La domotica: l’arte di interagire con la propria casa

La domotica è una disciplina che si occupa dello studio delle tecnologie per migliorare la qualità della vita in casa. Un sistema domotico consente di avere controllo sul sistema di climatizzazione, sugli elettrodomestici e l’illuminazione della propria casa anche a distanza, portando notevoli vantaggi di tempo, sicurezza, comfort e risparmio energetico.

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Difendersi dal caldo: la scelta del metodo di trattamento dell’aria

Se l’abitazione in cui viviamo non è stata progettata con particolare attenzione al comfort indoor, uno dei modi per difendersi dal caldo estivo consiste sicuramente nell’installare un sistema per il trattamento dell’aria. Nei mesi estivi infatti gran parte del patrimonio edilizio italiano diventa rovente perché gli immobili sono datati, non adeguatamente isolati, non ristrutturati e non garantiscono un buon comfort estivo.

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Edilizia e sostenibilità: il report dell’INBAR di Lucca

Lo scorso 18 maggio, con una conferenza promossa dall’Istituto Nazionale di BioARchitettura e patrocinata da Regione Toscana e Provincia di Lucca, è stato ufficializzato il report “Edilizia e sostenibilità – Rapporto sull’applicazione di criteri di sostenibilità nei regolamenti edilizi della Provincia di Lucca”. Scopo della ricerca voluta dall’INBAR di Lucca è stato quello di approfondire l’applicazione degli indirizzi nazionali e regionali relativamente alle norme per l’edilizia sostenibile, valutando una serie di parametri di sostenibilità energetica e ambientale. Il quadro generale che viene restituito dal report è piuttosto differenziato, anche alla luce del Regolamento Edilizio Unico Nazionale che le amministrazioni locali, nella loro funzione di pianificazione e regolamentazione dell’attività edilizia, devono recepire prestando attenzione all’incentivazione dello sviluppo sostenibile del territorio e all’aumento della sostenibilità ambientale ed energetica.

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Cities Alive di Arup: i benefici di involucri vegetali per città più sostenibili

È possibile che l’ammodernamento del paesaggio urbano, tramite l’utilizzo della vegetazione, sia in grado di migliorare il benessere e la salute degli abitanti della città? Possiamo utilizzare le facciate verdi per ridurre il consumo energetico e migliorare la qualità dell’aria ed il benessere delle persone? Arup risponde a queste ed altre domande con il report Cities Alive. 

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Muro di Trombe: origini e applicazioni più innovative

Il muro di Trombe è uno dei più noti sistemi solari passivi a guadagno indiretto. Fin dalle sue origini il sistema è stato protagonista di una serie di applicazioni su diversi edifici e successive sperimentazioni, la cui conseguenza negli anni è stata l’ideazione di nuove moderne configurazioni del sistema di Trombe, studiate con lo scopo di implementarne l’efficienza.  

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Abbattimento barriere architettoniche: contributi e detrazioni fiscali

Una corretta progettazione mira anche a ridurre gli ostacoli alla fruibilità degli edifici e degli spazi pubblici da parte di utenti con diverse disabilità, come ad esempio di deambulazione. L’articolo fornisce delle linee guida e un approfondimento sui contributi a fondo perduto, le detrazioni fiscali, chiarendo chi può e come richiedere le agevolazioni agli uffici pubblici competenti.

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Ristrutturazione casa: quanto costa?

La ristrutturazione della propria casa è una scelta importante. Sia che si decida di acquistare un nuovo immobile che si voglia adeguare la vecchia casa alle nuove esigenze o alla normativa, ristrutturare comporta una spesa aggiuntiva per il bilancio familiare.

Ma quanto costa ristrutturare casa

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Perché si ristruttura

La ristrutturazione della casa non risponde solo a motivi estetici, all’esigenza di modificarne l’organizzazione interna per assecondare il mutare delle esigenze di chi la abita o alla volontà di rivoluzionarla per incontrare una tendenza in fatto di interior design. Accade spesso che gli interventi di ristrutturazione siano necessari per motivi tecnici: ad esempio per adeguarla alle norme antisismiche, per eliminare le barriere architettoniche, o per renderla più efficiente dal punto di vista energetico.

Se l’obiettivo principale è quello di ristrutturare casa per migliorarne l’efficienza energetica, ci si potrebbe avvalere degli incentivi per cui il costo reale della ristrutturazione (cioè il costo sostenuto al netto dei rimborsi IRPEF) potrebbe abbassarsi. 

Gli interventi di riqualificazione energetica volti a migliorare l’efficienza degli elementi dell’involucro degli edifici esistenti sono soggetti a detrazioni fiscali del 36%.

Approfondimento: Riqualificazione energetica: detrazioni fiscali ed incentivi

Qualunque sia il motivo per ricorrere a dei lavori di ristrutturazione, ci sarà una spesa da affrontare per avere una casa più luminosa, trendy, efficiente, confortevole.

Il budget per la ristrutturazione

Il problema del budget andrebbe affrontato a priori, fissando un tetto di spesa e scegliendo lavorazioni e materiali sulla base dell’ammontare massimo che si è disposti a spendere.

La posizione dell’immobile non è un aspetto da sottovalutare. La sua collocazione geografica incide non poco sui costi di ristrutturazione. È infatti calcolato che tra Nord, Centro e Sud d’Italia ristrutturare casa ha costi diversi e, a parità di lavorazioni, si può arrivare anche a 6.000 euro di differenza sul costo totale, passando da un costo di 633 euro/mq per una ristrutturazione da effettuare a Venezia contro i 566 euro/mq per un identico intervento da effettuarsi a Napoli.

