore accumulatosi nelle ore diurne impedendo il verificarsi di fenomeni di surriscaldamento. Durante la sera, l’aria fresca è incanalata dentro l’intercapedine dei solai a doppio strato di calcestruzzo e rilasciata da pannelli radianti durante la giornata rinfrescando gli spazi di lavoro.

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La superficie della facciata esposta a sud è interamente rivestita da 1600 mq di celle fotovoltaiche per la produzione di energia elettrica. Sullo stesso lato dell’Intesa Sanpaolo Office Building, il volume per la scala esterna è anche un giardino d’inverno che si sviluppa per tutta l’altezza dell’edificio.
L’acqua calda sanitaria è prodotta da un sistema di collettori solari.
In copertura, la serra bioclimatica si comporta da “tetto verde”. D’estate impedisce l’accumulo di calore che sarebbe rilasciato all’interno dell’edificio, in inverno riduce il disperdersi dell’energia termica.
Il condizionamento è affidato alla tecnologia geotermica ad alto rendimento. L’impianto sfrutta l’acqua di falda e si comporta da pompa di calore in regime invernale e da macchina frigorifera nella stagione estiva.

Gestione delle Acque

L’acqua piovana viene incanalata in apposite vasche di accumulo e, per mezzo di sensori e centraline di controllo, utilizzata per i servizi igienici e a scopo irriguo. Queste strategie permettono un risparmio idrico sino al 48%.

Gestione dei Materiali

Gran parte dei materiali da costruzione utilizzati contiene una componente di riciclato oppure è prodotta a poca distanza dall’area di cantiere, consentendo un notevole risparmio sui costi di trasporto.

Il legno utilizzato è certificato FSC, ossia prodotto da foreste gestite secondo principi di sostenibilità e rispetto delle risorse naturali. L’accumulo di calore e i conseguenti fenomeni di surriscaldamento sono ridotti grazie alla scelta di colorazioni chiare per le superfici esterne. L’edifici progettato dal Renzo Piano Building Workshop, illuminato dal sole, diventa così brillante “come un pezzo di ghiaccio”, inserendosi perfettamente nel contesto panoramico delle montagne innevate sullo sfondo della città.

Qualità degli spazi interni

La progettazione del grattacielo è stata particolarmente incentrata sul benessere degli spazi di lavoro.

Gli uffici, alti 3,20 m, sono stati studiati con le finalità di favorire lo sfruttamento degli apporti solari gratuiti e di ridurre i fenomeni di abbagliamento mediante la modulazione dell’irraggiamento con i sistemi frangisole meccanizzati.

Il valore di illuminamento corretto è garantito dalla presenza di sensori e da lampade a luce dimmerizzata che ottimizza il rendimento dei corpi illuminanti in funzione della radiazione solare in ingresso. L’impianto d’illuminazione, inoltre, è prevalentemente dotato di corpi illuminanti LED a basso consumo energetico.

Gli interni sono rivestiti da materiali basso emissivi che rilasciano limitate quantità di sostanze organiche volatili. Per prevenire la presenza di inquinanti, dovuta ai processi di costruzione, prima dell’entrata in funzione degli uffici è stato eseguito un flush-out, ossia una depurazione mediante “lavaggio” degli ambienti con grandi volumi d’aria.
La salubrità in fase di esercizio è garantita da portate d’aria superiori agli standard e da sensori che monitorano la concentrazione di CO2.
I pannelli radianti, utilizzati per la climatizzazione, hanno anche la funzione di ridurre i rumori generati dalla ventilazione meccanica garantendo un ottimo livello di comfort acustico.
L’efficacia delle strategie energetiche adottate è stata valutata in regime dinamico mediante l’utilizzo di software avanzati. Il risultato di queste simulazioni è un edificio che risparmia il 45% di energia rispetto a una costruzione standard.

Dopo il progetto Number 6 nella categoria restauro, la Città di Torino con il Grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano vede per la seconda volta consecutiva un suo edificio vincere il premio Building of the Year, affermandosi a livello internazionale come portavoce dell’architettura italiana sostenibile e di qualità.

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La top 30 degli ospedali più sostenibili al mondo. Quanti sono italiani?

Gli ospedali verdi sono sempre più numerosi sia all’estero che in Italia. Una classifica pubblicata sul sito Healthcare Administration Degree Programs ci fa conoscere le 30 strutture ospedaliere più sostenibili del mondo. Scorrendo la lista scoprirete se gli ospedali italiani sono stati abbastanza all’avanguardia da esservi inseriti e quali progressi si stanno compiendo.

