Costruzioni in scala reale con mattoncini Lego

I processi costruttivi dell’architettura contemporanea, evolvendosi, per ragioni di sostenibilità, tendono sempre più a industrializzare tecniche e procedure compositive per preservare al meglio l’ambiente e le risorse che in esso possiamo trovare. Il concetto di modulo, spesso esasperato, viene utilizzato per generare proporzioni equilibrate di edifici o di insiemi di edifici. Se ripensiamo all’architettura classica, ci riferiamo ad un solo ed unico modulo, il diametro della colonna. Oggi questo concetto, ampiamente rielaborato e modificato per necessità ed estro, può prendere varie forme e legarsi alle dimensioni di un mattone, di una balletta di paglia, di un container, di un tubo di cartone…

UN’ABITAZIONE CONCEPITA COME UNA COSTRUZIONE DI LEGO

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Un ragionamento un po’ più fanciullesco è stato fatto da alcune aziende che si sono messe a produrre mattoni di plastica che come i lego, uniti tramite incastri, possono formare strutture per interni ed esterni.

Questo strumento è come un giocattolo; proposti in forme e colori diversi, per meglio adattarsi alle esigenze, alle idee e alle abilità degli acquirenti, questi blocchi in polipropilene autoestinguente possono essere utilizzati con estrema facilità per costruire mobili, pareti, scaffali, banconi, intere stanze o strutture perfettamente funzionanti. I mattoncini infatti possono essere assemblati come tutti gli altri componenti modulari, ma in scala più ampia. L’unico limite di questi componenti sta nella dimensione dell’oggetto finale. La costruzione a questa scala non discrimina la semplicità compositiva, che rimane invariata; rimane da dire però, che il crollo di una parete di una decina di centimetri di altezza non è minimamente da paragonare a ciò che potrebbe provocare la caduta di una parete di tre metri.

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La costruzione con questi blocchi non è particolarmente impegnativa o di difficile esecuzione; giustamente però, le domande di molti utenti riguardano la stabilità e alcuni problemi a essa connessi. Costruire una struttura con muri portanti significa seguire lo stesso iter per la costruzione di una classica muratura armata in laterizio, usando i cavedi preposti all’interno dei blocchi in plastica come alloggio di barre in acciaio che hanno il compito di legare al meglio il piede del muro con la sommità e aumentarne la stabilità strutturale. Come ultima prescrizione, vale la classica regola delle costruzioni con mattoni o simili; il corretto assemblaggio avviene coprendo la giunzione tra le teste dei blocchi della fila sottostante con un mattoncino.

Il cavedio del mattone in plastica, può essere utilizzato, in caso di assemblaggio di elementi di arredamento o partizioni interne, per l’inserimento di piccoli impianti, di modo da non dover più ricorrere alle tracciature.

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Globalmente, l’idea di riproporre un elemento che fa parte della nostra infanzia, ma ad una scala più ampia, è decisamente da perorare. Questi blocchetti prefabbricati un giorno potrebbero aiutare a costruire moduli (pensiamo ai rifugi di emergenza) con una velocità ed una semplicità strabilianti riuscendo magari a coinvolgere più persone in quello che potrebbe diventare il gioco delle costruzioni modulari.

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Muri a secco in Italia e tecniche di realizzazione

Grazie all’utilizzo di pratiche tradizionali tramandate dalle maestranze di generazione in generazione, la campagna italiana presenta tutt’oggi alcuni aspetti che possono essere interpretati quali testimonianze del suo paesaggio originario. Un contributo, questo, che è stato determinante nel riuscire a tutelare e conservare il nostro grande patrimonio storico, culturale e naturale, e che ha imparato nel tempo non solo a non scontrarsi ma anche ad adattarsi alle più moderne tecniche costruttive spesso sbandierate quali necessarie ed indispensabili ai fini dell’evoluzione e del miglioramento del nostro paesaggio rurale. Il continuo ricorso alle piú antiche tecniche agricole e costruttive ha permesso in molti casi di mantenere intatto il nostro ambiente naturale, la sua bellezza e la sua ricchezza, dimostrando l’importanza che ha saper guardare al passato come fonte inesauribile di informazioni da cui attingere al fine di salvaguardare il nostro paesaggio e la ricchezza delle risorse naturali che lo rendono unico al mondo.

In copertina: Singolare vista dei terrazzamenti delle Cinque Terre (Liguria).

I MURETTI A SECCO ISPIRANO UNA CASA SEMI-IPOGEA

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Tra le tecniche costruttive del passato ancora oggi assai diffuse e facili da ritrovare in giro per le nostre campagne c’è la realizzazione di muretti a secco (di confine, di divisione, di sostegno). Una tecnica rintracciabile in quasi tutte le tradizioni culturali del passato e che può essere considerata quale primo tentativo di modificare l’ambiente per la realizzazione di un semplice riparo o delimitare una qualsiasi superficie. Tutte le grandi culture del passato hanno fatto ricorso ai muri a secco, dai Greci ai Romani alle altre popolazioni del bacino mediterraneo fino alle culture del’Europa continentale, dell’America Latina (soprattutto in Perù), della Cina.

Eppure ancora oggi l’importanza dei muri a secco viene spesso sottovalutata dimenticando inoltre che i vuoti presenti in essi rappresentano uno spazio vitale per molte specie animali (ragni, lumache, rettili, anfibi ecc…) e vegetali grazie alla presenza e all’alternanza di spazi caldi, freddi, umidi, aridi, soleggiati, ombreggiati. Non a caso si tratta di un argomento oggetto di dibattito tra chi come il FAI si occupa di tutela e conservazione dell’ambiente e del paesaggio e chi invece si fa sostenitore di tecniche di costruzione “moderne” la cui durata e capacitá di inserimento nel paesaggio sono di gran lunga minori a quelle dei muri a secco.

I muri a secco in Italia

In Italia è possibile identificare diverse tipologie di muri a secco non solo per l’utilizzo che se ne fa ma anche per la tecnica che si utilizza per realizzarli, spesso diversa da regione a regione. Ed ogni regione sta cercando a suo modo di salvaguardare questo grande patrimonio.

Il Regolamento per la Riqualificazione del Patrimonio Edilizio edito dalla Regione Liguria prescrive che “il ripristino dei muri di sostegno deve attuarsi senza utilizzo di malta ma con l’inserimento, ad opera ultimata, di una eventuale rete geosintetica di rinforzo non visibile, avendo l’accorgimento di convogliare opportunamente le acque meteoriche e di reimpiegare in modo opportuno le pietre pericolanti”.

Anche in Sardegna il Piano Paesaggistico Regionale prevede la tutela dei muri a secco esistenti; in Toscana non mancano i bandi per il loro recupero e in Sicilia il nuovo PSR 2014-2020 prevede finanziamenti a loro favore.

caption: Muri a secco in Istria.

caption: Muri a secco in Sardegna.

caption: Muri a secco in Sicilia.

caption: Muri a secco in Sicilia.

caption: Muri a secco per terrazzamenti su vigna in Toscana .

Il caso della Puglia

La Puglia è una delle regioni italiane in cui la diffusione delle costruzioni a secco ha dato vita a tipologie edilizie uniche (si pensi ad esempio ai famosissimi trulli) e in cui i muri a secco in particolare sono elemento caratterizzante del paesaggio rurale da centinaia e centinaia di anni: essi non solo hanno valenza storica – essendo utilizzati come linee di confine e traccia per delineare gli antichi sentieri – ma funzionano, ancora oggi, come elemento antropico in sintonia con il paesaggio agricolo, che salvaguarda le biospecie animali che del muretto si servono per le proprie funzioni vitali. Per non parlare poi della funzione di filtro dei muretti, per quanto riguarda lo scorrimento delle acque fra un terreno e un altro in caso di pioggia: l’acqua filtrando negli interstizi del muretto passa da zone di terreno a livelli più alti verso quelle a livelli più bassi distribuendosi lungo il cammino e lasciando appunto ai piedi del muretto tutta quella parte organica non filtrata che diventa humus utile alla rigenerazione del terreno stesso.

caption: Muro a secco pugliese (in Puglia la disposizione, il tipo di finitura e la dimensione delle pietre varia addirittura da zona a zona).

La Giunta della Regione Puglia, con la Deliberazione n.1544/2010, ha approvato le indicazioni tecniche per gli interventi di ripristino dei muretti a secco nelle aree naturali protette e nei siti Natura 2000, erogando anche dei contributi nel quinquennio dal 2007 al 2013 (azione 1, misura 216 del Programma di Sviluppo Rurale 2007-2013). Tra le ragioni che hanno spinto alla tutela e al ripristino di queste unicità del territorio pugliese vanno considerati i loro diversi aspetti ecologici, storici e paesaggistici.

Tra le raccomandazioni della Deliberazione vi era quella che prevedeva che i muretti fossero (e siano visto che la normativa in merito è ancora in vigore) in “uno stato di conservazione soddisfacente delle specie e degli habitat presenti nel sito”, proprio a significare la loro funzione di elementi ecologici che contribuiscono non solo a scopi antropici ma contribuiscono a non intralciare la normale vita biologica dei terreni.

In merito alla loro funzione é stato anche specificato che con gli interventi di ripristino occorre impegnarsi a “rispettare l’originale tipologia costruttiva del muretto a secco senza apportare elementi estranei come reti, malta cementizia, ecc…”.

Le tecniche basilari per la realizzazione di muretti a secco

Prima cosa bisogna disporre le pietre una sull’altra assicurandone la necessaria stabilità, senza ricorrere a leganti (malta o cemento). In pratica, si inizia con lo scavare trincea di fondazione pari all’intera lunghezza del muro che si vuole realizzare, in modo da creare una base che deve essere realizzata rigorosamente sempre a secco con la stesse pietre. La posa delle prime pietre deve essere fatta su uno strato di terreno che deve risultare il più possibile compatto e solido. Infatti, come nelle costruzioni in cemento, la struttura e la solidità delle fondamenta determineranno la futura stabilità dell’opera.

Con l’impiego della mazzetta (avente la punta a piccone e i lati retrostanti squadrati e non stondati) si deve cercare regolarizzare le pietre da utilizzare squadrandole; in basso vengono collocate quelle di maggiori dimensioni,  e man mano che si sale quelle di dimensioni inferiori senza però ridursi ai sassi che invece costituiranno l’interstizio se si tratta per esempio dei muretti di confine pugliesi.

caption: A sinistra un muro a secco di confine con struttura rastremata, al centro un muro a secco con struttura non rastremata, a destra una tipica struttura a secco pugliese (detta pagghiaro) in cui il muro diventa elemento strutturale.

caption: Muro a secco con struttura a spina di pesce.

caption: Muro a secco con struttura tipo cordonato.

Non esistono delle regole standardizzate per la realizzazione di muretti a secco: ogni muretto, essendo un elemento che convive col paesaggio, va adattato alla zona interessata e che il più importante fattore che ne determina le caratteristiche quali esposizione, struttura, composizione e quant’altro è la mano del suo realizzatore. Tuttavia in genere i muri a secco di tutte le tipologie sono suddivisibili in quattro zone: base (o piede di fondazione), livello medioporzione rastremata superiore, coronamento (o cima).

I fattori che determinano l’importanza ecologica e per la biodiversità dei muri sono:

  1.  struttura iniziale
  2.  inclinazione ed esposizione
  3.  decomposizione
  4.  velocità di colonizzazione

Su questi fattori influiscono soprattutto: clima, apporto idrico, calore, luce, sostanze inquinanti.

Svantaggi dell’uso di cemento o altri additivi nella realizzazione dei muri a secco

I “maestri” dei muretti a secco sostengono che l’uso di tecniche alternative a quelle tradizionali (utilizzo di malta e/o cemento per ancorare le pietre o altro) e l’eliminazione totale o parziale delle opere preesistenti provoca la riduzione del valore paesaggistico del luogo ed è responsabile di pericolosi fenomeni di smottamento del terreno e della riduzione della fertilità del suolo con la conseguente necessità di ricorrere a tecniche di intervento non tradizionali nel primo caso e non naturali nel secondo innescando una catena dannosa dal punto di vista del paesaggio e della salute della popolazione.

I tradizionali muri a secco consentono al contrario di assicurare stabilità ai terreni e di tutelare l’elemento più prezioso del paesaggio rurale, il suolo, offrendo allo stesso tempo un ambiente tradizionalmente favorevole alla vita animale e vegetale.

Un muro a secco è un tesoro ed é fondamentale apprezzarne il valore per imparare a riconoscerli, a salvaguardarli e a replicarli nel rispetto della tradizione e dell’ambiente.

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Miglior padiglione dell’Expo 2015: il Regno Unito vince il premio della giuria

IN/ARCH, ANCE, CNAPPC, Federcostruzioni e OICE sotto il coordinamento di PPAN hanno lanciato il premio per “Le Architetture dei Padiglioni di Expo Milano 2015”, articolato in premio della giuria e premio del pubblico.

Sul sito è possibile votare il proprio padiglione preferito con un semplice click, tempo fino al 20 Ottobre 2015, l’esito sarà annunciato entro il 31 Ottobre. Ad oggi sembra essere in testa il Padiglione Italia progettato dallo studio Nemesi.

LA STORIA DELL’EXPO

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IL PREMIO DELLA GIURIA AL PADIGLIONE UK

Il premio della giuria, composta da Adolfo Guzzini (Presidente IN/ARCH), Claudio De Albertis (Presidente ANCE), Leopoldo Freyrie (Presidente CNAPPC), Rodolfo Girardi (Presidente Federcostruzioni), Alfredo Ingletti (Vice Presidente OICE), Gabriele Del Mese (Fondatore Arup Italia), Alessandro Cambi (SCAPE-Vincitore del Premio CNAPPC “Giovane Talento dell’Architettura Italiana 2014”) e Maria Claudia Clemente (Labics), è stato svelato il 29 settembre ed è risultato vincitore il padiglione del Regno Unito, ritenuto il più attinente al tema di Expo 2015, sia per l’interdisciplinarietà che per il risultato architettonico. Menzioni di onore sono state assegnate ai Padiglioni del Brasile, Cile e Marocco, mentre i Cluster, fuori concorso, sono stati segnalati in quanto hanno dato possibilità anche ai Paesi meno abbienti di partecipare ad una esposizione così importante.