È sempre importante avvalersi di un tecnico qualificato che ci consigli su cosa intervenire, come farlo e ci aiuti ad individuare la ditta più competente a cui affidare i lavori di ristrutturazione. La preventivazione sarà una prima linea guida per il mostro tecnico, per ripartire le spese e investire su materiali ed impianti di buona qualità e a portata di budget.

La scelta della ditta a cui affidare lavori costa tempo e denaro. Fissato il tetto di spesa massimo, il preventivo steso dall’azienda potrebbe essere una discriminante fondamentale nella scelta della ditta che eseguirà la ristrutturazione.

Se le idee sui lavori da effettuare sono abbastanza chiare, potrebbe essere utile ricorrere ad un comparatore di prezzi, facile da trovare digitando poche parole chiave nei motori di ricerca. I prezzi varieranno molto in base ai metri quadri da ristrutturare, alla tipologia di abitazione e al suo stato di conservazione, da cui dipenderà l’entità dei lavori.

Da considerare è ancora una volta il ricorso alla rete. Un servizio online, come quello offerto da Edilnet, può venirci in soccorso, richiedendo fino a 4 preventivi gratuiti e senza impegno dalle aziende presenti in zona. Per avere un preventivo occorrerà descrivere il servizio richiesto nei dettagli e saranno le ditte, in competizione, a proporre una stima dei costi di intervento. Giardino, infissi, impianti, ristrutturazioni e traslochi, ogni tipo di lavoro necessario potrà essere commissionato in pochi minuti scegliendo l’azienda più adatta consultando le valutazioni lasciate da altri utenti che hanno già usufruito del servizio.

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La crisi dell’organismo urbano e il limite di crescenza

Mi aggiro, cittadino osservatore, nella città asfaltata ormai luogo di espressione della volontà di una nuova ed ennesima generazione di parcheggiatori e produttori di cemento, in realtà politici forti della loro ignoranza. Esponenti di un non sapere collettivo che le loro azioni amplificano. Vedo un’epoca che scoppia di dinamismo. Non vuole saperne di pensieri, chiede soltanto azioni.

Cammino sempre più convinto che questa energia, negativa e distruttrice, provenga unicamente dal fatto che non si ha nulla da fare, interiormente. A ben pensare, però, anche esteriormente ciascuno non fa altro che ripetere per tutta la vita la stessa identica azione: entra in un ruolo sociale, identificato da un’attività professionale e così continua per tutta la vita. 

LA DECRESCITÀ PER RIDARE SPAZIO ALLA NATURA

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Nei cittadini non c’è agitazione. Sono complici della diffusione del “metro cubo edificabile”, il virus degenerativo della città e del paesaggio, il nostro intorno, terra che tace come consapevole della forza che troverà, un giorno, per superare le torture subite. Questo virus, esaurito l’intorno di cui nutrirsi, il suolo, non potrà più crescere e darà inizio ad un processo auto-distruttivo. Il successivo passaggio sarà il collasso, un momento di crollo, di abbandono, di riappropriazione, in definitiva di felicità. E sarà una festa.

Il limite di crescenza

Questo pensiero ricorrente mi ha fatto riflettere sul “limite di crescenza” (R. Musil), misterioso limite che vale per la vita organica, per cui nessun animale cresce all’infinito. Noi, in quanto esseri umani, abbiamo la stessa misteriosa caratteristica e non continuiamo a crescere all’infinito, fisicamente non subiamo variazioni apprezzabili, infatti la nostra voce non avrà mai la forza di un megafono e così i nostri piedi e le nostre dita manterranno le loro dimensioni nel tempo. In quanto società, invece, siamo incapaci di accogliere il concetto di limite di crescenza e questo è evidente in svariati ambiti e discipline, dal design all’architettura, dalle dimensioni della città fino agli oggetti di uso comune, come le automobili. Ad esempio oggi un’utilitaria ha dimensioni paragonabili e spesso superiori a quelle di un’automobile di categoria superiore di solo qualche anno fa.

Purtroppo, anche in architettura, è ormai pratica comune quella di creare qualcosa che sia sempre “più”. Più grande e più costoso del già costruito e che si distingua a tutti i costi gridando la sua presenza ai passanti.

Dietro a questa crescita illimitata c’è un evidente problema culturale del mercato. 

Stiamo vivendo un eccesso di barocchismo, seguendo i capricci di una clientela che non ha cultura ed è affascinata da forme fini a sé stesse, dove un’esuberanza di motivi porta i progettisti ad andare al di là dei rapporti proporzionali, della logica di pensiero e di produzione. L’essenziale è perduto, quell’idea di progetto che non era sinonimo di povero ma di coerenza, di intelligenza e leggerezza. In molte architetture si è perso il momento del silenzio, della riflessione e della stasi dell’edificio, capitolati sotto le richieste di una società desiderosa di chiasso e continuo movimento; siamo diventati incapaci dell’attesa e di sguardi curiosi, vuoti interiormente dobbiamo sempre stupirci per notare qualcosa. 

Si è perduto in molte architetture il momento di silenzio, di riflessione e di stasi dell’edificio, capitolati sotto le richieste di una società che desidera chiasso e continuo movimento; incapaci dell’attesa e di uno sguardo curioso, vuoti interiormente dobbiamo sempre stupirci per riuscire a notare qualcosa.

L’architettura, con il supporto della tecnologia, dovrebbe essere un gioco di proporzioni a volte spontanee e a volte ragionate, fatto di distanze, di luci e ombre che insieme danno vita ai materiali, creando specificità e caratterizzando un progetto. La sua arte è sempre stata riuscire a raccontare la società, rinnovandosi senza dimenticare le preesistenze, le persone e i loro luoghi.

L’architettura creava luoghi per i cittadini, una forza che oggi è però andata perduta.