In copertina: St. Mary’s Hospital (British Columbia) è tra gli ospedali più verdi del Nord America. Fonte foto: hospitalnews.com.

OSPEDALI GREEN: IL MAGGIE CENTER A LEEDS

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Sono in aumento le realizzazioni di ospedali che attraverso alcuni accorgimenti si dimostrano attenti alle esigenze ambientali incrementando ad esempio l’efficienza energetica, prevedendo sistemi per il riciclaggio dei rifiuti o impianti per il recupero dell’acqua piovana, o semplicemente migliorando la struttura stessa dell’edificio con soluzioni tecniche e innovative che puntano all’utilizzo di sistemi all’avanguardia e materiali green. Sta trovando sempre maggiori adesioni il trend positivo dell’eco-sanità, che punta alla costruzione di strutture sanitarie dal ridotto impatto ambientale e ad alta efficienza energetica, grazie all’impiego di fonti alternative e rinnovabili di energia e all’applicazione di criteri di sostenibilità ambientale tanto nella costruzione quanto nella gestione degli edifici.

Numerosi sono inoltre gli ospedali esistenti che stanno aderendo o hanno già aderito a progetti di riconversione delle strutture e degli impianti esistenti.

I 30 ospedali più sostenibili al mondo

Ecco che quindi Tom Stevens ha redatto una lista dei 30 ospedali più sostenibili del mondo, strutture che hanno ricevuto certificazioni ambientali, mostrando un particolare impegno nel riciclo dei rifiuti o prevedendo particolari accorgimenti che consentano di ottenere risparmi energetici.

Nella top 30 compaiono sia strutture di nuova costruzione sia strutture recentemente ristrutturate e riqualificate con l’intento di migliorarne le prestazioni energetiche e, più in generale, di renderle più ecologiche.

La maggior parte di questi edifici ha ottenuto la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), il programma statunitense di certificazione volontaria degli edifici sviluppato dallo U.S. Green Building Council (USGBC). Tale programma, a seconda del rispetto di alcuni criteri standard come ad esempio il risparmio energetico, il risparmio idrico, la riduzione delle emissioni di CO2, il riciclo di rifiuti, la tipologia di materiali usati, la sostenibilità del sito e il miglioramento generale della qualità degli ambienti interni, certifica le costruzioni ecologicamente sostenibili. Forse anche per questo motivo la classifica è dominata soprattutto da strutture ospedaliere presenti negli Stati Uniti (ben 25 ospedali sui primi 30 ospedali più verdi del mondo). Tuttavia la lista comprende anche due strutture presenti nel Regno Unito, due in Canada e una a Singapore.

La classifica

Le ultime dieci posizioni della classifica degli ospedali più green del pianeta sono occupate da nove strutture ospedaliere statunitensi e una britannica:

30. Rush University Medical Center, East Tower, Chicago, Illinois;

29. Great Ormond Street Hospital, Morgan Stanley Clinical Building, London, U.K.;

28. Johnston Memorial Hospital, Abingdon, Virginia;

27. Bronson Methodist Hospital, Main Building, Kalamazoo, Michigan;

26. Women & Infants Hospital of Rhode Island, South Pavilion, Providence, Rhode Island;

25. Boulder Community Foothills Hospital, Boulder, Colorado;

24. Childrenis Healthcare of Atlanta, Atlanta, Georgia;

23. Anne Arundel Medical Center, Hospital Pavilion South, Annapolis, Maryland;

22. Walter Reed National Military Medical Center, Bethesda, Maryland;

21. University of Colorado Health, Medical Center of the Rockies, Loveland, Colorado.

Risalendo la classifica troviamo, dal ventesimo all’undicesimo posto, sette strutture ospedaliere statunitensi, una canadese, una britannica e l’unica struttura di Singapore.