Ma quali sono stati i punti di forza del Padiglione britannico? Scopriamolo insieme

Padiglione UK: un grande alveare

Progettato dall’artista Wolfgang Buttress insieme a BDP e costruito da Stage One e Rise, “BE HIVE” il padiglione britannico per Expo Milano 2015 si ispira alla vita delle api, tema peraltro ricorrente anche in altri spazi espositivi, ad esempio nel padiglione della Germania

Perché le api sono un tema così ricorrente? Questi piccoli insetti svolgono un ruolo fondamentale nell’ecosistema in quanto impollinatori, permettono alle essenze arboree e alle erbe di riprodursi, pertanto giocano un ruolo chiave nella produzione globale di cibo. Inoltre, un aspetto interessante è il modo in cui collaborano tra di loro, ed è questo un altro tema ripreso più volte in Expo, l’importanza della collaborazione, ognuno di noi nel suo piccolo deve impegnarsi per il pianeta, solo così potremo rispondere alle grandi sfide mondiali a livello energetico ed alimentare.

Nel caso UK, è l’intero padiglione, sia nell’allestimento che nell’architettura, ad ispirarsi alla vita ed al mondo di questi piccoli insetti. Il visitatore si trova a vivere un’esperienza sensoriale con gli occhi di un’ape: si accede attraverso un percorso che ricorda un frutteto, con pareti microforate attraverso le quali, avvicinando gli occhi ai fori, sono visibili dei mini filmati che spiegano il lavoro delle api e la loro importanza a livello ambientale.

Si passa poi in un prato fiorito, dalle forme volutamente esagonali, in cui l’erba e le piante sono all’altezza della visuale umana, infine si giunge al grande alveare costituito da una struttura in acciaio a traliccio sorretta da pilastri.

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Salendo ed accedendo all’interno di questa struttura, ci si ritrova in un ambiente suggestivo. Il grande alveare è infatti collegato con un vero alveare monitorato dalla Nottingham Trent University, di notte il movimento delle api viene utilizzato per illuminare il padiglione. Il risultato è un fantastico gioco di luci che si accendono e si spengo a seconda della quantità di moto registrata a Nottingham.

Inoltre nel piano inferiore è possibile ascoltare il rumore di queste api grazie ad un allestimento composto da colonnine nelle quali si deve porre un bastoncino e tenerlo con la bocca, le vibrazioni si trasmettono così dal bastoncino alla bocca e permettono di sentire l’attività delle api monitorate in Gran Bretagna. 

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Un aspetto notevole nell’architettura del padiglione è la possibilità di essere smontato e poter essere rimontato altrove una volta che l’Esposizione Universale del 2015 sarà finita.

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La casa intorno all’albero a Londra

A Londra in un tipico quartiere residenziale, nascosta dietro la cortina di case ottocentesche che si affacciano sulla via dall’aspetto austero e ordinato, sorge una costruzione insolita: un maestoso albero di sommacco è abbracciato da un basso e curvo edificio in legno. Si tratta dell’ampliamento dell’abitazione ottocentesca di un noto critico d’arte realizzato dallo studio di progettazione 6a Architecture all’interno del rigoglioso giardino della casa di famiglia.

UN ASILO INTORNO ALL’ALBERO CENTENARIO

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IL PROGETTO DELLA CASA CHE ABBRACCIA L’ALBERO

La storia dell’edificio inizia nel 1830 quando vengono edificate le due case gemelle in mattoni che saranno poi unite negli anni ’70. Con il passare del tempo le esigenze della famiglia mutano e per permettere alla padrona di casa, che ormai si muove solo sulla sedia a rotelle, di passare il tempo con i propri cari e di fruire della zona giorno è stato realizzato l’ampliamento verso il giardino. I progettisti hanno ristudiato i collegamenti verticali, hanno realizzato una passerella in modo da mettere in comunicazione diretta soggiorno e cucina senza la necessità di percorre scale e hanno posizionato nel nuovo volume una camera da letto e un bagno.

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L’ampliamento ha preso in considerazione la presenza di un albero ad alto fusto che è diventato l’elemento generatore del progetto. La facciata curva svolge un duplice compito: da un lato risolve il problema del mantenimento della pianta e dall’altro permette la creazione di un piccolo terrazzo leggermente rialzato rispetto al giardino. Ampie finestrature permettono inoltre di godere della vista del verde anche quando le temperature esterne sono rigide e non è possibile stare all’aperto.

Il volume aggiunto è interamente smontabile: fondazioni, struttura e rivestimenti sono in legno. Le pareti esterne sono rivestite con listelli di parquet rigenerato e opportunamente trattato, mentre gli interni sono in pannelli tinteggiati di colore bianco. Il risultato finale è una casa che si adatta alle esigenze della committenza senza sacrificare piante e fiori e che favorisce un rapporto diretto con il giardino.

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La casa intorno all’albero a Londra

A Londra in un tipico quartiere residenziale, nascosta dietro la cortina di case ottocentesche che si affacciano sulla via dall’aspetto austero e ordinato, sorge una costruzione insolita: un maestoso albero di sommacco è abbracciato da un basso e curvo edificio in legno. Si tratta dell’ampliamento dell’abitazione ottocentesca di un noto critico d’arte realizzato dallo studio di progettazione 6a Architecture all’interno del rigoglioso giardino della casa di famiglia.

L’ASILO INTORNO ALL’ALBERO CENTENARIO

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IL PROGETTO DELLA CASA CHE ABBRACCIA L’ALBERO

La storia dell’edificio inizia nel 1830 quando vengono edificate le due case gemelle in mattoni che saranno poi unite negli anni ’70. Con il passare del tempo le esigenze della famiglia mutano e per permettere alla padrona di casa, che ormai si muove solo sulla sedia a rotelle, di passare il tempo con i propri cari e di fruire della zona giorno è stato realizzato l’ampliamento verso il giardino. I progettisti hanno ristudiato i collegamenti verticali, hanno realizzato una passerella in modo da mettere in comunicazione diretta soggiorno e cucina senza la necessità di percorre scale e hanno posizionato nel nuovo volume una camera da letto e un bagno.

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L’ampliamento ha preso in considerazione la presenza di un albero ad alto fusto che è diventato l’elemento generatore del progetto. La facciata curva svolge un duplice compito: da un lato risolve il problema del mantenimento della pianta e dall’altro permette la creazione di un piccolo terrazzo leggermente rialzato rispetto al giardino. Ampie finestrature permettono inoltre di godere della vista del verde anche quando le temperature esterne sono rigide e non è possibile stare all’aperto.

Il volume aggiunto è interamente smontabile: fondazioni, struttura e rivestimenti sono in legno. Le pareti esterne sono rivestite con listelli di parquet rigenerato e opportunamente trattato, mentre gli interni sono in pannelli tinteggiati di colore bianco. Il risultato finale è una casa che si adatta alle esigenze della committenza senza sacrificare piante e fiori e che favorisce un rapporto diretto con il giardino.

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Lo studio di architettura galleggiante nei vecchi hangar per le barche

Lo studio di architettura 3xn ha deciso di trasferirsi in una dimora del tutto particolare: i vecchi hangar per le barche, sul canale di Copenaghen. Le grandi dimensioni delle strutture ha permesso ai progettisti di ospitare nel medesimo locale tutti i suoi collaboratori, fino a 150 persone, che nella vecchia sede dello studio, nel quartiere del centro storico di Copenaghen, Christianshavn, erano stati distribuiti in tre piani di un palazzo. L’ufficio galleggiante, di 2000 mq, nella zona di Holmen, permette di interagire simultaneamente tra i diversi componenti dello studio: sullo stesso livello, è possibile concentrare tutte le attività, tenendo monitorato lo sviluppo del progetto, creando una sezione per la fabbricazione di modelli e plastici.

L’UFFICIO GALLEGGIANTE IN LEGNO, CANNE E PAGLIA

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Lo storico capannone risale al 1800 e fu edificato per alloggiare e riparare imbarcazioni militari. Il piano della struttura degrada verso il canale, progettato perché le navi potessero agevolmente scivolare sul pelo dell’acqua. La facciata orientale, verso il canale è stata schermata attraverso grandi vetrate e porte che, insieme ai lucernari permettono l’ingresso della luce naturale nell’ambiente.

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La conservazione dell’edificio esterno, vincolato, ha permesso di mantenere un carattere originario. All’interno sono stati rimossi i divisori per realizzare la grande sala lavoro. Sono state create delle sale conferenza in vetro, “delle scatole dentro la scatola”, in modo che fosse possibile fare riunioni senza fermare il “flusso di lavoro” con barriere materiche più schermanti. Gli interni, che mostrano la struttura in legno, pareti bianche, scrivanie bianche e vetro, rivendicano il vero focus dell’ambiente: fotografie, rendering e modelli, il “prodotto” dello studio.

Kim Herforth Nielsen, il fondatore di 3XN, ritiene che tutti, dai progettisti fondatori fino all’ultimo degli stagisti, siano portatori di idee preziose per migliorare i progetti che escono dal suo studio e che ambiscono a migliorare la vita della società. Per questo ha voluto fortemente questo trasferimento, impegnandosi in un progetto open space che facilitasse la comunicazione; ha poi diviso i collaboratori in squadre, in modo che si creassero delle micro aree di lavoro. Tutti possono vedere tutti ed essere ispirati da ciò che stanno facendo gli altri. Stravolgendo la cultura gerarchica del lavoro a cui siamo abituati, tutti i partner che dirigono lo studio si siedono insieme al personale, condividendo le decisioni e i progetti. Ad oggi ci sono 80 persone che, ogni giorno, progettano, disegnano e comunicano. Uno spazio così flessibile ne può ospitare altrettante. 

Che dire..che invidia!

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Il lookout delle Dolomiti ed il piano per 20 terrazze panoramiche

Unire Architettura e natura, facendo svanire il confine tra intervento e contesto, è lo scopo dello studio MESSNER Architects per il loro “Lookout”. Il Lookout, ovvero terrazza panoramica, è situato a 2.307 metri sul Monte Specie, nel cuore del parco naturale di Fanes-Senes-Braies nelle Dolomiti. La terrazza sul Monte Specie è il progetto pilota e funge da primo passo per i successivi interventi. Alla base del progetto c’è un piano generale di terrazze panoramiche, 20 complessivamente, di cui sette in Alto Adige.

L’obiettivo finale è di mettere in comunicazione tutte le nove aree delle Dolomiti, patrimonio mondiale dell’umanità.

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Il progetto ha inizio nel 2012, quando, la Fondazione Dolomiti UNESCO commissiona a Messner Architects e allo scultore Franz Messner il progetto architettonico, paesaggistico e grafico della realizzazione di punti panoramici con cui valorizzare il patrimonio naturale delle Dolomiti, al fine di incrementarne la popolarità.Visto il contesto altamente sensibile, l’idea principale è quella di creare una struttura strettamente legata al luogo: anzichè aggiungere corpi e masse al paesaggio, pensa di trasformare lo stesso tramite un ipotetico taglio nel terreno e il suo sollevamento.

Lo scopo rimane quello di unire natura e struttura, facendo svanire il confine tra intervento e contesto, ma lasciando al contempo un dialogo tra i due, grazie ad una nuova interpretazione della topografia. In modo particolare, questa idea si realizza in un involucro esterno, dalla forma ad anello su cui sono incisi i nomi delle cime visibili, realizzato in acciaio e riempito con terreno e sassi locali, ciò fa sì che il limite tra artefatto e contesto naturale venga quasi del tutto eliminato.

L’attenzione per il territorio e la diffusione della sua conoscenza sono ulteriormente promossi da alcune informazioni che il visitatore può leggere sul perimetro dell’involucro, relative al paesaggio e alla sua geologia. Mentre, al centro la struttura è dotata di una bussola di orientamento, dove sono indicate le cime visibili. 

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I vari “terrazzi” panoramici assumono forme e dimensioni differenti, adattandosi pienamente alla morfologia del territorio in cui sono inserite. La Terrazza panoramica Monte Specie, in particolare, non è soltanto un belvedere nel parco naturale, ma vuole anche contribuire a sensibilizzare la popolazione sul tema Dolomiti e quindi rafforzare in modo sostenibile il senso di appartenenza e la responsabilità per la tutela del bene paesaggistico.

Il progetto è sicuramente il risultato della creazione di una struttura strettamente intrecciata con il contesto alpino, dove non vi è l’inserimento di corpi o masse esterne, privilegiando invece solo lievi modifiche del paesaggio. Un intervento che pone alla sua base una grande passione per il paesaggio, che grazie all’uso di materiali reperiti in loco affiancati da un attento studio topografico, permette di valorizzare ed enfatizzare la maestosità e l’importanza della catena montuosa dolomitica.

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Il lookout delle Dolomiti ed il piano per 20 terrazze panoramiche

Unire Architettura e natura, facendo svanire il confine tra intervento e contesto, è lo scopo dello studio MESSNER Architects per il loro “Lookout”. Il Lookout, ovvero terrazza panoramica, è situato a 2.307 metri sul Monte Specie, nel cuore del parco naturale di Fanes-Senes-Braies nelle Dolomiti. La terrazza sul Monte Specie è il progetto pilota e funge da primo passo per i successivi interventi. Alla base del progetto c’è un piano generale di terrazze panoramiche, 20 complessivamente, di cui sette in Alto Adige.