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La crisi dell’organismo urbano e il limite di crescenza

Mi aggiro, cittadino osservatore, nella città asfaltata ormai luogo di espressione della volontà di una nuova ed ennesima generazione di parcheggiatori e produttori di cemento, in realtà politici forti della loro ignoranza. Esponenti di un non sapere collettivo che le loro azioni amplificano. Vedo un’epoca che scoppia di dinamismo. Non vuole saperne di pensieri, chiede soltanto azioni.

Cammino sempre più convinto che questa energia, negativa e distruttrice, provenga unicamente dal fatto che non si ha nulla da fare, interiormente. A ben pensare, però, anche esteriormente ciascuno non fa altro che ripetere per tutta la vita la stessa identica azione: entra in un ruolo sociale, identificato da un’attività professionale e così continua per tutta la vita. 

LA DECRESCITÀ PER RIDARE SPAZIO ALLA NATURA

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Nei cittadini non c’è agitazione. Sono complici della diffusione del “metro cubo edificabile”, il virus degenerativo della città e del paesaggio, il nostro intorno, terra che tace come consapevole della forza che troverà, un giorno, per superare le torture subite. Questo virus, esaurito l’intorno di cui nutrirsi, il suolo, non potrà più crescere e darà inizio ad un processo auto-distruttivo. Il successivo passaggio sarà il collasso, un momento di crollo, di abbandono, di riappropriazione, in definitiva di felicità. E sarà una festa.

Il limite di crescenza

Questo pensiero ricorrente mi ha fatto riflettere sul “limite di crescenza” (R. Musil), misterioso limite che vale per la vita organica, per cui nessun animale cresce all’infinito. Noi, in quanto esseri umani, abbiamo la stessa misteriosa caratteristica e non continuiamo a crescere all’infinito, fisicamente non subiamo variazioni apprezzabili, infatti la nostra voce non avrà mai la forza di un megafono e così i nostri piedi e le nostre dita manterranno le loro dimensioni nel tempo. In quanto società, invece, siamo incapaci di accogliere il concetto di limite di crescenza e questo è evidente in svariati ambiti e discipline, dal design all’architettura, dalle dimensioni della città fino agli oggetti di uso comune, come le automobili. Ad esempio oggi un’utilitaria ha dimensioni paragonabili e spesso superiori a quelle di un’automobile di categoria superiore di solo qualche anno fa.

Purtroppo, anche in architettura, è ormai pratica comune quella di creare qualcosa che sia sempre “più”. Più grande e più costoso del già costruito e che si distingua a tutti i costi gridando la sua presenza ai passanti.

Dietro a questa crescita illimitata c’è un evidente problema culturale del mercato. 

Stiamo vivendo un eccesso di barocchismo, seguendo i capricci di una clientela che non ha cultura ed è affascinata da forme fini a sé stesse, dove un’esuberanza di motivi porta i progettisti ad andare al di là dei rapporti proporzionali, della logica di pensiero e di produzione. L’essenziale è perduto, quell’idea di progetto che non era sinonimo di povero ma di coerenza, di intelligenza e leggerezza. In molte architetture si è perso il momento del silenzio, della riflessione e della stasi dell’edificio, capitolati sotto le richieste di una società desiderosa di chiasso e continuo movimento; siamo diventati incapaci dell’attesa e di sguardi curiosi, vuoti interiormente dobbiamo sempre stupirci per notare qualcosa. 

Si è perduto in molte architetture il momento di silenzio, di riflessione e di stasi dell’edificio, capitolati sotto le richieste di una società che desidera chiasso e continuo movimento; incapaci dell’attesa e di uno sguardo curioso, vuoti interiormente dobbiamo sempre stupirci per riuscire a notare qualcosa.

L’architettura, con il supporto della tecnologia, dovrebbe essere un gioco di proporzioni a volte spontanee e a volte ragionate, fatto di distanze, di luci e ombre che insieme danno vita ai materiali, creando specificità e caratterizzando un progetto. La sua arte è sempre stata riuscire a raccontare la società, rinnovandosi senza dimenticare le preesistenze, le persone e i loro luoghi.

L’architettura creava luoghi per i cittadini, una forza che oggi è però andata perduta.

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Architettura per non vedenti: le tecnologie che aiutano l’accessibilità

Quando si parla di “accessibilità” nell’architettura è inevitabile pensare a un lavabo o un wc dalla forma particolare, un paio di maniglioni disposti qua e là e una serie di rampe dalla pendenza che non si sa bene se una carrozzina sarà in grado di superare. La progettazione accessibile, in realtà, copre un ventaglio di argomenti, di tematiche e di interventi molto più ampio di quelli previsti dalla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche. E, soprattutto, un edificio non è accessibile o inaccessibile solo per chi si sposta in carrozzina. 

ACCESSIBILITÀ: progettare per tutti

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La disabilità è un concetto che, nella nostra mente, è abbastanza distorto, in quanto viene spesso associato a un gruppo di persone con capacità motorie ridotte o assenti. In realtà il “disabile” è anche il sordo, il cieco, l’anziano, l’intollerante, l’allergico. Si dovrebbe intendere, per disabile, qualsiasi persona che presenta particolari esigenze relativamente alla fruizione dello spazio che lo circonda.

Cecità ed architettura: il ruolo dei facilitatori

La cecità è un disturbo visivo che, al giorno d’oggi, colpisce un numero sempre maggiore di persone, complice il continuo utilizzo di computer e telefonini i cui schermi possono causare gravi problemi alla vista.

Esistono diversi stadi di cecità, da quella totale a quella parziale, oltre alle numerose patologie legate a questo senso, come l’ipovisione o il daltonismo. In tutti i casi è opportuno che l’architettura sia abbinata alla presenza di facilitatori, dispositivi che aiutano queste persone a muoversi liberamente e a svolgere le attività a cui si dedicherebbe chiunque.