20. Sentara RMH Medical Center, Harrisonburg, Virginia

19. Sunnybrook Health Sciences Centre, Toronto, Canada

18. University Hospital of South Manchester: Wythenshawe Hospital – Manchester, U.K.

17. Dana-Farber Cancer Institute: Yawkey Center for Cancer Care, Boston, Massachusetts

16. St. Elizabeth Hospital: Heart, Lung & Vascular Center, Appleton, Wisconsin

15. Helen DeVos Childrenis Hospital, Grand Rapids, Michigan

14. Mount Elizabeth Novena Hospital, Novena, Singapore

13. Martha’s Vineyard Hospital, Oak Bluffs, Massachusetts

12. UF Health Shands Cancer Hospital, Gainesville, Florida

11. Joe DiMaggio Children’s Hospital, Hollywood, Florida

La parte più alta della classifica si apre con un ospedale canadese in decima posizione. Le posizioni seguenti della classifica sono interamente statunitensi.

10. St. Mary’s Hospital, Sechelt, Canada

9. Muskogee Community Hospital, Muskogee, Oklahoma

8. North Shore University Hospital: Katz Women’s Hospital, Manhasset, New York

7. West Kendall Baptist Hospital, Miami, Florida

6. Legacy Salmon Creek Medical Center – Vancouver, Washington

5. NewYork-Presbyterian Hospital: Vivian and Seymour Milstein Family Heart Center, New York

4. Kiowa County Memorial Hospital, Greensburg, Kansas

Le tre strutture ospedaliere più sostenibili

Il podio di questa top 30 delle strutture ospedaliere più ecologiche è interamente dominato da ospedali statunitensi.

Al terzo posto troviamo il Providence Newberg Medical Center di Newberg in Oregon, progettato da Mahlum. È il primo ospedale statunitense ad aver ricevuto la certificazione Leed Gold e la prima struttura sanitaria negli Stati Uniti a soddisfare l’intero fabbisogno energetico mediante fonti rinnovabili (geotermico, eolico e idroelettrico). Un innovativo sistema di ventilazione inoltre, preleva continuamente aria dall’esterno contribuendo a migliorare la qualità e il comfort degli ambienti interni.

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Al secondo posto si classifica un ospedale texano, il Dell Children’s Medical Center of Central Texas di Austin. È il primo ospedale ad aver ottenuto la certificazione Leed Platinum, il più elevato standard previsto dalla certificazione Leed. Sembra quasi più chiara la luce che passa attraverso gli ampi vetri o quella che illumina l’asfalto dei numerosi garage e parcheggi della struttura: questa è, infatti, l’unica realtà pediatrica al mondo costruita quasi interamente con materiale riciclato. Proviene completamente da riciclo, il vetro utilizzato per la fabbricazione delle finestre e anche l’asfalto con cui sono stati ricoperti i numerosi posti macchina dell’ospedale era già stato utilizzato in precedenza altrove.

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Una turbina alimentata da gas naturale, inoltre, produce tutta l’energia elettrica necessaria al funzionamento della struttura, mentre all’esterno, nel giardino, una cascata d’acqua a risparmio idrico e una rigogliosa serie di piante disposte su vari livelli assicurano aria pulita e ricca di ossigeno a tutti gli ospiti e i degenti.

Questo ospedale presenta ulteriori caratteristiche green che lo rendono una delle strutture sanitarie più ecologiche del mondo: l’uso di vernici ecocompatibili, un sistema di illuminazione altamente efficiente, un sistema di raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione dei giardini e per i servizi igienici, impianti per il recupero di calore e un particolare tetto bianco in grado di riflettere la luce del sole e mantenere l’edificio fresco e confortevole in modo naturale.

Infine, è il Children’s Hospital di Pittsburgh in Pennsylvania, ad aggiudicarsi la medaglia d’oro di questa top 30 degli ospedali più ecologici del mondo. Presenta svariate caratteristiche che hanno fatto sì che ottenesse ben due certificazioni LEED e che fosse eletto l’ospedale più ecologico del mondo: è stato completamente eliminato l’uso della carta, svolgendo ogni operazione con mezzi elettronici oltre all’uso di materiali riciclati, a sistemi per il recupero dell’acqua, all’efficienza energetica e ad un eccellente sistema di trasporto pubblico e di condivisione di veicoli.

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Quanto sono sostenibili gli ospedali Italiani?

Non bisogna però pensare che queste siano realtà presenti esclusivamente all’estero. Anche in Italia stanno infatti nascendo strutture sanitarie sostenibili. 

Va ad esempio al Meyer di Firenze il primato italiano nel campo dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Ha battuto sui tempi tutte le altre strutture italiane, introducendo per primo sistemi avanzati di ventilazione, climatizzazione e illuminazione per ridurre al minimo i consumi energetici e creare un migliore equilibrio termico all’interno. Le zone esterne del giardino, invece, hanno ricevuto la certificazione Bio-Habitat che attesta la gestione degli spazi verdi secondo principi biologici.