L’obiettivo finale è di mettere in comunicazione tutte le nove aree delle Dolomiti, patrimonio mondiale dell’umanità.

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Il progetto ha inizio nel 2012, quando, la Fondazione Dolomiti UNESCO commissiona a Messner Architects e allo scultore Franz Messner il progetto architettonico, paesaggistico e grafico della realizzazione di punti panoramici con cui valorizzare il patrimonio naturale delle Dolomiti, al fine di incrementarne la popolarità.Visto il contesto altamente sensibile, l’idea principale è quella di creare una struttura strettamente legata al luogo: anzichè aggiungere corpi e masse al paesaggio, pensa di trasformare lo stesso tramite un ipotetico taglio nel terreno e il suo sollevamento.

Lo scopo rimane quello di unire natura e struttura, facendo svanire il confine tra intervento e contesto, ma lasciando al contempo un dialogo tra i due, grazie ad una nuova interpretazione della topografia. In modo particolare, questa idea si realizza in un involucro esterno, dalla forma ad anello su cui sono incisi i nomi delle cime visibili, realizzato in acciaio e riempito con terreno e sassi locali, ciò fa sì che il limite tra artefatto e contesto naturale venga quasi del tutto eliminato.

L’attenzione per il territorio e la diffusione della sua conoscenza sono ulteriormente promossi da alcune informazioni che il visitatore può leggere sul perimetro dell’involucro, relative al paesaggio e alla sua geologia. Mentre, al centro la struttura è dotata di una bussola di orientamento, dove sono indicate le cime visibili. 

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I vari “terrazzi” panoramici assumono forme e dimensioni differenti, adattandosi pienamente alla morfologia del territorio in cui sono inserite. La Terrazza panoramica Monte Specie, in particolare, non è soltanto un belvedere nel parco naturale, ma vuole anche contribuire a sensibilizzare la popolazione sul tema Dolomiti e quindi rafforzare in modo sostenibile il senso di appartenenza e la responsabilità per la tutela del bene paesaggistico.

Il progetto è sicuramente il risultato della creazione di una struttura strettamente intrecciata con il contesto alpino, dove non vi è l’inserimento di corpi o masse esterne, privilegiando invece solo lievi modifiche del paesaggio. Un intervento che pone alla sua base una grande passione per il paesaggio, che grazie all’uso di materiali reperiti in loco affiancati da un attento studio topografico, permette di valorizzare ed enfatizzare la maestosità e l’importanza della catena montuosa dolomitica.

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Due edifici in uno: quando ristrutturare significa unire

Lo studio Delvendahl Martin Architects ha deciso di accogliere la sfida della ristrutturazione di due vecchi edifici vittoriani nel centro di Oxford, dando la possibilità ai proprietari di ripensare all’orientamento dei due tipiche “semi-detached houses” e poter disporre di ampie superfici ad ogni piano.

Il progetto, denominato dagli architetti “la bifamiliare”, si trova nel centro della città universitaria storica nel sud dell’Inghilterra. Planimetricamente l’abitazione si compone di 350 mq, in cui si può notare l’ampio soggiorno a pianta aperta: al piano primo si affaccia sia sulla strada principale tramite le tipiche bow windows, che sul giardino sul retro, dove è possibile osservare la parte posteriore della proprietà tramite ampie vetrate.

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L’acceso contrasto materico tra pieni e vuoti, mattone e vetro, è ritmicamente riproposto, dissolvendo la vecchia simmetria dei due corpi, originariamente separati, dando l’impressione di un solo blocco. A collegare le due unità è la scala in legno, volutamente differenziata con una tinta scura dalle travi originali, unisce ai piani alti le camere da letto e l’ufficio e ai primi piani la cucina e soggiorno. I mattoni recuperati nelle demolizioni sono stati sapientemente conservati per ricreare il selciato che introduce alla casa dal giardino sul retro. Il seminterrato ospita corridoio, cucina e una zona pranzo, che può essere collegata al giardino posteriore aprendo l’ampia vetrata.

I telai in alluminio anodizzato, di ampia sezione, sono stati pensati per schermare l’interno della casa alle proprietà vicine confinanti, creando l’effetto di una terrazza sopraelevata. La distinzione tra i due edifici è stata mantenuta nel giardino, dove si può ancora vedere il muro originale. L’ampia vetrata sul retro, quasi una “architrave luminosa” è sostenute da due “piedritti” di mattoni, che si differenziano anche cromaticamente, dal resto dell’edificio. Questo dettaglio, unito agli arredi su misura, luci, maniglie e corrimano dichiaratamente in contrasto con l’epoca vittoriana è una precisa scelta stilistica. L’utilizzo di materiali contemporanei imprime una personalità al recupero, sovrapponendo allo scientifico ripristino delle strutture una doverosa distinzione dovuta alle nuove esigenze di oggi.

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Un centro di accoglienza sostenibile per le donne vittime di violenza

Ci troviamo in Tanzania e precisamente a Moshi, nella regione del Kilimanjaro, tristemente famosa per i numerosi casi di violenza sulle donne che, purtroppo, non hanno gli strumenti giuridici e culturali per opporsi a questo stato di cose e non sono abbastanza tutelate dalla legge.

Qui opera l’organizzazione Kilimanjaro Women Information Exchange and Consultancy Organization (KWIECO), fondata nel 1987 per offrire un servizio di consulenza alle donne bisognose di risposte su questioni legali, economiche, sociali e di salute.

E’ proprio in questo contesto che, grazie al supporto della ONG Ukumbi e allo stanziamento di fondi del Ministero degli Affari Esteri finlandese, KWIECO ha affidato allo studio di architettura Hollmèn Reuter Sandman Architects la progettazione di una struttura comunitaria, un centro di accoglienza sostenibile per le donne che hanno subito violenze domestiche e hanno il diritto di vivere e studiare insieme ai propri bambini.

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IL PROGETTO DEL CENTRO DI ACCOGLIENZA

La prima fase del progetto si è conclusa a maggio 2015 con il completamento di Shelter House, la parte dedicata agli alloggi; per la seconda fase, cioè la realizzazione di una scuola adiacente, Ukumbi e KWIECO stanno cercando di raccogliere fondi.

L’abitazione ecosostenibile abbraccia tre cortili esterni che favoriscono l’illuminazione naturale e la ventilazione degli ambienti. Le pareti, dentro cui sono inserite bottiglie di vetro attraverso le quali permea la luce naturale creando particolari effetti, sono ricavate dalla trasformazione dei rifiuti in materiali da costruzione. Tutti i passaggi sono coperti da portici realizzati in metallo, mentre le coperture sono rivestite con pannelli solari e fotovoltaici che forniscono acqua calda ed energia pulita a ogni abitazione.

I materiali sono stati reperiti sul posto, si sono scelti colori brillanti ed è stata rispettata la cultura locale per rendere il centro di accoglienza una casa allegra e confortevole, capace di ospitare venti donne con i loro bambini in modo sicuro, oltre agli uffici.

Si tratta di un progetto partecipato, che ha coinvolto le donne che hanno collaborato con gli architetti, aiutandoli a realizzare una casa in grado di soddifare le loro necessità e aumentare il loro senso di appartenenza al luogo.

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Quiz “Indovina l’architetto?”

Per tutti gli appassionati di quiz, info-grafica e architettura, proponiamo il divertente gioco ‘Indovina l’architetto?’ in cui 18 archi-star sono definite da pochi segni grafici e da un breve suggerimento. Non aspettatevi planimetrie o facciate di edifici famosi, perché bisogna associare i nomi dei grandi maestri del 20° secolo a volti, acconciature e accessori, alcuni divenuti tanto popolari da dettare mode. Chi sarà l’architetto dagli occhiali tondi, a chi appartengono le sopracciglia folte e il sigaro fumante?

Il gioco è stato pubblicato sul sito Fastcompany e fa parte del libro ‘Archi-Graphic’ con ben 60 info-grafiche legate al mondo architettonico (edit. Laurence King, pubblicazione Ottobre 2015). L’autore Frank Jacobus è professore associato presso la Scuola Jones Fay di Architettura nell’Università di Arkansas ed ha raccolto i dati con una dose di leggerezza e d’ironia.

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Del resto chi non si è mai incuriosito dell’aspetto dei grandi maestri o ha portato avanti tesi piuttosto insolite? Certo nessuno si è spinto alla definizione della mappa delle relazioni extraconiugali degli architetti… ma il lavoro di Jacobus nasce proprio in quella sottile linea che separa l’irriverente dall’irrilevante. Il tutto ovviamente illustrato con diagrammi dalla precisione chirurgica la cui sintesi visiva rivela la complessità dei dati reperiti e lo sforzo di rappresentarli efficacemente.

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“Amo l’umorismo presente nel libro …”, dice Jacobus, “c’è una tendenza a prendere le cose troppo sul serio in architettura. Stiamo cercando di rendere le cose con più leggerezza. Parte del mio interesse è nella visualizzazione dei dati e ho pensato questo fosse un ottimo modo per portare l’architettura ad un pubblico più vasto.”

Jacobus ha lavorato con 20 studenti di architettura nella ricerca di dati e alla loro digitalizzazione. L’intero processo ha richiesto circa un anno e mezzo, ma senza dubbio sembra essere stato tra i più divertenti corsi di studio! L’impatto visivo di ogni diagramma mostra il potere indiscusso delle info-grafiche, non raggiungibile con le parole o semplici immagini.

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Alcuni grafici sono informativi e riflettano aspetti specifici dei grandi maestri come l’ossessione di Richard Meier per il bianco e le palette di colori preferiti dagli architetti del 20° secolo.

“Per me, il bianco è il colore più meraviglioso perché al suo interno si possono vedere tutti i colori dell’arcobaleno,” spiega Meier nel suo discorso di accettazione del Premio Pritzker nel 1984. “Per me, infatti, è il colore che la luce naturale, riflette e intensifica la percezione di tutte le sfumature dell’arcobaleno, i colori che sono in costante evoluzione in natura, per il candore del bianco non è mai solo bianco; è quasi sempre trasformato da luce e da quello che sta cambiando; il cielo, le nuvole, il sole e la luna.

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Jacobus inoltre si chiede “che cosa succede quando si elimina forma dalla costruzione per concentrarsi esclusivamente sulla tavolozza dei colori dei materiali usati dagli architetti”? Nasce così l’info-grafica che schematizza i colori dei mattoni, metallo, legno, pietra, e di altri materiali usati da Louis Kahn, Barragan fino ad Aldo Rossi, definendo per ogni carriera una diversa ruota di colori.

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Più convenzionale, invece, è la mappa di tutti i progetti di Le Corbusier divisi per ordine e posizione, mentre molto più irriverenti le mappe degli stili preferiti dai dittatori e le macabre statistiche che mettono in relazione le 10 sedi di suicidi più popolari e gli edifici crollati.

Nel libro si affrontano anche questioni più delicate come la disuguaglianza nella professione, tema indicato dallo stesso autore come tra i più significativi. In ‘Ladies and gents’ i grafici a torta mostrano come l’architettura sia ancora una disciplina prettamente maschile, malgrado un incremento delle quote femminili da zero nel 1857 al 17% nel 2013 (con i dati di registrazione all’American Institute of Architects). Nell’ ‘AIAn’t Ethnic’, gioco di parole tra l’AIA e il colloquiale ain’t (non essere) con un diagramma in stile suprematista si risponde alla questione: Qual è lo stato attuale di genere e la diversità etnica all’interno della professione? Il risultato è che il 72% dei professionisti registrati all’AIA sono di origine caucasica.

 Soluzioni al quiz ‘Indovina l’architetto?’:

  1. Frank Lloyd Wright / Toyo Ito
  2. E. Fay Jones / Mies Van Der Rohe
  3. Louis Kahn / Renzo Piano
  4. Le Corbusier / Frank Gehry
  5. Álvaro Siza / Zaha Hadid
  6. Rem Koolhaas / Moshe Safdie
  7. Bjarke Ingels / Alvar Aalto
  8. Shigeru Ban / Tadao Ando
  9. Jean Nouvel / Oscar Niemeyer
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Super Skyscrapers: nuova vita ai vecchi container

Affrontare la carenza di alloggi in regioni sovrappopolate, è stato questo il tema del recente concorso denominato SuperSkyScrapers svoltosi nella città di Mumbai, in India, che ha visto impiegati diversi studi d’architettura nell’elaborazione di un progetto che potesse rispondere a questa imminente necessità combinandola, contemporaneamente, con l’obiettivo di dare un contributo all’ambiente e garantire uno sviluppo sostenibile.

PERCHÉ COSTRUIRE EDIFICI CON I CONTAINER

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I VINCITORI DEL CONCORSO

Ad aver vinto il concorso internazionale circa queste idee per l’edilizia abitativa negli slum indiani è stato il progetto per un grattacielo di 32 piani dello Studio Ganti+associates che si sono aggiudicati il primato presentando un ambizioso progetto curato in ogni dettaglio con l’idea di riutilizzare i container navali nel campo dell’architettura. Tale progetto è stato giudicato come risultato di una profonda comprensione globale di tutte le componenti che entrano in gioco nel disegno di un progetto: comprensione del sito, rispetto della comunità e della propria cultura e soprattutto la sua necessità di garantire migliori condizioni di vita.

Dichiarato una proposta che giustamente affronta i temi della sostenibilità, del consumo energetico, dell’illuminazione e della ventilazione naturale, il progetto è stato giudicato vincente in quanto soluzione semplice e convincente per forma, configurazione e funzione. Nasce dunque così, da un principio compositivo apparentemente casuale, un vero e proprio organismo architettonico capace di toccare i temi del riciclo e della sostenibilità, nonché di bellezza ed eleganza.