È molto importante, per i disabili, che l’architetto riesca a celare il tentativo di rendere agevole l’uso di quell’ambiente, effettuando delle scelte di tipo inclusivo. Il cieco riuscirà a muoversi tranquillamente all’interno di uno spazio complesso, soprattutto se accompagnato, ma la domanda che bisogna porsi è: riuscirebbe a fare lo stesso se fosse da solo? E la risposta deve essere sì.

Esistono, infatti, dei facilitatori che, opportunamente collocati all’interno dell’edificio che si vuole rendere accessibile per i non vedenti, aiutano il visitatore nell’orientamento e nei movimenti e contribuiscono ad accrescere il valore estetico dello stesso.

Si tratta principalmente di dispositivi che stimolano l’utilizzo dei sensi diversi dalla vista, come avviene quando si installa un percorso olfattivo, con il quale il non vedente viene guidato dagli aromi percepiti dal suo olfatto, oppure quando si opta per le più tradizionali mappe tattilo-visive, utili all’orientamento e alla percezione dello spazio circostante.

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I consigli dell’architetto non vedente Chris Downey

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Sono stati molti, negli ultimi tempi, gli architetti che hanno dimostrato sensibilità e interesse nei confronti dei non vedenti, impegnandosi concretamente in azioni volte ad incontrare le esigenze di queste persone. Nella lista spicca il nome di Chris Downey, un architetto di San Francisco che ha perso la vista ormai da sette anni e si impegna quotidianamente nella ricerca di nuove tecnologie utili ad assistere non vedenti e ipovedenti durante le sfide che il mondo pone loro davanti ogni giorno.

Recentemente Downey ha rilasciato un’intervista a Dwell Magazine, svelando alcuni esperimenti in atto a San Francisco per contribuire al superamento delle così discusse “barriere architettoniche”. Secondo Downey l’intervento deve essere graduale, poco rivoluzionario e in grado di porre l’accento su quanto c’è di buono nelle tecniche attualmente utilizzate. Non occorre, seconto l’architetto americano, spendere denaro nella realizzazione di tecnologie particolarmente sofisticate, ma piuttosto capire cosa c’è di valido in quelle attuali, individuarne le potenzialità e capitalizzarle. Basterà aggiungere delle funzioni nuove e più specializzate per trasformare un banale facilitatore per non vedenti in un oggetto di supporto multifunzionale. 

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Tatto e udito: i nuovi occhi di chi gli occhi non può usarli

Gli strumenti tanto pubblicizzati da Chris Downey potrebbero supportare anche l’attività dei suoi colleghi architetti che, proprio come lui, hanno perso l’uso della vista ma continuano a svolgere con tenacia e con difficoltà questo lavoro. Usando degli sketchpads digitali, infatti, le dita potrebbero svolgere la funzione degli occhi. È il principio che è già alla base delle mappe tattili, sulle quali il disegno in rilievo permette a chi le tocca di capire cosa è rappresentato. La differenza è che gli sketchpads consentono di disegnare su una tavoletta e di toccare la linea appena tracciata, che viene restituita con un leggero rilievo. Una volta terminato, il disegno può essere facilmente trasferito su un computer tramite una chiavetta USB.

Anche l’udito, per chi non ha la vista, riveste un ruolo fondamentale nella percezione dello spazio e degli oggetti che lo caratterizzano. Downey e la sua squadra stanno tentando di mettere a punto una tecnica di modellazione acustica da applicare al settore del design. Uno studio degli ingegneri di Arup ha dimostrato, inoltre, che il suono è particolarmente utile per non vedenti e ipovedenti per avere una più precisa percezione dello spazio che li circonda e degli oggetti che lo caratterizzano.

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Progettazione architettonica multisensoriale

L’intento che deve guidare gli architetti nella realizzazione di edifici fruibili da parte di non vedenti e ipovedenti è quello di integrare architettura esistente e dispositivi di ausilio, optando per scelte in grado di stimolare tutti i sensi. La progettazione, secondo Downey, deve essere multisensoriale, proprio come i facilitatori utilizzati. Non basta affidarsi solo alla tecnologia, ma occorre entrare in confidenza con una vera e propria filosofia secondo la quale una progettazione a 360° deve tener conto del fatto che, a visitare quell’edificio, saranno anche persone per le quali muoversi all’interno dello spazio non è proprio quella che solitamente si definisce “una passeggiata”.

I risultati potrebbero avere più effetti benefici di quanti se ne possano immaginare, anche sui professionisti stessi.

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Architettura per non vedenti: le tecnologie che aiutano l’accessibilità

Quando si parla di “accessibilità” nell’architettura è inevitabile pensare a un lavabo o un wc dalla forma particolare, un paio di maniglioni disposti qua e là e una serie di rampe dalla pendenza che non si sa bene se una carrozzina sarà in grado di superare. La progettazione accessibile, in realtà, copre un ventaglio di argomenti, di tematiche e di interventi molto più ampio di quelli previsti dalla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche. E, soprattutto, un edificio non è accessibile o inaccessibile solo per chi si sposta in carrozzina. 

ACCESSIBILITÀ: progettare per tutti

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La disabilità è un concetto che, nella nostra mente, è abbastanza distorto, in quanto viene spesso associato a un gruppo di persone con capacità motorie ridotte o assenti. In realtà il “disabile” è anche il sordo, il cieco, l’anziano, l’intollerante, l’allergico. Si dovrebbe intendere, per disabile, qualsiasi persona che presenta particolari esigenze relativamente alla fruizione dello spazio che lo circonda.