Nel nostro Paese inoltre numerose strutture ospedaliere partecipano al progetto europeo denominato “RES – Renovable Energy Sources“, il cui obiettivo è quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte dai 15.000 ospedali presenti in Europa: l’Istituto Europeo di Oncologia, l’ospedale San Matteo di Pavia, l’istituto Humanitas Rozzano, gli ospedali di Ravenna, Rimini, Forlì, Cesena, Genova e Torino.

Con questo progetto, la Comunità Europea si è posta l’obiettivo di individuare delle best practices nel campo della sanità sostenibile da riproporre successivamente in tutte le strutture assistenziali europee.

Presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, ad esempio, si sta cercando di quantificare il risparmio energetico prodotto dall’impiego della tecnologia LED al posto delle lampadine di tipo tradizionale. L’obiettivo, non è però solo quello di ottenere un risparmio energetico, ma anche quello di rendere più confortevole la permanenza dei pazienti e dei visitatori all’interno delle strutture, accrescendone il benessere visivo.

Tra le bio-innovazioni nell’edilizia sanitaria, occorre ricordare la pavimentazione ecologica dell’Ospedale Brotzu di Cagliari e le coperture dei parcheggi del San Camillo di Roma realizzate con pannelli solari. A San Donato Milanese, invece, vengono serviti già da tempo menu ospedalieri a km zero.

Merita, infine, di essere menzionato, il progetto di ospedale green curato da Renzo Piano, che sarà realizzato a Sesto San Giovanni: la Città della Salute, costruita secondo criteri di risparmio energetico, prevede infatti un parco verde di 450mila mq, in cui avranno un ruolo centrale orti e frutteti con scopi essenzialmente terapeutici.

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Progettazione bioclimatica per una casa orientata a Nord

Casa Girasol è un progetto dello studio spagnolo Cadaval y Solà-Morales realizzato nel 2014 a Port De la Selva a Girona, in Spagna. L’edificio sorge su una scogliera bagnata dal Mar Mediterraneo, in un villaggio di pescatori della Costa Brava, al confine con la Francia ed ha la caratteristica di essere completamente orientato verso Nord richiedendo un’attenta analisi bioclimatica nel corso della sua progettazione.

BIOCLIMATICA:  LA CASA DI TENERIFE CHE GUADA L’OCEANO

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L’esposizione a Nord 

Una posizione suggestiva, soprattutto per il panorama che circonda la casa. La volontà dei proprietari era di costruire una casa in stretto contatto col mare, ma non avevano considerato i problemi dovuti all’orientamento del terreno su cui sarebbe dovuta sorgere: totalmente orientato a Nord.

Il problema principale nella progettazione bioclimatica è stato dunque pensare una forma che permettesse di catturare la luce naturale. Il secondo problema è invece legato alla Tramontana, un vento freddo proveniente da nord, che raggiunge addirittura punte di 180 kmh.

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Analisi bioclimatica e progettazione della casa

Il progetto è frutto e conseguenza di numerose e attente analisi bioclimatiche, sia tramite utilizzo di software specializzati che tramite uno studio puntuale sviluppato tramite modelli e ricerche della forma, al fine di riuscire a garantire un ottimo comfort all’interno di Casa Girasol, nonostante la sua esposizione a nord.

La villa si sviluppa su 250 metri quadrati distribuiti su due piani, rispettivamente zona giorno e zona notte. Si compone di una serie di ambienti trattati come elementi indipendenti, ma allo stesso tempo in diretta connessione al grande spazio centrale della zona living. Il risultato è un grande ambiente da cui si diramano le diverse stanze: la zona pranzo, la zona relax, lo studio, e così via, ognuna diventa un cannocchiale sul paesaggio.

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L’idea prende spunto dal girasole che ruota per catturare il più possibile la radiazione solare, allo stesso modo la pianta e gli ambienti della casa risultano in parte frammentati, ruotano posizionandosi secondo orientamenti diversi, nord-est o nord-ovest, evitando di avere le grandi vetrate totalmente rivolte a nord, per cercare di limitare quanto più possibile le dispersioni e per cercare di captare più luce possibile.