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IL PROGETTO DEL GRATTACIELO DI CONTAINER

Proprio come nel gioco del tetris queste piccole unità elementari arrivano a combinarsi in modi continuamente differenti dando vita a nuovi organismi riciclati e sostenibili, non rinunciando ad esprimere un alto valore estetico.

Il punto di forza di tale proposta progettuale non è che la facilità con cui le cellule abitative possono combinarsi ed autoportarsi: questi corpi elementari presentano la caratteristica di poter essere impilati senza alcun sostegno fino ad un numero di 16 volte se vuoti, e 10 nel caso in cui siano riempiti. Al fine di rendere la struttura utilizzabile in ambito residenziale, la scelta progettuale è stata quella di erigere teli portanti collegati con travi d’acciaio ogni 8 piani, senza dunque  dover necessariamente adoperare grandi sostegni aggiuntivi.

Questo nuovo grattacielo presenta una struttura capace di elevarsi per oltre 100 metri, mostrando una grande flessibilità planimetrica per stratificazione orizzontale, ottenuta dal continuo diverso accostamento di queste unità elementari che vengono tagliate, conformate e combinate secondo necessità.

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ORGANIZZAZIONE DELLA CELLULA ABITATIVA

Nonostante i numerosi spazi ridotti, nati dalla combinazione di questi tasselli colorati della misura di 12mx2,6mx2,4, il progetto garantisce abitazioni confortevoli per famiglie fino a quattro componenti. Entrando nello specifico nell’analisi di una tipologia abitativa, i primi ambienti che si incontrano nel container d’ingresso sono una sala da pranzo ed un soggiorno, seguiti dalla seconda unità elementare capace di ospitare una camera da letto per due bambini, un bagno ed un piccolo studio. Il terzo ed ultimo container, invece, è l’ambiente destinato alla camera matrimoniale, un bagno ed una cucina.

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CRITERI DI SOSTENIBILITÀ

Tutto viene studiato nel dettaglio, nessun aspetto progettuale viene tralasciato e grande importanza viene riservata ai metodi sostenibili per garantire il massimo rendimento di questa macchina abitativa. Sistemi per il raffrescamento passivo garantiscono la possibilità di arieggiare la struttura e favorire la ventilazione naturale attraverso una serie di pianerottoli che si configurano come passaggi riparati da schermi forati in laterizio.

Infine, l’inserimento nel lato ovest di una serie di pannelli solari, affiancati alla sapiente tecnologia delle turbine eoliche presenti nel lato opposto, riescono a coprire tutti i consumi di questo grande organismo architettonico.

Anche se i container non sono più i nuovi protagonisti del riutilizzo nel campo dell’architettura, grazie alla facilità di creare un vero e proprio processo compositivo, il loro utilizzo nelle costruzioni  è ancora ampiamente diffuso. L’effettiva flessibilità del modulo unita ad un sistema a secco sempre più gettonato sono gli elementi chiave che ne hanno permesso il forte sviluppo negli ultimi anni. Sebbene anch’essi risentano particolarmente del processo mediatico, che li ha portati in breve tempo al successo e in altrettanto breve tempo ad essere quasi dimenticati, i diversi campi, in cui la loro applicazione è possibile, ha permesso a queste strutture di trovare spazio in quei contesti particolarmente difficili dal punto di vista delle risorse a disposizione.

In questo senso il progetto dello Studio Ganti+associates è riuscito a dare una risposta forte alle esigenze dell’abitare, non dimenticando mai l’importanza del contesto in cui si va ad operare e garantendo un risultato capace di dare risposta all’esigenza dell’abitare.

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Eco villaggio in Sardegna: materiali e cibi bio. Bannati fumo e smartphones

Sardinna Antiga è un bio-villaggio ecosostenibile situato sulla costa nord-orientale della Sardegna, in una vallata solitaria, tra la campagna e il mare di Santa Lucia di Siniscola, in località Sa Petra e S’Ape. Stupefacente esempio di albergo diffuso, recupera un antico villaggio abbandonato dagli anni ’50, trasformandolo in un posto accogliente e rilassante, dove gustare cibo biologico e sono banditi smartphone e sigarette.

ARCHITETTURA TRADIZIONALE DELLA SARDEGNA: LE BARACCAS

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LA STORIA DELL’ECO VILLAGGIO

Successivamente all’acquisto del terreno, durante le operazioni di pulizia, i proprietari di Sardinna Antiga hanno rinvenuto all’interno di cespugli e piante arbustive, diversi muretti a secco circolari, con all’interno dei tronchi d’albero disposti a raggiera. Pulendo a fondo ed estirpando le erbacce hanno iniziato a comprendere che forse quel che avevano trovato durante le operazioni di pulizia non erano dei semplici recinti, ma un vero e proprio villaggio di pastori, abitato fino agli anni Quaranta e in seguito abbandonato.
Con l’aiuto degli organi territoriali del MiBACT e la memoria storica e le testimonianze degli anziani, si è così iniziato a ricostruire questo antico villaggio, fino ad arrivare ad un vero e proprio ripristino tipologico.

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LE COSTRUZIONI TIPICHE SARDE

Il villaggio di “pinnattoso” (plurale di “pinnattu” in dialetto locale) che era abitato fino a circa settanta anni fa viene così recuperato, rispettando la collocazione originale delle costruzioni e riscoprendo la tradizione e la cultura locale: le tecniche ecosostenibili artigianali tradizionali vengono integrate alle tecniche moderne – per la soddisfazione dei requisiti della normativa vigente – adoperando materiali, assolutamente naturali e reperiti in loco, reimpiegando anche quelli utilizzati dagli antichi abitanti. 

Le sue abitazioni uniche si rifanno per forma e materiali utilizzati all’architettura vernacolare delle capanne nuragiche: queste antiche costruzioni pastorali, tipiche della Sardegna centro-orientale, sono costruite con la base, che può essere circolare o rettangolare, in pietra a secco e la copertura in rami di legno, canne e frasche. Tradizionalmente venivano utilizzate in terre selvagge o poco accessibili per il pernottamento o per il deposito di vivande o materiali utili all’allevamento del bestiame.

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Le capanne non hanno fondazioni ed il terreno su cui insiste la struttura, essenzialmente semplice, è stato spianato con strumenti tradizionali. Dal punto di vista strutturale, gli edifici sono sostenuti da pilastri e travi realizzati con tronchi e rami d’albero non lavorati. I pilastri di circa 15 cm di diametro, sono infissi nel terreno e disposti circolarmente ad una distanza di circa 150 cm: ogni pilastro è collegato al successivo mediante tavole in legno, in modo da renderli collaboranti nell’assorbimento del peso della copertura. Da ognuno di essi, alto circa 150 cm, parte una trave, con una sezione media di 10 cm e una pendenza di circa il 60% (circa 30°): tutte le travi confluiscono in un tronco d’albero che funge da chiave di volta e permette alla copertura di non collassare.

A rivestimento esterno della struttura è stato poi ricomposto il muro a secco di pietra, con uno spessore medio di 40 cm, che collabora dal punto di vista statico con il sistema travi-pilastri. Le travi sono unite da canne, che diventano un vero e proprio rivestimento interno mentre all’esterno è posto uno strato di tavolato, lasciando un’intercapedine per la ventilazione di spessore variabile. Sopra il tavolato viene disposto un telo impermeabile, sul quale vengono poggiate ulteriori canne e paglia come rivestimento esterno. Il rivestimento interno è anch’esso composto da uno strato di canne su cui viene spruzzato un intonaco di terra cruda. La pavimentazione, in tavole di legno è sopraelevata rispetto a un sistema di areazione sottopavimento che poggia direttamente sul terreno roccioso del villaggio.

CRITERI BIOCLIMATICI E RISPARMIO DELLE RISORSE

Nonostante gli alloggi siano privi di impianti di climatizzazione e il clima sia estremamente caldo nel periodo estivo, la temperatura all’interno degli alloggi rimane vicina alle condizioni di comfort: a ciò contribuiscono l’elevata inerzia termica relativa alla massa del muro in pietra, la ventilazione della copertura e del pavimento oltre a quella garantita dall’effetto camino dovuto sia alla forma della copertura che a una certa permeabilità delle frontiere perimetrali.

Le aperture, di metratura minima in rispetto dei canoni originali, disposte in posizioni diametralmente opposte garantiscono una buona ventilazione incrociata: l’apporto di luce e il ricambio d’aria sono garantiti inoltre dalla porta di ingresso. Il villaggio sfrutta un sistema di fitodepurazione per recuperare buona parte delle acque utilizzate per gli scarichi e in modo da eliminare la necessità di realizzare il sistema di fognature che per essere condotto fino a questo luogo, piuttosto isolato, sarebbe stato economicamente poco sostenibile avrebbe deturpato il territorio.

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Con la rigenerazione, l’ambiente circostante è stato lasciato intatto e sono state piantumate circa 4000 piante. Il villaggio è circondato da un laghetto e da 7 ettari di macchia mediterranea: un vigneto bio, un oliveto bio, un orto bio e uno sinergico procurano gran parte delle materie prime necessarie. Le abitazioni vengono fornite quotidianamente di acqua di fonte servita in anfore di terracotta, di cibi, di prodotti per la cura del corpo prodotti da un’azienda locale, di un emanatore di essenze per l’aromaterapia e di una lampada al sale: il tutto rigorosamente di origine biologica o locale. Gli arredi interni sono totalmente fatti a mano con materiali di risulta, principalmente legno e gli unici arredi non riutilizzati sono i sanitari.

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Ogni cosa è prodotta artigianalmente: persino la biancheria è tessuta utilizzando filati naturali e trame preziose, arricchite da disegni eseguiti sull’impronta di quelli arcaici, tinti con colori essenziali e derivanti da erbe. All’interno del villaggio è bandito il fumo mentre l’uso di smartphone, tablet e pc è vietato negli spazi comuni. La sensazione è quella di essere tornati indietro nel tempo di qualche secolo: il silenzio surreale del luogo è spezzato solo dai rumori della natura, dal canto degli uccelli e dai versi degli animali selvatici, mentre la sera, solo le stelle e la luna illuminano l’intera vallata.

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Caminetti a bioetanolo: funzionamento, efficienza, normativa italiana

Ogni inverno si pensa a strategie da adottate nelle abitazioni per riscaldarle e mantenerle calde evitando grandi sforzi economici, oltre che cercando di contribuire alla riduzione di emissioni di CO2 e di polveri sottili in atmosfera. I caminetti a bioetanolo sono un’ottima soluzione da integrare al preesistente sistema di riscaldamento, per il basso impatto ambientale e il valore estetico che aggiunge agli ambienti domestici.

COME SCEGLIERE IL SISTEMA DI RISCALDAMENTO PIÙ ADATTO

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In Italia si stima che ogni anno siano circa 20.000 i casi di incendio legati a malfunzionamento di stufe e caminetti. A fronte di questi dati, prima dell’inizio della stagione invernale occorre manutenere o quantomeno revisionare il sistema di riscaldamento per evitare danni. Oggi il mercato offre soluzioni di diversa tipologia per chi pensa ad un nuovo impianto domestico: tra queste il cosiddetto caminetto ecologico.

Sul mercato ormai ve ne sono molte varietà che si differenziano tra loro soprattutto in termini di efficienza e impatto ambientale ma anche per altri particolari. 

Tra le opzioni più complete c’è la possibilità di installare camini o stufe connessi a canalizzazioni che permettono di diffondere il calore in tutti gli ambienti, senza disperdere i benefici della combustione. 

I caminetti a bioetanolo

Rispetto a tutti gli altri sistemi di riscaldamento di tipo “bio”, i caminetti a bioetanolo sono quelli che possono essere definiti “ecologici” poichè alimentati da una fonte che non aggiunge nell’aria prodotti nocivi derivanti dalla combustione del petrolio, carbone, gas, né polveri sottili derivanti dalla combustione delle biomasse solide quali legna, pellet, ecc.

Se la scelta dell’impianto riguarda, oltre che un’integrazione del sistema di riscaldamento anche un valore dal punto di vista estetico allora il caminetto ecologico a bio etanolo è l’ideale, visto che non ha la pretesa di risolvere il problema riscaldamento: non è infatti progettato per sostituirsi ad un impianto di riscaldamento completo, bensì è un’ottima integrazione a basso costo, che permette di riscaldare ambienti domestici specifici, senza l’incomodo di dover trasportare legna o avere una canna fumaria di dimensioni notevoli e sempre pulita per consentire il tiraggio, unendo così funzionalità e valore estetico .

I caminetti ecologici  sono sistemi a fiamma libera che richiedono una presa d’aria esterna per apportare il necessario ricambio di ossigeno all’interno degli ambienti. 

Il funzionamento dei camini a bioetanolo

Il bioetanolo è composto da alcool etilico denaturato ottenuto attraverso la fermentazione di biomasse dalla quale si ottengono sostanze zuccherine di origine vegetali (patate, mais, vinacce, barbabietola da zucchero etc…).

Il funzionamento del caminetto a bioetanolo segue ilprincipio della vecchia spiritiera (o fornello ad alcool): l’alcool è contenuto in un serbatoio mentre pietre porose, che funzionano come il tradizionale stoppino, sono imbevute di questa sostanza consentendo la combustione dei suoi vapori.

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Si tratta di una combustione che genera solo CO2 e vapore acqueo, perciò i caminetti ecologici non necessitano di canna fumaria.

Inoltre la resa calorifica è enorme visto che le tradizionali canne fumarie portano fuori oltre ai prodotti di combustione anche una notevole quantità del calore prodotto dalla combustione. In genere:

  • 1 Litro di bio etanolo produce una fiamma che dura dalle 3 alle 5 ore in base tipo di bruciatore;
  • 1 Litro di Bio combustibile produce circa 3-4 kW/h.