Cecità ed architettura: il ruolo dei facilitatori

La cecità è un disturbo visivo che, al giorno d’oggi, colpisce un numero sempre maggiore di persone, complice il continuo utilizzo di computer e telefonini i cui schermi possono causare gravi problemi alla vista.

Esistono diversi stadi di cecità, da quella totale a quella parziale, oltre alle numerose patologie legate a questo senso, come l’ipovisione o il daltonismo. In tutti i casi è opportuno che l’architettura sia abbinata alla presenza di facilitatori, dispositivi che aiutano queste persone a muoversi liberamente e a svolgere le attività a cui si dedicherebbe chiunque.

È molto importante, per i disabili, che l’architetto riesca a celare il tentativo di rendere agevole l’uso di quell’ambiente, effettuando delle scelte di tipo inclusivo. Il cieco riuscirà a muoversi tranquillamente all’interno di uno spazio complesso, soprattutto se accompagnato, ma la domanda che bisogna porsi è: riuscirebbe a fare lo stesso se fosse da solo? E la risposta deve essere sì.

Esistono, infatti, dei facilitatori che, opportunamente collocati all’interno dell’edificio che si vuole rendere accessibile per i non vedenti, aiutano il visitatore nell’orientamento e nei movimenti e contribuiscono ad accrescere il valore estetico dello stesso.

Si tratta principalmente di dispositivi che stimolano l’utilizzo dei sensi diversi dalla vista, come avviene quando si installa un percorso olfattivo, con il quale il non vedente viene guidato dagli aromi percepiti dal suo olfatto, oppure quando si opta per le più tradizionali mappe tattilo-visive, utili all’orientamento e alla percezione dello spazio circostante.

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I consigli dell’architetto non vedente Chris Downey

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Sono stati molti, negli ultimi tempi, gli architetti che hanno dimostrato sensibilità e interesse nei confronti dei non vedenti, impegnandosi concretamente in azioni volte ad incontrare le esigenze di queste persone. Nella lista spicca il nome di Chris Downey, un architetto di San Francisco che ha perso la vista ormai da sette anni e si impegna quotidianamente nella ricerca di nuove tecnologie utili ad assistere non vedenti e ipovedenti durante le sfide che il mondo pone loro davanti ogni giorno.

Recentemente Downey ha rilasciato un’intervista a Dwell Magazine, svelando alcuni esperimenti in atto a San Francisco per contribuire al superamento delle così discusse “barriere architettoniche”. Secondo Downey l’intervento deve essere graduale, poco rivoluzionario e in grado di porre l’accento su quanto c’è di buono nelle tecniche attualmente utilizzate. Non occorre, seconto l’architetto americano, spendere denaro nella realizzazione di tecnologie particolarmente sofisticate, ma piuttosto capire cosa c’è di valido in quelle attuali, individuarne le potenzialità e capitalizzarle. Basterà aggiungere delle funzioni nuove e più specializzate per trasformare un banale facilitatore per non vedenti in un oggetto di supporto multifunzionale. 

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Tatto e udito: i nuovi occhi di chi gli occhi non può usarli

Gli strumenti tanto pubblicizzati da Chris Downey potrebbero supportare anche l’attività dei suoi colleghi architetti che, proprio come lui, hanno perso l’uso della vista ma continuano a svolgere con tenacia e con difficoltà questo lavoro. Usando degli sketchpads digitali, infatti, le dita potrebbero svolgere la funzione degli occhi. È il principio che è già alla base delle mappe tattili, sulle quali il disegno in rilievo permette a chi le tocca di capire cosa è rappresentato. La differenza è che gli sketchpads consentono di disegnare su una tavoletta e di toccare la linea appena tracciata, che viene restituita con un leggero rilievo. Una volta terminato, il disegno può essere facilmente trasferito su un computer tramite una chiavetta USB.

Anche l’udito, per chi non ha la vista, riveste un ruolo fondamentale nella percezione dello spazio e degli oggetti che lo caratterizzano. Downey e la sua squadra stanno tentando di mettere a punto una tecnica di modellazione acustica da applicare al settore del design. Uno studio degli ingegneri di Arup ha dimostrato, inoltre, che il suono è particolarmente utile per non vedenti e ipovedenti per avere una più precisa percezione dello spazio che li circonda e degli oggetti che lo caratterizzano.

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Progettazione architettonica multisensoriale

L’intento che deve guidare gli architetti nella realizzazione di edifici fruibili da parte di non vedenti e ipovedenti è quello di integrare architettura esistente e dispositivi di ausilio, optando per scelte in grado di stimolare tutti i sensi. La progettazione, secondo Downey, deve essere multisensoriale, proprio come i facilitatori utilizzati. Non basta affidarsi solo alla tecnologia, ma occorre entrare in confidenza con una vera e propria filosofia secondo la quale una progettazione a 360° deve tener conto del fatto che, a visitare quell’edificio, saranno anche persone per le quali muoversi all’interno dello spazio non è proprio quella che solitamente si definisce “una passeggiata”.

I risultati potrebbero avere più effetti benefici di quanti se ne possano immaginare, anche sui professionisti stessi.

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Guerra del ’15-’18, iniziative per la tutela della memoria collettiva

Ricordiamo che dallo scorso maggio, con l’osservanza di un minuto di silenzio, l’Italia ha inaugurato una serie di eventi commemorativi del I centenario della Grande Guerra, che si celebreranno, da nord a sud e da est ad ovest, fino al 2018. Vediamo il quadro dei finanziamenti e alcune significative iniziative per conservare la memoria collettiva con particolare riguardo per le future generazioni.