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Ogni stanza è caratterizzata unicamente da pareti bianche e vetrate a tutta altezza. Avanzando e ruotando diventano così panoramiche sul mare, ognuna con una particolare e unica vista sul paesaggio e sulla costiera. La natura circostante diventa la quarta parete di ognuna delle stanze, trasformandole in un suggestivo e rilassante ambiente in cui il vero protagonista diventa la vista del mare e del cielo che muta continuamente colori anche a causa dei venti.

Questo schema planimetrico permette di ricavare un patio centrale, il quale diventa uno spazio aperto riparato dalle pareti che lo delimitano e pertanto fruibile anche nelle giornate in cui tira la tramontana. Allo stesso tempo la posizione del patio è studiata per permettere di far entrare più luce possibile all’interno della zona living che risulta caratterizzata da grandi vetrate e dalla quale è possibile avere una visuale continua sulle diverse panoramiche. In questo modo anche dal patio è possibile ammirare il paesaggio, ma senza l’inconveniente del vento.

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I materiali utilizzati sono tipici della tradizione locale. Le grandi vetrate sono state volute per creare una connessione diretta tra interno ed esterno, generando spazi riparati ma in continuità visiva tra di loro e con l’ambiente circostante.

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Una casa orientata a nord: quando un’attenta analisi bioclimatica può portare ad un progetto interessante e a soluzioni mirate che permettono di captare la luce facendo ruotare gli ambienti come un girasole.

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Il gattoparco, un parco cittadino dedicato ai gatti

Il diffuso amore per il felini ha portato alla nascita in Italia di numerosi gattoparchi, parchi cittadini e aree verdi appositamente strutturate per accogliere i gatti randagi e/o offrire servizi di diverso genere a quelli domestici.

PARCHI URBANI E BIOPARCHI PER GLI ANIMALI

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Anche Milano sta cercando di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti felini attraverso la creazione di appositi parchi. Nell’area tra via Barsanti, via Autari e Ripa di Porta Ticinese, in zona Navigli, il Piano Integrato d’Intervento recentemente approvato prevede, tra i vari interventi, anche la realizzazione di un gattoparco!

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Patrizia Peletti, presidente dell’associazione “Gatto viziato” che si occuperà della gestione del gattoparco dice: “Quando sarà stato bonificato il terreno, potremo partire con l’allestimento dell’area”

Nell’estate del 2014, quando lo spazio in zona Navigli venne individuato come possibile area di intervento, le sue condizioni non avrebbero fatto presagire nulla di buono. Invece è bastato poco, tanta forza di volontà e qualche idea originale per dare il via ad un progetto di rigenerazione urbana che potrà fungere da esempio per altri comuni che avranno interesse a pensare ai felini delle proprie zone.

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

Il progetto del gattoparco nella zona Navigli 

L’area a verde destinata a gattoparco ha un’estensione di ben 6.400 mq ed è adiacente al parco Baden Powell.

Lo spazio sarà protetto con una recinzione perimetrale dotata di un doppio cancello e all’interno di essa vi saranno altri piccoli spazi recintati che consentiranno ai proprietari dei gatti di fruire di spazio all’aperto per il gioco senza pericolo che il gatto scappi via.

Pare che i gestori potrebbero anche allestire l’area con strutture per far arrampicare i gatti, cespugli di erba gatta e tanti altri giochi e oggetti utili.

I benefici del gattoparco per il quartiere

Gabriele Rabaiotti, presidente del consiglio di Zona 6 spiega che il gattoparco Sarà un giardino condiviso. Nasce, infatti, su iniziativa dei cittadini”.

I felini potranno essere accompagnati nella struttura del gattoparco dai propri padroni e lasciati liberi di giocare e girare liberamente incontrando propri simili. Questo è importante soprattutto per chi ha un appartamento piccolo dove il proprio gatto non ha molta libertà e fuori dal quale rischierebbe di incorrere in mille pericoli.

Il gattoparco invece consente ai suoi ospiti di usufruire di un grande spazio protetto dalle insidie urbane. 
“Ma il parco non è solo per i gatti, è per tutti” spiega ancora Patrizia Peletti, la quale fa presente che nell’area saranno programmati anche incontri sul tema “gatto” da indirizzare ad adulti e bambini. 