 Tipologie di camini a bioetanolo

In commercio sono disponibili molti modelli di caminetti a bioetanolo, ma il campo si restringere a tre tipologie fondamentali:

  • caminetti a bioetanolo da terra (a ridosso di una parete)

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  • caminetti a bioetanolo ad isola (posizionabili in qualsiasi punto del pavimento di un ambiente e, all’occorrenza, dotati di ruote per essere spostati);

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  • caminetti a bioetanolo sospesi (a ridosso di pareti o collocati in posizione sospesa come se fossero dei quadri);

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La sicurezza dei caminetti a bioetanolo

Come si è evidenziato, i caminetti ecologici necessitano di una presa di aria esterna, visto che la combustione è in grado di consumare a lungo andare l’ossigeno.

I caminetti ecologici, infatti, non sono particolarmente complicati da installare e l’installazione può essere fatta a cura dell’acquirente, poiché sono dotati di elementi singoli assemblabili in maniera semplice seguendo le istruzioni date dal fornitore, salvo che non ci sia necessità di effettuare particolari lavori di preinstallazione, come opere murarie.

La normativa italiana

Il CTI – Comitato Termotecnico Italiano ha messo a punto la norma UNI 11518 che regola i requisiti di sicurezza, le caratteristiche, i metodi di prova e le indicazioni tecniche e funzionali dei camini a bioetanolo in forma liquida o gel, utilizzati a scopo decorativo e con funzionamento intermittente.

Quando acquistate questi apparecchi, verificate che abbiano  l’etichettattura e la documentazione che ne attesti la conformità alla norma UNI 11518, la placca segnaletica delle caratteristiche dell’apparecchio (consumo orario, tipo di combustibile, nome e indirizzo del fabbricante), la placchetta di sicurezza che fornisce informazioni sul caricamento (posta vicino al serbatoio) e i relativi manuali di manutenzione, installazione ed uso.

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Padiglione della Germania ad Expo 2015: “Fields of ideas”

Fields of ideas” che tradotto vuol dire i “Campi delle idee” ben sintetizza il contenuto del Padiglione della Germania per Expo Milano 2015. L’architettura ed il masterplan sono stati progettati dallo studio tedesco Schmidhuber, l’allestimento è opera di Milla und Partners mentre la gestione del progetto e della realizzazione sono stati curati dallo studio Nussli.

Alcuni di loro avevano già curato il padiglione della Germania ad Expo Shangai 2010, Milla und Partners sarà probabilmente coinvolto per il padiglione tedesco dell’Esposizione di Astana 2017.

IL PADIGLIONE DELLA SPAGNA AD EXPO 2015

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FIELDS OF IDEAS: I CAMPI DELLE IDEE

Il pragmatismo tedesco ha portato anche questa volta ad un grande risultato, centrando appieno il tema di Expo 2015 “Nutrire il pianeta, energia per la vita”. 

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L’architettura del padiglione vuole richiamare i campi ed i paesaggi rurali tedeschi, come elemento della sua cultura, ma allo stesso tempo il concetto di Campo viene esteso alle idee, alla creatività e alle professionalità che ogni giorno si impegnano per costruire un mondo ed un futuro migliore. L’idea stilizzata del campo si estende all’uso dei materiali, i diversi tipi di legno utilizzati, con la varietà dei loro colori e del loro aspetto, contribuiscono a caratterizzare il design degli spazi.

GLI ALBERI SOLARI 

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Così all’esterno una rampa in legno invita i passanti a risalirla arrivando alla terrazza dalla quale è possibile ammirare l’esposizione universale, e dove grandi alberi composti da acciaio e moduli fotovoltaici, crescono creando zone di relax ombreggiate. Gli alberi prendono vita dal suolo, creando pozzi di luce all’interno del padiglione e zone d’ombra all’esterno, permettono di creare una connessione visiva tra i visitatori tra un piano e l’altro ed esattamente come gli alberi attraverso la fotosintesi trasformano l’energia solare, i moduli fotovoltaici OPV utilizzano la radiazione solare per generare energia elettrica che viene immagazzinata in un sistema posto alla base di ciascun albero, e riutilizzata di notte per l’illuminazione led degli alberi stessi. È come un circuito chiuso che provvede a se stesso autonomamente. I moduli, una volta terminata l’esposizione universale, verranno smontati e riutilizzati.

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La Germania, patria di grandi filosofi, non poteva non creare un nesso tra l’esposizione, gli spazi ed i contenuti conferendo un significato ad ogni singolo elemento. È come se questi alberi nascessero da un terreno fertile, il terreno delle idee, la loro forma organica vuole essere un richiamo al mondo delle innovazioni che sempre più prende spunto dalla natura. Ci troviamo quindi nel percorso interno del padiglione, in cui la Germania ci racconta come si è mossa e come si sta muovendo per migliorare e rispettare l’ambiente. Ci parla dei suoi eroi quotidiani: allevatori, agricoltori, agronomi, ingegner,i ecc. ogni professionalità contribuisce ai progressi che la Germania fa per coltivare ed allevare rispettando l’ambiente e per ideare e produrre risorse rinnovabili.

SPAZI ED ALLESTIMENTI INTERATTIVI

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Architettura ed allestimento si fondono in un connubio perfetto, ogni spazio è pensato per ricevere un’esposizione precisa e il risultato sono tanto divertimento ed apprendimento. La curiosità dei visitatori è stimolata di continuo, dai più piccoli ai più grandi. Tutti giocano ed interagiscono attivamente con il padiglione. Ebbene sì, “attivamente” è proprio questo il messaggio che la Germania vuole mandare, ognuno di noi deve essere attivo e deve dare il suo apporto con le proprie competenze e possibilità per migliorare il mondo in cui viviamo.

LA SEADBOARD LA TAVOLETTA IN CARTA PER INTERAGIRE CON L’ESPOSIZIONE

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All’ingresso viene fornita la “SeedBoard”, una tavoletta composta da un foglio di carta bianca su cartoncino. Il foglio di carta diventa lo strumento di interazione tra i visitatori e le sale espositive, il campo delle idee su cui ogni persona è invitata a riflettere e con il quale può interagire.

Nella prima parte dell’allestimento vi sono quattro aree tematiche: terra, acqua, clima e biodiversità. Grazie alla tavoletta è possibile conoscere i paesaggi tedeschi, gli studi che stanno portando avanti e molto altro ancora. Un gioco virtuale molto simpatico, posto vicino ai grandi alberi, ci fa capire quanto sia importante rispettare i tempi propri della natura e quanto sia importante collaborare insieme: al piano superiore i visitatori accostandosi alla piattaforma, aumentano l’allevamento fittizio di api che può essere utilizzato al piano inferiore dai visitatori che devono usare le stesse per impollinare e far crescere le piante. Mentre questa prima parte è legata molto anche alla tecnologia, il “mio giardino delle idee” è invece uno spazio in cui è possibile interagire direttamente con l’ambiente, ci si ritrova immersi dal verde, piante, fiori, piccole curiosità e consigli per la coltivazione personale sono posti vicino alle diverse piante.

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Ed infine lo spettacolo BEeActive, in cui la SeadBoard si trasforma in strumento musicale.

Il titolo dello spettacolo vuole suggerirci di essere attivi (Be active), esattamente come fanno le api (dall’inglese bee = ape), tema per altro ricorrente anche nel padiglione inglese, bisogna giorno dopo giorno impegnarsi tutti insieme e collaborare per costruire un mondo migliore, in cui si rispetta la terra e le sue risorse, in cui la creatività e l’inventiva siano alla base di sistemi innovativi per il risparmio energetico e la tutela dell’ambiente. Vivere in un mondo green, coltivando con tecniche non nocive per i terreni, allevando in modo naturale ed investendo sulle energie rinnovabili.

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La ristrutturazione delle scuole

Il tema del risparmio energetico al giorno d’oggi è applicato a diversi aspetti della nostra vita quotidiana: dal settore abitativo a quello pubblico, non è più ormai interesse esclusivo delle grandi aziende ma si mira a ridurre gli sprechi di energia attraverso strategie adottate anche da piccole e medie imprese e grazie al know-how dei tecnici che sempre più sono attenti alle continue evoluzioni ed esigenze impiantistiche e strutturali degli edifici.

In merito alla riduzione dei costi dei consumi in bolletta degli edifici del settore scolastico – tra quelli maggiormente penalizzati – abbiamo recensito un nuovo testo di recente edizione: La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico“, di Eleonora Oletto, Moira Picotti.

LIBRI CONSIGLIATI: LA CERTIFICAZIONE ENERGETICA E METODOLOGIE DI CALCOLO

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La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico è l’ultima pubblicazione della Flaccovio sulla ristrutturazione delle scuole.

Il settore dell’edilizia scolastica è oggi più che mai di attualità e rappresenta per il nostro paese un problema al fine di rendere finalmente accettabile la situazione di cattiva fruizione del patrimonio pubblico costruito.

Il testo illustra una metodologia valida per offrire soluzioni adatte a risolvere le “pecche progettuali” che rendono carenti le scuole dal punto di vista energetico e del comfort degli utenti. In tal modo i progettisti potranno ottenere indicazioni operative e soluzioni per poter procedere alla ristrutturazione e alla riqualificazione degli edifici scolastici in modo programmato, ottimizzando l’impiego di risorse e considerando le esigenze degli utenti e l’evoluzione dell’attività didattica. Nel complesso si tratta di un’utile guida per il progettista alle prese con questioni di ristrutturazione e in cerca di soluzioni tecniche di intervento strutturale.

Fra tutti molto utile è il capitolo dedicato alla “Gestione del cantiere negli edifici esistenti” in cui vengono dati suggerimenti sulla gestione della sicurezza della fase di cantiere.

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Nello specifico, il testo sulla ristrutturazione scuole vuole fornire indicazioni di intervento su questa tipologia di edifici per ottenere risultati che incrementino la qualità dell’edificio stesso e che siano utili a migliorare la fase di gestione delle risorse economiche che gli enti pubblici hanno a loro disposizione per gli interventi e per la gestione successiva.

Si tratta di un testo sintetico che tuttavia fornisce una traccia dei principali argomenti da affrontare nel caso ci si debba occupare di ristrutturazioni scolastiche finalizzate al risparmio energetico, dando spunto per gli approfondimenti specifici affrontati e indirizzando il lettore agli approfondimenti indicati nella bibliografia e nella sitografia riportate in coda al volume.

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Scheda tecnica del libro

Titolo:  La Ristrutturazione delle scuole. Soluzioni strutturali, impiantistiche e per il risparmio energetico
Editore: Dario Flaccovio Editore – collana Energia
Pagine: 140
Data pubblicazione: Luglio 2015
Autori: Eleonora Oletto, Moira Picotti
ISBN: 9788857904894
Lingua: Italiano 

Autori

Eleonora Oletto: Laureata presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, opera da tempo in qualità di libero professionista come consulente e progettista nel settore dell’edilizia sostenibile. Ha curato e scritto diverse pubblicazioni tra cui “Guida agli isolanti naturali”, “Edifici scolastici ecocompatibili”, “Efficienza energetica e sostenibilità”.

Moira Picotti: Ha conseguito una laurea Magistrale in Ingegneria Civile presso l’Università degli Studi di Udine, con principali abilità in ingegneria strutturale, strade e pianificazione territoriale. Attualmente è membro della Commissione Energia e Ambiente dell’Ordine degli Ingegneri di Udine. È consulente e tecnico ambientale nell’ambito dei settori: scarichi, emissioni in atmosfera e sicurezza nei luoghi di lavoro.

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La domotica per una gestione intelligente dell’edificio. Tutti i vantaggi

Spesso, erroneamente, si crede che una progettazione architettonica attenta sia sufficiente a garantire una riduzione dei consumi energetici degli edifici. Si sottovalutano gli aspetti di gestione, talvolta responsabili di ingenti perdite di calore e di elevati consumi energetici.

L’utente, che utilizza l’edificio e lo gestisce (dal semplice gesto di apertura e chiusura delle finestre alla scelta dell’accensione del riscaldamento) è responsabile tanto quanto il progettista del successo (in termini energetici) del progetto.

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L’utente e la gestione dell’edificio: il caso del Quartiere Casanova

In tal senso è rilevante il caso del Quartiere Casanova di Bolzano, un progetto modello di 950 appartamenti, tutti certificati in classe A, con consumi che si discostavano così tanto da quelli di progetto da portare l’EURAC, Istituto per le energie rinnovabili di Bolzano, ad effettuare una verifica. È stato rilevato che gli appartamenti non presentavano alcune pecche dal punto di vista progettuale: erano stati realizzati secondo disegni e specifiche elaborati dagli architetti, ma le abitudini degli inquilini (l’errata regolazione dei termostati, l’arbitraria apertura di finestre e lo spreco d’acqua) erano tali da giustificare i consumi extra.

La domotica per una gestione intelligente dell’edificio

Gestendo l’edificio in modo più efficace se ne potrebbero controllare e ridurre i consumi, con un conseguente beneficio in termini economici ed ambientali. È per questo e non solo che nasce la domotica: la disciplina che studia e sviluppa le tecnologie in grado di migliorare i livelli di comfort nelle abitazioni, ridurre gli sprechi energetici e rendere le abitazioni più sicure. La domotica, in sintesi, ottimizza la fruizione del proprio habitat.