SECONDA GUERRA MONDIALE: IL RECUPERO DI UN RIFUGIO ALPINO DISTRUTTO

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“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” (cit. Luis Sepulveda). Gli architetti, come gli storici, dovrebbero sentirsi investiti dell’onore e onere, di tramandare il patrimonio monumentale per testimoniare il fallimento della politica basata su “un’economia a mano armata”, responsabile della distruzione irrimediabile della biodiversità umana, ovvero di preziosi saperi popolari (quelli più vulnerabili, poiché verbali), ma soprattutto la principale causa di traumi psicofisici irreversibili, spesso ereditati inconsapevolmente dai discendenti delle vittime.

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A causa della prima guerra mondiale, il nostro popolo (suddito del re Vittorio Emanuele III di Savoia) pagò -dopo quello francese e tedesco- uno dei più alti tributi: circa il 3,48% perse la vita, di cui 651.000 militari e ben 589.000 civili (Philip J. Haythornthwaite, The World War One Source Book, Arms and Armour, 1993).

I padri fondatori della nostra Repubblica, quando scrissero l’art. 11 della Costituzione (in vigore il 1º gennaio 1948), si resero ben conto delle nefaste conseguenze dei conflitti bellici: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Ben lungi, dunque, dai principi pacifici fondanti il nostro Stato, i Governi dall’11 settembre del 2001 hanno incrementato la spesa pubblica per potenziare gli armamenti. Nel 2012 il Nostro ha investito complessivamente 23 miliardi di Euro, e grazie all’appoggio finanziario di numerosi istituti di credito –anche nostrani- continua ad autorizzare le esportazioni di armi anche in aree calde per un totale di 6,6 miliardi di Euro. Inoltre, analizzando il Libro bianco sulle spese militari del 2012 (di Sbilanciamoci), emerge un paradosso inaccettabile per la gente di buon senso: mentre le sofferenze sociali per la crisi economica -acuitasi dal 2008- stanno ancora crescendo in modo esponenziale, i generali del nostro Paese si dilettano in “giochi di guerra” per una difesa “preventiva” fuori dei confini nazionali. Quelle stesse risorse potrebbero, invece, essere investite ad esempio in opere pubbliche di restauro e conservazione della memoria collettiva, rilanciando così il settore delle costruzioni da anni agonizzante e magari nel contempo anche il turismo culturale.      

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In altre parole, noi cittadini dobbiamo sostenere azioni militari che niente hanno a che vedere con il criterio di “difesa sufficiente” e soprattutto coerente, non solo con il menzionato art. 11 della Costituzione, ma nemmeno con l’art. 52 (ruolo nazionale e democratico delle forze armate).
Invece di “svuotare gli arsenali e riempire i granai”, in un silenzio assordante da parte della stampa, il nostro Governo preferisce salvaguardare gli interessi e i privilegi della casta militare, e ridurre linearmente i fondi per il servizio civile del 77%, togliendo così alla collettività preziose risorse umane, spendibili nei servizi sociali, nell’auspicabile conversione ecologica e in definitiva in disarmo.

LE INIZIATIVE A TUTELA DELLA MEMORIA COLLETTIVA

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Per la commemorazione del Centenario della prima guerra Mondiale il Governo si è prefisso di armonizzare le attività promosse dai diversi enti, pubblici e privati, coinvolti, coordinando, o avviando iniziative aventi i seguenti obiettivi generali:

  • ricordare la Grande Guerra, l’eroismo e il sacrificio dei soldati e della cittadinanza, e tutte le vicende – politiche, culturali, civili – ad essa legate come episodio di fondamentale importanza nel processo di costruzione dell’identità europea, della nostra storia nazionale e di coesione tra gli italiani di ogni regione;
  • promuovere il recupero di storie e luoghi della memoria, spesso dimenticati o trascurati, valorizzandone quelli già inseriti in circuiti museali, o turistici, e potenziandone la conoscenza;
  • rendere immediatamente riconoscibili per i cittadini tutte le iniziative legate alle Commemorazioni.

I comitati Interministeriale per il Centenario della prima guerra mondiale e Storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, con il supporto progettuale e operativo della Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, sono gli enti deputati alla definizione degli obiettivi, all’individuazione delle iniziative e alla loro pianificazione nel quadriennio 15-18.

Il web dei monumenti  e il programma degli eventi commemorativi

Con il fine di rendere consultabile, in forma unitaria, il patrimonio censito dall’Istituto Centrale per il Catalogo, in collaborazione con le soprintendenze territoriali, è stato creato un apposito portale. Nella sezione ‘’Documenti e immagini della Grande Guerra’’ sono già visualizzabili le prime 6.000 schede illustrative relative ai principali monumenti ai caduti.

caption: Il monumento al Milite Ignoto, P.zza Venezia a Roma

Tra gli eventi passati menzioniamo la proiezione del film-documentario “Fango e Gloria”, promossa dalla RAI, nel quale viene ricostruita la storia del Milite Ignoto, i cui Resti mortali sono tutt’oggi tumulati nel complesso monumentale del Vittoriano a Roma. Rimandiamo alla consultazione della sezione “il programma delle regioni” nel sito per visualizzare la programmazione dei futuri eventi commemorativi.

IL QUADRO DEI FINANZIAMENTI PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO

Il piano degli interventi infrastrutturali e dei riallestimenti museali, per commemorare il centenario della Grande Guerra, venne inaugurato con la Legge 7 marzo 2001, n. 78 “Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”, pare sulla base di una profonda ricognizione delle iniziative programmate da enti pubblici e privati -sia a livello nazionale che extra nazionale- con l’obiettivo ambiziosissimo di realizzare un “Memoriale diffuso” attraverso le seguenti azioni:

  • il recupero dei luoghi che conservano la memoria del primo conflitto mondiale: sacrari, forti, trincee, camminamenti, etc.;
  • la valorizzazione di quelli già inseriti in circuiti museali e turistici attraverso il coinvolgimento delle comunità locali;
  • la creazione di una rete nazionale, per favorire uno sviluppo culturale, didattico e turistico sostenibile, rivolto anche a visitatori non italiani.