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Il gattoparco, un parco cittadino dedicato ai gatti

Il diffuso amore per il felini ha portato alla nascita in Italia di numerosi gattoparchi, parchi cittadini e aree verdi appositamente strutturate per accogliere i gatti randagi e/o offrire servizi di diverso genere a quelli domestici.

PARCHI URBANI E BIOPARCHI PER GLI ANIMALI

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Anche Milano sta cercando di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti felini attraverso la creazione di appositi parchi. Nell’area tra via Barsanti, via Autari e Ripa di Porta Ticinese, in zona Navigli, il Piano Integrato d’Intervento recentemente approvato prevede, tra i vari interventi, anche la realizzazione di un gattoparco!

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Patrizia Peletti, presidente dell’associazione “Gatto viziato” che si occuperà della gestione del gattoparco dice: “Quando sarà stato bonificato il terreno, potremo partire con l’allestimento dell’area”

Nell’estate del 2014, quando lo spazio in zona Navigli venne individuato come possibile area di intervento, le sue condizioni non avrebbero fatto presagire nulla di buono. Invece è bastato poco, tanta forza di volontà e qualche idea originale per dare il via ad un progetto di rigenerazione urbana che potrà fungere da esempio per altri comuni che avranno interesse a pensare ai felini delle proprie zone.

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

Il progetto del gattoparco nella zona Navigli 

L’area a verde destinata a gattoparco ha un’estensione di ben 6.400 mq ed è adiacente al parco Baden Powell.

Lo spazio sarà protetto con una recinzione perimetrale dotata di un doppio cancello e all’interno di essa vi saranno altri piccoli spazi recintati che consentiranno ai proprietari dei gatti di fruire di spazio all’aperto per il gioco senza pericolo che il gatto scappi via.

Pare che i gestori potrebbero anche allestire l’area con strutture per far arrampicare i gatti, cespugli di erba gatta e tanti altri giochi e oggetti utili.

I benefici del gattoparco per il quartiere

Gabriele Rabaiotti, presidente del consiglio di Zona 6 spiega che il gattoparco Sarà un giardino condiviso. Nasce, infatti, su iniziativa dei cittadini”.

I felini potranno essere accompagnati nella struttura del gattoparco dai propri padroni e lasciati liberi di giocare e girare liberamente incontrando propri simili. Questo è importante soprattutto per chi ha un appartamento piccolo dove il proprio gatto non ha molta libertà e fuori dal quale rischierebbe di incorrere in mille pericoli.

Il gattoparco invece consente ai suoi ospiti di usufruire di un grande spazio protetto dalle insidie urbane. 
“Ma il parco non è solo per i gatti, è per tutti” spiega ancora Patrizia Peletti, la quale fa presente che nell’area saranno programmati anche incontri sul tema “gatto” da indirizzare ad adulti e bambini. 

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L’osteria ristrutturata con materiali di recupero

In un edificio addossato alle antiche mura della città di Castelfranco Veneto – provincia di Treviso – dove fino a poco tempo fa si trovavano alcuni uffici comunali, oggi è possibile degustare un buon vino accompagnato da un piatto tipico. L’architetto Anthony Bandiera, proprietario del locale e progettista, in collaborazione con Ideal Work, ha trasformato gli spazi anonimi e ordinari nell’Osteria del Maniscalco scovando in ogni angolo della città e dei dintorni oggetti e materiali di recupero.

PROGETTARE CON MATERIALI DI RECUPERO

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Il progetto dell’osteria

L’Osteria del Maniscalco nasce dal recupero di materiali e arredi. Il locale si sviluppa su due livelli: una scala in ferro conduce al livello superiore che si affaccia direttamente sulla sala a doppia altezza del piano terra. Gli spazi interni sono stati ridisegnati e ristrutturati per adattarsi alla nuova funzione, però materiali e strutture sono stati mantenuti e valorizzati. Le travi in legno del soffitto sono state ripristinate, la parete in mattoni addossata alle mura medievali è stata lasciata a vista, mentre tutte le altre superfici verticali sono state rivestite con vecchie assi in legno di rovere. I pavimenti invece sono stati rifatti per rispondere alle nuove esigenze.

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Molti elementi utilizzati sia per i rivestimenti che per i complementi d’arredo sono stati recuperati rovistando nelle stanze di vecchi casali della zona e nei mercatini dell’usato. I piani dei tavoli sono realizzati con assi di legno grezzo dello spessore di 3-4 cm utilizzate anche per rivestire il bancone mentre le sedie in ferro nero sono di recupero. Nuova invece è la vetrina espositiva dei vini in acciaio e vetro. L’intento è stato, infatti, quello non solo di riutilizzare e dare nuova vita a oggetti in disuso o del passato, ma anche quello di far dialogare antico e moderno.