Altri vantaggi di un impianto domotico

  • Sicurezza – con la domotica è possibile registrare delle informazioni sull’edificio che ne aumentino il livello di sicurezza. Per esempio, impostando la chiusura automatica delle valvole che comandano la fuoriuscita dell’acqua e spegnendo le prese che controllano gli elettrodomestici si può bloccare un allagamento ed evitare che causi danni ingenti. Un impianto anti intrusione con sensori di movimento, di volume o infrarossi, allarmi telefonici e satellitari, può scongiurare il rischio di un furto in abitazione. Anche gli ingressi all’abitazione possono essere regolati come indicato a questa pagina dove trovare tutto sull’automazione cancelli. Anche delle fughe di gas possono essere bloccate, il sistema di ventilazione attivato, le finestre aperte, le prese comandate bloccate per evitare esplosioni; 
  • Accessibilità – la domotica può aiutare le persone disabili, gli anziani e chi ha una ridotta capacità motoria a compiere le azioni quotidiane con più semplicità. Basti pensare a sistemi a comando vocale per attivare apparecchi elettronici, accendere le luci, spegnere l’aria condizionata, o ad unità programmabili collegate a carrozzine o letti elettrici con cui controllare non solo la propria mobilità ma anche l’ambiente circostante, per una maggiore autonomia; 
  • Intrattenimento – attraverso telecomandi, pannelli touch screen, ma anche dal proprio cellulare, è possibile gestire una serie di servizi per l’intrattenimento come l’impianto audio della casa, l’home theater, l’accesso ad internet, la registrazione di programmi in tv.
  • Risparmio energetico – con la domotica e la gestione intelligente di apparecchiature per la climatizzazione, impianti ed elettrodomestici, è possibile risparmiare energia.

Domotica e risparmio energetico

Con la domotica è possibile per esempio attivare apparecchiature ed impianti solo in determinate circostanze o in precisati orari così da risparmiare energia e denaro. E’ il caso degli elettrodomestici, per cui è possibile stabilire l’accesione solo in alcune fasce orarie, o dell’impianto di riscaldamento, che può essere impostato in modo che si attivi solo per determinate temperature. Anche i sensori di presenza che attivano le luci della casa sono parte della domotica, come pure un sistema per cui, superato il tetto massimo di spesa mensile, le apparecchiature elettroniche si disattivano in un ordine stabilito. Sono solo alcuni esempi del risparmio energetico che si può ottenere sfruttando la domotica.

Tale risparmio energetico è misurabile con un sistema introdotto dalla norma CEN UNI EN15232 “Energy performance of buildings-Impact of Building Automation, Controls and Building Management” (Prestazione energetica degli edifici – Incidenza dell’automazione. La norma evidenza come i sistemi di controllo e automazione degli edifici, agendo principalmente su riscaldamento e raffrescamento, ventilazione, produzione di acqua calda e illuminazione, comportino una riduzione dei consumi energetici.

La norma propone due metodi di calcolo: calcolo dettagliato e quello più semplice e diffuso che è il “Metodo dei coefficienti di correzione” (BAC factors) basato su simulazioni e rilievi sperimentali, offre un accettabile grado di approssimazione.

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Architettura utopica: i progetti sostenibili di Vincent Callebaut

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La connessione tra architettura e utopia, nella cultura occidentale, è caratterizzata da fondamenta molto radicate.

L’utopia è prima di tutto il progetto di una società ideale; possiamo trovare riferimento a luoghi felici nel dialogo platonico della città ideale, ma solo con Thomas More, XVI secolo, venne introdotto il senso del termine com’è conosciuto oggi. Oggi l’opera visionaria di Vincent Callebaut unisce ricerca formale alla riflessione sui temi dell’ecologia.

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L’architettura utopica nel passato

Platone faceva riferimento a progetti che avrebbero dovuto tenere conto di tutti gli aspetti delle attività umane, compreso il rapporto con la natura, descrivendo un’architettura in armonia con quella greca del suo tempo.

More, invece, nei suoi trattati spiega di trovarsi in disaccordo con l’architettura moderna, che a suo giudizio simboleggiava unicamente le strutture di potere. Le sue idee per la realizzazione di una società utopica variano continuamente, trovandosi spesso a contestare/proporre l’ornamento in genere, e quello prodotto dalla presenza della natura.

Se spostiamo lo sguardo all’attività architettonica più recente, possiamo trovare alcuni riferimenti tra i progetti dei pionieri dell’architettura contemporanea. L’organico Wright progetta la sua Usonia per descrivere un particolare Nuovo Mondo libero da tutte le precedenti convenzioni architettoniche, Le Corbusier studia una città con tre milioni di abitanti, standardizzata fin nei minimi spazi, mentre Sant’Elia nel 1914, con La Città Nuova, riesce ad esaltare il concetto della verticalità con disegni di grattacieli che mettono in relazione tra loro servizi e funzioni.

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Questi tre studiosi, resisi conto delle enormi potenzialità di una progettazione consapevole propongono alcune idee per modificare lo sviluppo della società. Anche se molto distanti tra loro, per forme e concezioni, i loro progetti, mirano al cambiamento di un sistema antropico che si è evoluto in un modo insostenibile, e che viene ritenuto il principale responsabile della crisi ecologica globale.

Il principio utopico utilizzato in architettura, si trova oggi, spesso accostato al prefisso eco. Il tema di questa programmazione ideale, e forse troppo futuristica, viene portato avanti dagli anni Ottanta da Jacque Fresco e dal suo “The Venus Project”

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Noi, come architetti e progettisti del XXI secolo, dobbiamo tentare di accelerare il processo naturale e cicatrizzare le ferite degli ecosistemi attraverso tecniche pluridisciplinari di architettura e ingegneria ecologica. Di fronte all’esaurimento delle risorse naturali, la distruzione degli ecosistemi, la riduzione della biodiversità, l’inquinamento delle acque, la concentrazione del gas ad effetto serra e il riscaldamento globale, si possono trovare efficaci strumenti di rinaturalizzazione come le energie rinnovabili (solare, eolica, idraulica, geotermica) e le biotecnologie (bio-mimetismo, bio-risanamento, genetica).

I progetti utopici e sostenibili di Vincent Callebaut

Nonostante i progetti di Fresco risultino ancora oggi molto avvincenti e futuristici, immagino che pochi rimarranno impassibili davanti ai progetti di Vincent Callebaut. I concetti espressi, le analisi e le interazioni tra gli elementi, naturali e artificiali, all’interno dei suoi progetti, lo rendono l’architetto eco-utopico più attivo dei nostri tempi. Tutti i suoi progetti sono riconoscibili poiché presentano forme d’avanguardia e pongono una “maniacale” attenzione alle tematiche ambientali.

Hydrogenase

Hydrogenase, ad esempio, è un progetto dello studio parigino di Callebaut, per la zona meridionale del mare della Cina. Questi complessi che si attestano tra ingegneria e biologia, saranno energeticamente autosufficienti e a zero emissioni di carbonio. Attraverso l’utilizzo dell’Idrogeno, ottenuto dalla fotosintesi di alcune alghe, questi edifici saranno in grado di sollevarsi e spostarsi dalla loro piattaforma (costruibile in qualsiasi punto del globo, oceano o deserto che sia). Si stima che queste fattorie di micro-alghe saranno in grado di produrre oltre 1000 litri di Idrogeno ogni 330 grammi di clorofilla (un ettaro di alghe potrebbe produrre 120 volte il quantitativo di biocarburanti prodotto da un ettaro di soia o di girasole). Inoltre, una fattoria di alghe è una vera e propria stazione in miniatura capace di assorbire grandi quantità di CO2 accelerando il processo di fotosintesi, e consumando oltre l’80% del gas carbonico prodotto dal complesso. L’edificio si ispira alle tecnologie della biomimetica e vanta un leggerissimo e resistentissimo materiale composito (fibra di vetro e carbonio) che ha lo scopo di ridurre al massimo il peso della sua struttura. La pelle del complesso, sarà composta da strati intelligenti, ispirati alla pelle dello squalo che oltre ad essere autopulenti, soddisfano i requisiti di sostenibilità.

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La struttura della torre pneumatica, è composta da quattro grandi archi, che in superficie sono coperti da scudi solari termici e fotovoltaici con integrate 20 pale eoliche che passando dalla normale posizione verticale, alla posizione orizzontale, sono in grado di far decollare il dirigibile e farlo spostare ad un massimo di 175 km/h, per distanze massime di 10.000 km a 2000 metri di altezza.

Sotto la piattaforma, trovano alloggiamento 32 idro-turbine che trasformano l’energia delle maree e delle correnti marine in energia elettrica.

Questo dirigibile semirigido non pressurizzato si estende verticalmente attorno ad una colonna vertebrale di 400 m di altezza, con archi che arrivano a ricoprire oltre 180 m di diametro, il tutto a formare come un grande fiore, che divide a croce i vari spazi che accoglie abitazioni, uffici, laboratori scientifici o di intrattenimento. Sul gambo trovano spazio i servizi per gli spostamenti verticali, i locali tecnici e i magazzini merci.

Questo progetto segna inoltre l’inizio di una nuova era per i dirigibili ibridi, può essere costruito e quindi utilizzato per missioni umanitarie, operazioni di soccorso, trasporto aereo, eco turismo, hotel e sorveglianza delle acque territoriali.

I progetti di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard

In caso il tema vi abbia incuriosito a dovere, consiglierei di visitare il sito di Vincent Callebaut e leggere le schede progettuali di Lilypad, Dragonfly e Flavours Orchard.

Il sito, inoltre, nella sezione “Profile”, raccoglie una serie di saggi che vi porteranno a capire l’essenza del lavoro dell’architetto e vi trasporteranno in un fantastico sogno eco-utopico.

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Casa semi-ipogea a Marostica

Nel comune di Marostica (VI), addossata al crinale della collina, sorge un’abitazione dall’aspetto non convenzionale. A un primo rapido sguardo il manufatto non sembra una casa, ma un muro di contenimento per il terreno scosceso. Infatti, il progetto semi-ipogeo dell’architetto Dario Scanavacca prende vita dalla rielaborazione del tema della “masiera”, il tipico muretto a secco per terrazzamenti di questa zona montana, in modo da creare una sinergia tra il contesto, il rispetto della tradizione e l’evoluzione tecnologica.

CASE IPOGEE: COME E PERCHÈ

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IL PROGETTO DELLA CASA SEMI IPOGEA

La casa cerca di sfruttare al meglio le potenzialità del lotto fortemente inclinato esposto a Sud. La costruzione risulta semi-ipogea e i tre livelli, su cui sono distribuite la zona giorno e la zona notte, sono sfalsati in modo da creare una serie di giardini pensili.  In questo modo, la collina, che accoglie la casa, contribuisce, durante tutte le stagioni, al mantenimento del comfort ambientale interno: durante i mesi invernali le dispersioni sono ridotte e l’unico fronte esposto a Sud cattura il calore del sole, mentre durante l’estate il terreno e i tetti giardino non assorbono calore e contribuiscono a non surriscaldare gli spazi abitati. Inoltre, sono stati installati sia pannelli fotovoltaici sia pannelli solari: l’energia elettrica totale prodotta è pari a 6,0 kWp, mentre un accumulatore permette di stoccare 600 litri di acqua calda utilizzabile sia per usi domestici sia per il riscaldamento. 

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Grandi aperture vetrate protette da frangisole caratterizzano l’unico prospetto della casa aperto verso la vallata in prossimità del quale sono stati posizionati il soggiorno, la cucina e le camere, mentre gli ambienti di servizio e i collegamenti verticali sono stati collocati nella parte ipogea areata e illuminata da alcuni lucernari. Il risultato così ottenuto è un muro “abitato”.

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Solar Info Center di Friburgo: il centro servizi certificato LEED Platinum

Il Solar Info Center (SIC) di Friburgo, in Germania, nasce dall’idea di racchiudere sotto un unico tetto figure professionali legate da un comune denominatore: operare nel campo delle energie rinnovabili.

In copertina: foto © Ingo Schneider

IL PRIMO EDIFICIO PER IL TERZIARIO CERTIFICATO LEED IN ITALIA

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Di proprietà di un investitore privato, il Solar Info Center si finanzia grazie all’affitto delle compagnie che vi hanno sede: unità indipendenti tra loro ma che potrebbero essere potenziali partners in un centro che offre consulenza sulla sostenibilità a 360 gradi.

Le sempre più restrittive normative comunitarie volte alla mitigazione dei cambiamenti climatici e la conseguente crescita del mercato delle energie rinnovabili hanno portato, agli inizi del 2000, all’idea di un centro di informazioni del settore in un luogo che fungesse da modello per aziende e potenziali clienti.

Il risultato è stato un edificio con un fabbisogno energetico del 30% inferiore rispetto ai limiti imposti dalla German Energy Saving Ordinance del 2007, ovvero il secondo edificio (in termini di punteggio) certificato LEED PLATINUM in Germania.

Il progetto del Solar Info Center di Friburgo

caption: © SIC GmbH

Collocato in una posizione strategica nella parte settentrionale della città, a completamento di un’area libera in adiacenza dell’aeroporto, tra la zona fieristica e l’università, il Solar Info Center fa della reputazione internazionale di Friburgo come Green City il suo prestigioso biglietto da visita.

Una struttura di cemento armato si innalza per 5 piani e racchiude un’area complessiva di circa 14.000 mq con spazi funzionali e flessibili che possono essere riprogettati per specifiche esigenze: 9.000 mq di uffici di varie dimensioni (dagli smart offices di 35 mq agli open space di 1.500 mq); 700 mq riservati allo svolgimento di workshops, congressi e meeting; 450 mq di area espositiva; 2.600 mq di laboratori con attrezzature all’avanguardia a disposizione sia delle aziende interne al Centro che di Istituti esterni per ricerche, produzione di prototipi, costruzione di modelli e simulazioni tecniche.