Il MiBACT, in accordo con il ministero della Difesa selezionò i seguenti nove interventi di restauro conservativo:

  • Sacrari in Italia: Redipuglia, Cima del Grappa, Asiago, Montello, Caduti d’Oltremare, Oslavia;
  • Cimiteri militari all’estero: Bligny in Francia, Mauthausen in Austria, Caporetto in Slovenia.

Con la menzionata legge dovevano essere finanziate anche le più avanzate tecnologie multimediali per i musei esistenti, già oggetto del restauro conservativo. Le coperture finanziare, incluse le autorizzazioni a contrarre mutui con onere a carico del bilancio dello Stato, erano state assegnate dal Ministero in questione, prioritariamente, ai progetti relativi alle zone di guerra più direttamente interessate dagli eventi bellici del 1916-18 (sugli altopiani vicentini). Durante i quindici anni precedenti al Centenario, dunque, potevano essere spesi complessivamente circa 13,25 milioni di euro, cifra all’epoca espressa in Lire rivalutata oggi in base al tasso medio annuo dell’1,5% secondo l’ISTAT.        

Il Governo Berlusconi, con il D.Lgs 15 marzo 2010, n. 66 Codice dell’ordinamento militare, in vigore dal 9/10/2010, abrogava una serie di leggi tra cui anche la menzionata 78/2001, che fino al 2004 aveva erogato complessivamente 548.098 Euro. Ecco i beneficiari in ordine decrescente dell’ammontare del finanziamento ottenuto: Veneto (273.739€), Stato Maggiore dell’Esercito (75.000€), Emilia Romagna (43.000), Lazio (36.151€), Piemonte-Valle D’Aosta e Campania (50.000€), Toscana (18.000€), Liguria (8.000€) e Lombardia (4.118€).

Nel 2014, dopo una pausa di un decennio, con la “Legge di Stabilità” (art. 1 com. 309) il Governo Renzi riformula lo stanziamento per iniziative celebrative del primo Centenario e istituisce un fondo presso la Presidenza dei ministri pari a 3 milioni di Euro per il biennio 2015-16. Le destinatarie della menzionata sovvenzione sono le iniziative culturali commemorative, sia pubbliche che private, collocate entro due grandi aree: restauro e ripristino dei monumenti e iniziative di carattere culturale, a loro volta divise in due sezioni in base al tipo di proponente; le prime sono promosse dal Comitato del MiBACT (mostre, convegni, pubblicazioni, attività con le scuole) e le seconde sono proposte al Comitato del MiBACT da enti terzi (tra i beneficiari annoveriamo l’Accademia di Brera e il CONI).

Attualmente le fonti finanziarie disponibili per il settore dei beni culturali e paesaggistici sono di varia natura: possono essere stanziamenti statali, o regionali (relazionati con i fondi comunitari) ed hanno differenti beneficiari: organismi del MiBACT, Enti Locali e Istituti privati. Al MiBACT è attribuita una quota degli utili derivanti dal gioco dell’estrazione del Lotto, pari ad un importo annuo di circa 155 milioni di euro. Tali fondi sono assegnati in base ad un programma triennale e sono destinati al recupero ed alla conservazione di beni architettonici e paesaggistici, archeologici, artistici e storici, archivistici e librari.

Nelle Regioni a Statuto speciale (a cui è affidata, per legge, la diretta gestione dei Beni Culturali) tali risorse finanziarie vengono integrate da fondi stanziati dalle Leggi Finanziarie. In aggiunta, esiste un programma di sostegno economico per la tutela della memoria collettiva da parte della UE, si tratta di fondi strutturali destinati all’attuazione di interventi specifici, rispondenti a determinati requisiti. Tali fondi, detti anche indiretti, sono organizzati e distribuiti attraverso i Documenti di Programmazione Regionale. I beneficiari di tali risorse sono gli enti locali territoriali (in primis i Comuni e i loro Consorzi) e loro associazioni (anche con soggetti privati) le cui iniziative vengono programmate in modo da attivare il cofinanziamento, appunto, dei fondi strutturali comunitari.
Per quanto riguarda le Regioni OB1, il finanziamento è regolato dall’Asse III-Risorse Culturali, mentre per le Regioni OB2 si hanno indicazioni legate soprattutto ai Sistemi Locali di Sviluppo.

I MONUMENTI COMMEMORATIVI AI COMBATTENTI CADUTI

caption: Foto del monumento ai caduti a Dese Di Favaro Veneto

In molte cittadine italiane, paesi d’origine dei combattenti, troviamo almeno un monumento dedicato alla memoria del loro immane sacrificio, del tutto simili a quello in cui è ricordato il bisnonno dell’autrice (Luigi Scapin) nel paese di origine, Dese di Favaro Veneto. 

Questo è l’esempio tipico dell’usanza di menzionare assieme, e indistintamente, i caduti della prima e della seconda Guerra Mondiale. A distanza di anni tale pratica rende difficile -se non impossibile- la ricostruzione della storia di ogni singolo defunto. Inoltre, il monumento rappresenta un raro esempio di raffigurazione dei ritratti al lato dei nomi dei soldati defunti, realizzati su ceramica. Alcuni ritratti purtroppo sono scomparsi, probabilmente andati distrutti.