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L’osteria ristrutturata con materiali di recupero

In un edificio addossato alle antiche mura della città di Castelfranco Veneto – provincia di Treviso – dove fino a poco tempo fa si trovavano alcuni uffici comunali, oggi è possibile degustare un buon vino accompagnato da un piatto tipico. L’architetto Anthony Bandiera, proprietario del locale e progettista, in collaborazione con Ideal Work, ha trasformato gli spazi anonimi e ordinari nell’Osteria del Maniscalco scovando in ogni angolo della città e dei dintorni oggetti e materiali di recupero.

PROGETTARE CON MATERIALI DI RECUPERO

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Il progetto dell’osteria

L’Osteria del Maniscalco nasce dal recupero di materiali e arredi. Il locale si sviluppa su due livelli: una scala in ferro conduce al livello superiore che si affaccia direttamente sulla sala a doppia altezza del piano terra. Gli spazi interni sono stati ridisegnati e ristrutturati per adattarsi alla nuova funzione, però materiali e strutture sono stati mantenuti e valorizzati. Le travi in legno del soffitto sono state ripristinate, la parete in mattoni addossata alle mura medievali è stata lasciata a vista, mentre tutte le altre superfici verticali sono state rivestite con vecchie assi in legno di rovere. I pavimenti invece sono stati rifatti per rispondere alle nuove esigenze.

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Molti elementi utilizzati sia per i rivestimenti che per i complementi d’arredo sono stati recuperati rovistando nelle stanze di vecchi casali della zona e nei mercatini dell’usato. I piani dei tavoli sono realizzati con assi di legno grezzo dello spessore di 3-4 cm utilizzate anche per rivestire il bancone mentre le sedie in ferro nero sono di recupero. Nuova invece è la vetrina espositiva dei vini in acciaio e vetro. L’intento è stato, infatti, quello non solo di riutilizzare e dare nuova vita a oggetti in disuso o del passato, ma anche quello di far dialogare antico e moderno.

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La foresta galleggiante nel porto di Rotterdam: Bobbing Forest

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso” affermava Confucio. In contesti come quelli portuali però, dove è il cemento a far da padrone, la possibilità di ricavare spazi verdi può essere considerata quasi un miraggio. Una brillante soluzione a tale problema è stata trovata a Rotterdam dove, tra poco più di un mese, verrà presentata la prima foresta galleggiante al mondo: la “Bobbing Forest”. 

In copertina: foto da DobberendBos.nl

Il progetto della BOBBING FOREST

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caption: foto da DobberendBos.nl

Gli olandesi, sempre più impazienti per la realizzazione del progetto della Bobbing Forest, sono ancora increduli di fronte all’eco internazionale che l’iniziativa della foresta galleggiante ha avuto; d’altronde si sa, quando passione per l’arte e cura del verde si incontrano nel medesimo progetto non può che venir fuori qualcosa di sorprendente!

Saranno sufficienti poche settimane per completare l’installazione; tutto dovrà essere pronto per il 16 marzo, giorno dell’inaugurazione e, non a caso, Giornata Nazionale dell’Albero. In tale occasione a Rotterdam saranno messi in acqua ed ancorati sul fondo del bacino portuale di Rijnhaven “20 alberi galleggianti”, mentre un ventunesimo sarà lasciato sulla banchina in modo che residenti e turisti possano osservarlo da vicino.

L’obiettivo è quello di offrire un valido contributo alla lotta per i cambiamenti climatici ma soprattutto porre l’accento sulla necessità dell’innalzamento della qualità della vita nelle città; la foresta galleggiante vuole essere un esempio per le nuove generazioni, un simbolo dell’importanza delle aree verdi all’interno del centro abitato.

L’idea della foresta galleggiante

La Bobbing Forest è la versione a scala naturale della scultura che Jorge Bakker, artista colombiano ma olandese di adozione, ha realizzato nel 2012: un acquario contenente alberi in scala sospesi sull’acqua tramite galleggianti.

caption: foto da Onderwerper.nl

“In Search of Habitats” (letteralmente “in cerca di habitat”) è l’evocativo titolo dell’opera che usa elementi naturali come acqua e piante per indurre l’osservatore ad una riflessione: che rapporto i cittadini hanno con la natura e come entrambi si relazionano con l’ambiente che li circonda?