Scopri la città con Study Visit Friburgo

L’edificio dal punto di vista energetico

caption: foto da www.partyraum-freiburg.de

Volumetricamente compatto (rapporto S/V pari a 0,22) e dalla pianta ad U, l’edificio gode di un’esposizione ottimale con le “ali” orientate a sud-est.

Il sistema composito utilizzato per l’isolamento termico della facciata si alterna a vetrate continue strutturali (a montanti e traversi) mentre la copertura è del tipo “tetto caldo” con l’isolante nello strato più esterno. 

Le ottime prestazioni dell’involucro e l’introduzione di sistemi solari passivi fanno sì che il fabbisogno di riscaldamento, soddisfatto tramite una rete di teleriscaldamento proveniente dal vicino Ospedale Universitario, sia inferiore a 30 KWh/mq p.a.

Grazie ad interventi di efficientamento dell’impianto e all’inserimento di un moderno sistema di recupero di calore, per l’approvvigionamento termico del Centro Servizi non è necessario ulteriore utilizzo di combustibili fossili, così come certificato dal Centro di Ricerca dell’Università di Stoccarda: l’obiettivo di fornire calore all’edificio senza produrre emissioni è stato così raggiunto.

caption: a sinistra © Hochschule Offenburg; a destra © SIC GmbH

Un impianto fotovoltaico di 65 KW di picco è posizionato sulla copertura dell’edificio mentre sulla facciata inclinata, in corrispondenza del foyer, pannelli fotovoltaici e termici garantiscono un’adeguata schermatura dai raggi solari oltre che la produzione di energia pulita. 

Una grande quantità di luce naturale permea negli ambienti consentendo un notevole risparmio di energia elettrica. Le aperture, studiate in modo da garantire condizioni di lavoro ottimali, presentano una percentuale di superficie vetrata tale da evitare il surriscaldamento interno coadiuvate dalle schermature solari. Un sistema di controllo consente infatti la regolazione delle veneziane in funzione dell’irraggiamento e della temperatura della stanza.

caption: a sinistra © SIC GmbH; a destra foto da www.agsn.de

La qualità dell’aria durante il periodo invernale è assicurata da un sistema di ventilazione a flusso semplice che viene utilizzato anche in estate per la ventilazione notturna degli ambienti.

La climatizzazione estiva del foyer e della sala riunioni al piano terra avviene tramite 5 sonde geotermiche che vengono sfruttate anche nel periodo invernale per preriscaldare l’aria nei medesimi ambienti. 

Monitoraggio e interventi di ottimizzazione

caption: foto da www.enob.info

Il Solar Info Center di Friburgo, dopo il suo completamento alla fine del 2003, è stato sottoposto a monitoraggio allo scopo di verificare se l’edificio reale soddisfacesse le aspettative progettuali.

I risultati, sottoposti ad una lettura critica, non solo hanno dimostrato che il Solar Info Center è un ottimo esempio di edificio a basso consumo energetico con valori inferiori rispetto ai risultati attesi, ma hanno anche permesso di ottimizzare ulteriormente il complesso sistema impiantistico. 

Nei periodi più freddi dell’anno e successivamente ad un periodo di spegnimento dell’impianto (durante il fine settimana), i dati sul riscaldamento hanno mostrato un notevole abbassamento della temperatura interna con fatica a tornare a regime (3 giorni).

Per far fronte al maggiore fabbisogno di energia, la temperatura interna, inizialmente costante, è stata innalzata di 15 K nelle le prime due ore della mattina e il tempo di funzionamento dell’impianto è stato incrementato di un’ora: le stanze hanno così raggiunto la temperatura interna desiderata all’inizio della settimana. 

Importanti misure di ottimizzazione sono state introdotte nel sistema di ventilazione con lo scopo di ridurre al minimo i ricambi di aria quando la temperatura esterna è bassa senza però compromettere la salubrità degli ambienti. Nel periodo estivo invece, l’inserimento di un sistema di gestione dinamico sviluppato dall’Università di Scienze Applicate di Offenburg consente di modulare l’intensità della ventilazione notturna con un risparmio di energia del 38%. 

Il monitoraggio ha consentito inoltre di allineare i sensori di radiazione delle veneziane in maniera ottimale mentre un impulso inverso regola l’apertura quando la persiana è completamente chiusa facendo sì che l’ambiente non sia completamente al buio. 

Al fine di evitare il surriscaldamento a lungo termine del terreno, correzioni sono state apportate al settaggio dell’impianto di raffrescamento a pavimento nella zona del foyer. Il sistema, con onde geotermiche che arrivano fino a 80 m di profondità, si attiva solamente quando la temperatura delle stanze supera i 24°C e la temperatura esterna è oltre i 26°C; nelle facciate sud e ovest inoltre, l’irraggiamento deve superare i 150 W/mq. 

La Certificazione LEED Platinum

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Nel settembre del 2013 il Solar Info Center di Friburgo ha ottenuto la certificazione LEED Platinum. Con un punteggio di 92 punti su 110 totali è il secondo edificio tedesco più alto in classifica nella categoria “LEED Existing Buildings: Operations and Maintenance”. 

Oltre alle alte performances garantite da involucro ed impianti, ha fatto la differenza “l’efficienza delle acque”, categoria in cui il SIC ha ottenuto pieno punteggio. L’acqua piovana che penetra nel terreno, viene drenata mediante canali e raccolta in apposite cisterne. Utilizzata per l’irrigazione del terreno, riesce a coprire il 100% del fabbisogno senza l’utilizzo di acqua potabile.

Grazie al processo di certificazione e alle procedure di accompagnamento, le tecniche ed i sistemi di ottimizzazione di energia consentono un elevato risparmio nei consumi e quindi di denaro. La certificazione LEED ha comportato dunque un aumento del valore economico dell’edificio oltre che della sua affidabilità a livello internazionale.

Il Centro Servizi rappresenta un esempio tangibile che progettisti e aziende che vi hanno sede possono mostrare ai potenziali clienti a dimostrazione di come sia possibile operare nel campo delle energie rinnovabili con successo: perché “un grammo di buon esempio vale più di quintali di parole”.

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Il padiglione della Spagna ad Expo 2015

Un’enorme serra a doppia navata è il progetto dello studio B720 Fermín Vázquez Arquitectos, di Barcelona, per il padiglione della Spagna ad Expo Milano 2015: l’ente promotore e coordinatore dello spazio, di circa 2500 metri quadrati, è Acción Cultural Española (AC-E) che si occupa della partecipazione della Spagna alle Esposizioni Universali e ai grandi eventi globali. Partendo dal tema dell’esposizione “Nutrire il pianeta, Energia per la vita”, la doppia anima della struttura rappresenta il dualismo tra cucina tradizionale spagnola e gastronomia innovativa, cogliendo perfettamente l’occasione offerta dall’Expo per avvicinare il pubblico all’immenso patrimonio culinario e culturale spagnolo. L’equilibrio tra creatività/innovazione e tradizione è una delle chiavi del successo dell’arte culinaria spagnola, così come l’uso di agricoltura e allevamento sostenibile per la conservazione del paesaggio e per lo sviluppo di modelli di turismo alternativo.

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IL PROGETTO DEL PADIGLIONE DELLA SPAGNA

Queste due anime contrapposte sono rappresentate da due strutture assimilabili ma con trattamenti materici ben distinti, simbolo dell’incontro tra “vecchio” e “nuovo”: la gastronomia tradizionale è rappresentata da una galleria in legno dalla quale si distaccano una serie di spazi esterni, in cui vengono utilizzati materiali non consueti come tappi per vino o botti in rovere e ceste di vimini riutilizzate da un precedente impiego nella produzione dell’olio d’oliva; l’innovazione gastronomica è invece rappresentata da uno spazio racchiuso in una seconda struttura in acciaio con pareti intonacate colorate.

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La forma riprende gli hórreo – tipiche costruzioni in cui si conservavano i frutti del campo, in particolare il grano – che possono trovarsi in Galizia, regione nord-occidentale della Spagna, o l’archetipo delle tradizionali abitazioni dell’Almeria, a sud. Gli spazi delle due serre, dotati di grande fascino e flessibilità, sono affiancati da un tipico porticato della tradizione iberica, che ospita una gran quantità di alberi di arancio, uno dei numerosi simboli della cultura spagnola qui esposti: all’interno vengono presentati al visitatore i cardini della produzione enogastronomica spagnola, ponendo l’accento sulle eccellenze in fatto di qualità, sicurezza e sostenibilità dei prodotti.

Le esposizioni all’interno del padiglione spagnolo sono differenziate tra i due piani. Al piano terra il visitatore potrà esplorare un’installazione realizzata dall’artista catalano Antoni Miralda intitolata “Il Viaggio del Cibo”: una serie di valigie di diverse dimensioni proiettano nomi dei cibi tradizionali della cultura spagnola – baccalà, patate, pomodori – mentre sul pavimento vengono proiettate parole legate all’esperienza del mangiare.

Proseguendo la visita si accede ad una sala semibuia che ospita sulle pareti una serie di schermi che mostrano video, immagini e informazioni sulle tecniche e tipologie di coltivazione oltre alle proposte sostenibili offerte dalla Spagna come soluzione alla scarsa disponibilità di risorse e cibo: in questa sala l’attrazione principale è un vetro satinato su cui scorre dell’acqua e che viene illuminato con effetti di luce variabili e sul quale compaiono parole che vengono “lavate” via dall’acqua.

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Più avanti si accede in un’altra sala che senza dubbio è quella con il maggiore impatto visivo: un ampio spazio vuoto con le pareti ricoperte da migliaia di piatti rotondi su cui vengono proiettate immagini di fantastici paesaggi iberici e cibi tradizionali. Al piano superiore, una seconda mostra denominata “Il Linguaggio del Sapore” è un viaggio all’interno della mente di un cuoco spagnolo, con la volontà di trasmettere al visitatore la sua arte culinaria e le ricette gastronomiche migliori. Oltre alle due esposizioni, il padiglione ospiterà una serie di spazi pubblici tra cui un ristorante, un “bar de tapas”, una piazza pubblica ed uno spazio polifunzionale che ospiterà workshop, cooking class, conferenze e concerti, un orto didattico e una serie di giardini idroponici.

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La sostenibilità del padiglione

Il padiglione, come già specificato in precedenza, è dedicato ai cibi e ai sapori della terra spagnola caratterizzata da terreni esposti costantemente a un sole intenso e perciò spesso aridi e improduttivi, che i sapienti agricoltori ispanici hanno però saputo trasformare in giardini verdi e fertili. La sostenibilità e l’alta efficienza energetica-ambientale sono stati obiettivi primari anche del progettista stesso: è di facile comprensione la volontà di trasmettere una sensazione di moderazione e di gestione delle risorse, considerando il presente periodo storico di crisi globale, a differenza della volontà di stupire il visitatore che ha caratterizzato le precedenti versioni del padiglione spagnolo alle esposizioni universali

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Gran parte della struttura è caratterizzata da spazi semi aperti e da una copertura costituita da ampie lamelle vetrate mobili, che hanno la capacità di facilitare la ventilazione naturale lasciando uscire il calore dall’alto per effetto-camino. Forma e dimensione dei portici – che riprendono una lunga tradizione iberica – sono anch’essi pensati in posizione strategica, in modo da limitare il surriscaldamento, sempre mirando al risparmio energetico. L’edificio è realizzato con materiali riciclati o naturali ed è stato costruito interamente a secco: il legno di abete e di pino impiegato proviene da foreste certificate e tutte le componenti del padiglione possono essere riutilizzate in seguito allo smontaggio.

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Il centro benessere nella natura: verde in facciata, sul tetto e all’interno

Una Spa è un luogo in cui ritrovare il benessere psicofisico, rilassarsi ed eliminare lo stress, facendo percorsi termali, trattamenti e attività a contatto con l’acqua. È dunque un luogo artificiale, ideato dall’uomo, che prendendo spunto dalla natura cerca di ricreare vasche termali, fiumiciattoli di acqua fredda con ghiaia per stimolare i sensi e rilassarsi. L’architettura che ospita questi centri benessere è sovente pensata giocando con la luce e con la suggestività degli ambienti, spesso si possono ascoltare riproduzioni di suoni naturali, ci sono stanze di cromoterapia, proiezioni di luoghi naturali meravigliosi… ma cosa veramente rilassa di più se non il contatto con la natura stessa?

Partendo da questa riflessione il MIA Design Studio ha progettato il Naman Pure Spa, realizzato nel 2015 a Da Nang in Vietnam.

LA SPA IN NUOVA ZELANDA PER RIFUGIARSI NEL BENESSERE

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Il progetto di Naman spa

L’edificio si estende su una superficie di 1600 metri quadri, ha un impianto di forma rettangolare e si sviluppa su due livelli: al piano terra si trovano gli ambienti Spa, la palestra, gli spogliatoio uomo e donna, la stanza per lo Yoga, l’area Jacuzzi, l’area relax e le stanze per gli addetti; al secondo piano si trovano invece una libreria, una sala espositiva, ambienti spa e camere per trattamenti personalizzati. Sono state progettate e pensate anche delle suites in cui oltre a fruire di ambienti spa è possibile soggiornare per brevi periodi all’interno dell’edificio.

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Il patio e il raffrescamento passivo

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Tutti questi ambienti affacciano su un patio centrale nel quale aree relax si alternano a vasche di acqua collegate a quelle esterne attraverso dei piccoli canali, simili a fiumiciattoli, il tutto grazie ad un impianto di riutilizzo dell’acqua. L’immagine è quella di tanti piccoli laghetti e fiumiciattoli artificiali, ad evocare le fonti termali naturali che è possibile trovare in diversi posti del mondo. Le proprietà rilassanti dell’acqua, così come il rumore dello scorrere sono fondamentali in un centro benessere ed inoltre è utile per raffrescare gli spazi. In Vietnam il clima è tropicale pertanto prevedere sistemi naturali di raffrescamento è importante per fronteggiare i periodi di grande caldo. Il patio oltre a creare un ambiente verde ritirato, in cui è garantita privacy e relax, garantisce la ventilazione naturale di tutti gli ambienti in modo passivo.

Involucro in pannelli di lattice e moduli verdi

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Ma l’aspetto più interessante di questo edificio è il modo in cui il verde è integrato e parte integrante dell’involucro. La pelle esterna e quella interna al patio sono costituite dall’alternarsi di moduli verdi, caratterizzati da piante rampicanti di diverse specie, e pannelli in lattice bianco che vanno a scandire l’andamento verticale. Il verde si estende anche in copertura con il tetto giardino, come prosecuzione dei moduli di facciata.

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All’interno, i moduli verdi diventano dei quadri, le pareti sono composte da una varietà di specie arboree locali che con i loro fiori e profumi rendono suggestivo ogni ambiente. Le piante oltre a regolare il microclima interno alle stanze e nel patio, servono come schermatura naturale per filtrare il forte soleggiamento tropicale, andando a creare un gioco di luci ed ombre in facciata, negli spazi e nei percorsi interni. Per gli arredi interni lo stile minimal e i colori neutri lasciano spazio al verde, come unico elemento colorato e di decoro. La vegetazione prende il possesso dell’edificio, caratterizzandolo e conferendogli dinamicità. Gli spazi diventano micro oasi di pace, spazi vibranti sotto i riflessi delle foglioline. Al piano terra le piattaforme per la meditazione all’aperto e per il relax si alternano tra laghetti con ninfee e giardini pensili, i sensi vengono stimolati e pace e serenità sono assicurati!

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Pachuca: la città più colorata al mondo

Nella città di Pachuca, in Messico, nel quartiere Las Palmitas l’arcobaleno non svanisce dopo il temporale. Grazie a una iniziativa promossa dal governo locale e in collaborazione con il collettivo di artisti Germen Crew, Las Palmitas, è stata interessata da un poderoso (e colorato) lavoro di Street art che ha coinvolto 209 abitazioni e 452 famiglie, e che ha trasformato sia visivamente sia socialmente questa zona degradata della città.

Infatti, dove prima le case grigie e le vie tortuose, deserte al calar del sole, incutevano paura agli abitanti, oggi la vita è tornata ad animare quei luoghi e il timore di uscire è svanito favorendo la collaborazione e il consolidamento della comunità locale.

LA CITTÀ ROSA: TOLOSA E I SUOI EDIFICI COLORATI

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Pachuca: la città più colorata al mondo 

Ci sono voluti 14 mesi e ventimila litri di vernice per concretizzare il progetto di decorazione delle case. Larghe fasce sinuose e figure geometriche dai colori accesi costituiscono lo sfondo su cui sono stati poi disegnati persone, grandi fiori e oggetti di vario tipo. In questo modo passeggiando per le vie si possono ammirare i singoli lavori degli artisti, mentre da lontano la collina su cui sorge il quartiere appare come un gigantesco arcobaleno costituito da 1.500 metriquadrati di murales.

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Il lavoro del collettivo artistico non è consistito semplicemente nella realizzazione materiale dell’opera. Infatti, ha lavorato attivamente per convincere le famiglie a dare il permesso ad intervenire sulle proprie abitazioni bussando a ogni porta e parlando con tutti. Prima di applicare il colore alle pareti è stato necessario imbiancare ogni singolo edificio sia per una questione tecnica, sia per trasmettere il messaggio che tutti i residenti sono uguali indipendentemente dalle condizioni economiche.

Nonostante le difficoltà e la fatica per la messa in opere di un progetto così esteso, il governo e Germen Crew vorrebbero intraprendere lo stesso percorso anche in altre zone della città visto il successo riscontrato soprattutto a livello sociale e il prossimo quartiere interessato dovrebbe essere Cubitos.

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Tetti verdi: le piante più adatte ai green roof

Il Giardino botanico di Chicago  ha reso pubblici i risultati di una ricerca sui tetti verdi con cui sono state valutate quali sono le piante più adatte ai green roof.

COME PROGETTARE UN TETTO GIARDINO

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La valutazione ha interessato ben 216 specie di piante ed è stato il più approfondito studio sull’argomento. Le piante sono state vagliate sia sui tetti verdi intensivi (strato di terra da 7 a 14 cm) sia sui tetti verdi estensivi (strato di terra da 15 a 20 cm).

Tutte le analisi e le sperimentazioni sono state condotte presso il Conservation Science Center Plant, un laboratorio certificato LEED Gold della superficie di ben 3500 mq, con due tetti verdi da 750 mq, esposti uno a nord ed uno a sud.

I laboratori posti sulle coperture riescono a monitorare:

  • La temperatura dell’aria interna appena sotto il piano di calpestio del tetto
  • Temperatura dell’aria esterna sopra del suolo e sopra il tetto rialzato
  • La temperatura del suolo a varie profondità e l’isolamento del tetto
  • Flusso di calore del suolo
  • Radiazione solare
  • Umidità e vento sopra il tetto rialzato
  • Precipitazione

Il datalogger CR1000 (collegato a due camere CR800 con rispettivi sensori) si collega alla rete Ethernet dell’edificio, e il software LoggerNet raccoglie i dati; analizzando poi le informazioni generate, i ricercatori hanno potuto determinare i benefici dei diversi tipi di giardini pensili. Si sono potuti confrontare anche i risultati di vari spessori suolo, le diverse quantità di acqua, e, soprattutto, le diverse reazioni dei vari tipi di piante. Con così tanti dati resi disponibili, i progettisti dei garden roof sono stati in grado di fare dei confronti sperimentali su altri giardini della stessa tipologia.  

I PARAMETRI DI VALUTAZIONE

I parametri di valutazione per la scelta delle piante per i tetti verdi sono stati i seguenti:

  • la sopravvivenza complessiva,
  • la salute ed il vigore
  • la tolleranza del caldo e della siccità
  • la resistenza al freddo
  • la sopravvivenza nell’intero periodo di valutazione

Richard Hawkedirettore della valutazione dell’impianto del giardino botanico di Chicago ha spiegato che “In ultima analisi, il successo del tetto verde è dovuto al successo delle piante che crescono su di esso. […] Gli studi sulle piante come quelli intrapresi qui sono fondamentali per approfondire le informazioni riguardo le piante migliori per la coltura del green roof.”

LE PIANTE PIÙ ADATTE AI TETTI VERDI

La ricerca per capire quali fossero le piante più adatte ai tetti verdi è durata cinque anni durante i quali varie piante sono state valutate.  Alla fine sono state nove specie vegetali a raggiungere il punteggio massimo (5 stelle su 5) per aver dato prova delle migliori prestazioni di sopravvivenza e di adattamento:

caption: Antennaria dioica

caption: Calamintha Nepeta ssp. Nepeta

caption: Juniperus chinensis var. sargentii ‘Viridis"

caption: Phlox sublata "Apple Blossom"

caption: Phlox subulata "Emerald Blue"

caption: Phlox subulata "Snowflake"

caption: Rhus aromatica "Gro-Low"

caption: Sporobolus heterolepis

caption: Sporobolus heterolepis "Tara"

Il Giardino Botanico di Chicago sta continuando nelle sue ricerche per trovare nuove soluzioni e fare ulteriori scoperte in merito ai Green roof. Un settore importante dell’architettura ecosostenibile e, come cita un motto dei Giardini Botanici di Chicago, Salva le piante. Salva il pianeta“.

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La facciata dinamica di una delle università più sostenibili d’Europa

L’università di Kolding, in Danimarca, può essere eletta a tutti gli effetti la più green d’Europa grazie alla sua facciata dinamica composta da 1600 moduli mobili in acciaio forato. Tecnologia e principi di bioclimatica rendono l’edificio progettato da Henning Larsen Architects una gioiello dell’architettura.

FACCIATE DINAMICHE: GLI ESEMPI PIÙ BELLI DAL MONDO

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Henning Larsen Architects vince il suo primo premio nel 1961 per la progettazione dell’Università di Stoccolma, da allora si è cimentato di frequente nell’ambito della progettazione e realizzazione di complessi scolastici ed universitari.

Nel 2008 vince il primo premio per il progetto della sede delle facoltà di Comunicazione, Design, Cultura e Lingue della University of Southern Denmark nel Campus di Kolding. L’edificio realizzato nel 2014 è situato a Grønborg nel centro della città di Kolding , e gode di una posizione privilegiata sulle rive del fiume a poca distanza dal porto e dalla stazione. La volontà è di creare una piazza che interconnetta il fiume e le sedi delle varie istituzioni universitarie generando un legame tra la vita universitaria e la vita della città, tra interno ed esterno.

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RICERCA TECNOLOGICA E PROGETTUALE

L’edificio è frutto di un attento periodo di ricerca sia a livello tecnologico che progettuale. È un ottimo connubio tra innovazione e architettura, caratterizzato da un design moderno e una particolare attenzione e riflessioni sulla vita all’interno dell’Università che hanno portato lo studio danese a generare un spazio interno vibrante e dinamico.

I piani sono accessibili da un atrio di forma triangolare che muta ad ogni livello sia in forma che in posizione generando uno spazio suggestivo e vivo, varia pertanto l’ubicazione delle scale piano per piano, conferendo movimento alla hall e agli spazi comuni. Si genera un gioco di sfalsamenti che permette di creare delle connessioni visive tra i pianerottoli di accesso ai diversi piani, oltre a creare un ambiente architettonico dinamico, è volto ad enfatizzare gli aspetti fondamentali dell’ambiente universitario: la comunicazione e la conoscenza, nonché la ricerca e la sperimentazione. L’obiettivo è quello di generare ambienti di interconnessione e scambio, in prossimità dell’atrio, tra studenti, professori e ricercatori, allo stesso tempo vengono garantiti alcuni luoghi più privati per la contemplazione, la riflessione o la lettura nelle zone più periferiche dell’edificio.

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LA FACCIATA DINAMICA DELL’EDIFICIO

In tutto questo un ruolo fondamentale è svolto dalla luce e dall’illuminazione naturale

“La luce del giorno è un parametro importante – afferma lo studio Henning Larsen Architects – per assicurare un ottimo microclima interno e il benessere dei fruitori”.

Grandi vetrate permettono di far entrare molta luce all’interno, ma richiedono anche una schermatura per evitare un eccessivo surriscaldamento degli ambienti. La luce varia nel corso della giornata e dell’anno, è da qui che nasce l’idea di un involucro dinamico, perfettamente integrato nell’edificio, che permette di controllare e gestire luce e calore garantendo un clima ottimale e conferendo un’immagine architettonica significativa unica e variabile.

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Le facciate sono caratterizzate da vetrate continue e da 1600 moduli di forma triangolare in acciaio perforato. Gli schermi solari sono montanti su telai mobili che permettono il movimento al fine di regolare la quantità di luce desiderata all’interno degli ambienti, il sistema è dotato di sensori che misurano di continuo il livello di luce e calore regolando e muovendo meccanicamente i brises soleil attraverso un piccolo motore. Quando i moduli sono chiusi aderiscono perfettamente alla facciata creando una superficie continua, mentre quando sono aperti creano una facciata dinamica, sporgendo con le loro punte e trasformando l’edificio in un vero e proprio monumento.

Anche i fori circolari presenti sui pannelli sono il risultato di ricerche e calcoli di ingegneri e architetti che hanno stabilito il 30% come angolo di apertura ottimale sia per la schermatura che per la visuale dall’interno verso l’esterno. Durante il giorno la luce naturale filtra attraverso i fori creando giochi di luce sempre variabili all’interno, mentre la sera il gioco si inverte, quando il sole è tramontato la luce artificiale dall’interno passa attraverso i fori rendendo più trasparente la facciata proiettando le ombre verso gli spazi esterni antistanti la facoltà, portando all’esterno il mondo interno dell’Università e andando a rafforzare il concetto che è alla base del progetto: creare un’interazione e un dialogo forte tra la vita universitaria e la città.

La forma triangolare dei moduli è dovuta ad una scelta progettuale legata all’inserimento nel contesto urbano, alla forma dell’edificio e al voler creare un vero e proprio monumento per la città piuttosto che una semplice sede universitaria, diventando un simbolo ed interagendo attivamente con l’intorno.

COLORI E SOSTENIBILITÀ

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Per quanto riguarda gli aspetti legati alla sostenibilità e al risparmio energetico, lo studio Henning Larsen Architects non si è limitato solamente ad integrare questi sistemi in facciata, ma ha progettato l’intero edificio secondo principi sostenibili, garantendo un’ottima ventilazione e illuminazione naturale. L’atrio di notte viene raffrescato utilizzando l’aria esterna e di giorno viene illuminato naturalmente dal lucernario posto a sommità, inoltre un impianto di raffrescamento e riscaldamento a soffitto, che utilizza la raccolta delle acque piovane, permette di regolare le temperatura all’interno dell’edificio, mentre celle solari in copertura provvedono alla produzione di energia elettrica ed infine una serie di altre accortezze come l’uso di illuminazione led o di apparecchiature energetiche a basso consumo, fanno del Campus di Kolding una delle sedi universitarie più sostenibili di Europa.

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Un’ulteriore osservazione può essere posta sull’uso del colore. Sia all’interno che all’esterno predominano colori neutri, per le parti strutturali e per la pavimentazione così come per la maggior parte dei moduli in facciata. Tuttavia gli elementi di arredo e di design degli spazi comuni interni sono caratterizzati da colori come l’arancione, il giallo, il rosso, mentre alcuni moduli triangolari della facciata dinamica sono colorati di arancione, rosa o verde, conferendo vivacità alla facciata, la stessa vivacità che contraddistingue un ambiente universitario.

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