Il messaggio non è passato inosservato a Jeroen Everaert, responsabile del centro di produzione culturale Mothership, Anne van der Zwaag, storica d’arte e imprenditore culturale, e al designer olandese Jurgen Bey, tanto da spingerli a “spostare l’asticella un po’ più in alto”, cercando di espandere tale concetto nella vita reale.

caption: foto da DobberendBos.nl

È nato così un progetto tanto avvincente sulla carta quanto pieno di ostacoli nella realtà.

Le molteplici sfide (tecniche, ambientali ed economiche) non hanno fatto altro che alimentare la voglia di fare degli ideatori, portando sin da subito Motheriship a cercare collaboratori all’altezza della situazione, in grado di uscire fuori dagli schemi e trovare soluzioni innovative per la foresta galleggiante.

Il risultato finale è frutto di un lavoro sinergico in cui, a professionisti dalla consolidata esperienza, sono stati affiancati giovani in grado di andare oltre i comuni parametri, grazie alla freschezza delle loro idee.

Le sfide del progetto della Bobbing Forest

Come ironizzato dallo stesso Evereat, anche gli alberi, come tutti gli esseri viventi, “soffrono il mal di mare”.

Il primo problema da risolvere era perciò quello di individuare le specie vegetali che potessero sopravvivere alla “vita galleggiante”; inoltre le boe dovevano essere in grado di tenere in piedi gli alberi senza che questi si ribaltassero.

caption: foto da DobberendBos.nl

Le ricerche effettuate da un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Van Hall Larenstein hanno permesso di escogitare il sistema più efficace per mantenere in vita le piante nelle acque salmastre del porto oltre che individuare la specie arborea più idonea: l’Olmo Olandese (Ulmus x hollandica “Major”). Connotato dalla capacità di crescere rapidamente, il legno duro che lo caratterizza è infatti in grado di resistere all’azione del vento e dell’acqua; necessita inoltre di poca potatura.

Le sperimentazioni necessarie ad impedire il ribaltamento delle boe della Bobbing Forest, soprattutto nei periodi di burrasca, sono state condotte da un team di aspiranti ingegneri civili della Delft University of Technology. I calcoli effettuati hanno evidenziato la necessità di apportare modifiche alle boe standard; le variazioni sono state realizzate da una Società di produzione dell’acciaio, grazie al lavoro di alcuni giovani tirocinanti sulla base dei disegni esecutivi del gruppo di progettazione strutturale.

Nel corso del periodo di ricerca, nel Marzo 2014, è stato lanciato con successo un primo prototipo; per il completamento dell’opera manca solo il delicato compito dell’assemblaggio finale.

caption: a sinistra l’assessore Alexandra van Huffelen durante il lancio del primo prototipo nel 2014. L’albero era spoglio. A destra i prototipi dopo il monitoraggio di 6 mesi: gli alberi si sono riempiti di foglie! Foto da Dobberendbos.nl

La foresta galleggiante di Rotterdam un progetto sostenibile

Oltre a quelli dei gruppi di ricerca universitari, fondamentali sono stati gli sforzi messi in campo da diverse autorità, sia locali che nazionali. Il loro prezioso contribuito ha fatto sì che, durante il lungo iter progettuale, non fosse mai perso di vista l’obiettivo cardine del progetto: la sostenibilità.

La maggior parte dei materiali utilizzati per la realizzazione della Bobbing Forest sono infatti riciclati.

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caption: foto da DobberendBos.nl

La Rijkswaterstaat, Agenzia del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ha messo a disposizione 20 boe utilizzate nel Mar del Nord e in via di dismissione.

Gli olmi sono stati donati dalla Bomendepot, una struttura del Comune che si occupa dello “stoccaggio del alberi”; da un po’ di anni infatti la città di Rotterdam ha deciso di adottare una politica volta alla tutela degli alberi negli spazi pubblici: ogni volta che un pezzo di città viene rinnovata, gli arbusti non più adatti al nuovo contesto non vengono abbattuti ma stipati in attesa di una nuova collocazione.

Ruolo chiave è stato infine svolto dalla piattaforma per l’innovazione di Rotterdam, CityLab010, che ha permesso la fattibilità economica del progetto.

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