Secondo la scheda redatta a dicembre del 2013 dalla Soprintendenza di Venezia, il menzionato monumento è datato tra gli anni ‘20 e ‘40 del XX secolo, e già non si trovava in buon stato: era ricoperto da una patina grigia, fessurato diffusamente e rimaneggiato in modo non professionale. Secondo gli addetti ai lavori (restauratori specializzati in opere d’arte) è pratica assai diffusa la manomissione dei monumenti vincolati dalla Soprintendenza, per capitolati di restauro sotto la soglia dei 40.000 Euro (per i quali non è richiesta la categoria SOA OS 2A). Pertanto gli interventi sfuggono al controllo burocratico da parte delle autorità competenti in materia di tutela del patrimonio storico, e dunque vengono realizzati con la compiacenza dei responsabili degli uffici tecnici comunali che si fingono “ciechi-sordomuti”. Visti i tempi biblici di risposta, per il rilascio del nulla osta, da parte delle Soprintendenze (secondo una recente circolare del MiBACT purtroppo è ammessa la risposta anche oltre i termini di legge di 90 giorni) possiamo, dunque, supporre sia la più probabile giustificazione per un lavoro inadeguato e quindi abusivo, ma in ogni caso è inaccettabile perché spesso realizzato secondo metodi non professionali, i quali causano danni irreversibili, o almeno determinano costi aggiuntivi all’importo complessivo per interventi di ripristino, o demolizione dei falsi storici. In questo caso la Soprintendenza consiglia di denunciare l’illecito contro ignoti ai Carabinieri o alla Procura di competenza.

RINGRAZIAMENTI

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Grazie all’associazione Cime e Trincee, e in particolare al contributo del presidente Daniele Girardini, l’autrice è riuscita a recuperare informazioni preziose a distanza di 99 anni dalla morte del proprio caro bisnonno materno (creduto disperso in guerra): alla brigata di appartenenza (Reggimento Fanteria della brigata Ivrea) durante il servizio militare, all’ultima posizione in vita (ospedale militare di Lugo di Romagna), le cause della sua morte (morbo contratto per ingerimento di acqua contaminata) e, in fine con grande emozione, alla localizzazione dei Resti mortali in un luogo molto lontano dalle sue origini (cimitero monumentale di Lugo di Romagna). L’autrice, raccontando la propria esperienza di ricerca, spera di incoraggiare altri studiosi a ricostruire gli ultimi giorni di vita dei propri cari ritenuti erroneamente dispersi. Infatti, senza determinazione, la ricerca storica avrebbe potuto abortire al primo scoraggiamento: l’assenza del nominativo del milite nell’Albo d’oro dei combattenti .

Probabilmente solo pochi sanno che esiste un altro albo cartaceo, oltre a quello più recente on-line e che evidentemente non è completo. Ciascun combattente è dunque registrato con le proprie generalità, i nomi dei genitori, data e luogo di nascita ed eventualmente anche della morte nel caso in cui fosse avvenuto il riconoscimento dei Resti, poiché spesso difficilissimo da farsi. Infatti, all’epoca, ciascun soldato veniva identificato mediante un foglio di carta pieghevole custodito, in modo rudimentale, in un cofanetto metallico portato al collo. Per la sua natura vulnerabile, tale documento spesso poteva venire facilmente compromesso durante i combattimenti e quindi la sua lettura divenire impossibile o andare perso.

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Inoltre, l’autrice ringrazia sentitamente anche la responsabile del cimitero di Lugo di Romagna, Graziella Baldrati  e il direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, il dr. Raffaele Santoro. La prima per la sollecitudine nel verificare con estrema accuratezza la collocazione attuale dei Resti mortali del proprio bisnonno e il secondo per il sollecito e meticoloso contributo proferito nella ricerca anagrafica, nonostante le copiose domande di ricerca di documentazione militare, dovute alla ricorrenza del Centenario della Grande Guerra e a quelle per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai discendenti di nostri connazionali emigrati.

I Resti del bisnonno assieme a quelli di altri combattenti caduti sono tumulati in una nicchia di una delle arcate del cimitero di Lugo, dietro una grande lapide marmorea, piuttosto anonima, seppur ben conservata dal 1930 come si evince da una foto scattata recentemente. L’omissione dei nomi dei caduti può essere giustificata solo dal difficile contesto storico ed economico, che comunque non giustifica la mancanza di rispetto nei confronti, in primis, dei soldati e in seconda battuta dei discendenti che si vedono impossibilitati a ritrovare facilmente il luogo di sepoltura. 
Infine, la ricerca storica nel menzionato cimitero si è rivelata propizia poiché ha permesso di scoprire anche il sontuoso monumento che conserva i Resti dell’ “Asso degli assi” dell’aviazione militare italiana, il maggiore Francesco Baracca, situato a pochi metri di distanza.  

L’APPELLO AL MINISTERO

Per concludere, in nome dei discendenti dei combattenti, l’autrice indirizza al ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica il seguente appello: tutti i monumenti -indistintamente, dal più grande al più piccolo- devono in futuro godere di identiche politiche di tutela, affinché in alcun modo il dolore possa essere gerarchizzato in base ai gradi militari, o alla cause della morte. Pertanto chiede che i soldi pubblici vengano amministrati in modo equo e trasparente, con l’auspicio che, per tale scopo, possano essere creati nuovi posti di lavoro di elevata professionalità.

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Le città europee più vivibili per gli anziani. L’analisi di Arup

Se ne parla da tanto e non è una novità: la popolazione sta invecchiando e questo rappresenta una delle sfide più ardue dei prossimi anni, da affrontare a livello economico, sociale e di pianificazione urbanistica.

Secondo le stime, nel 2050 il 70% delle persone abiterà in città, di queste il 22% avrà un’età superiore ai sessantacinque anni, una percentuale più alta di quella dei bambini sotto i quindici anni, per la prima volta nella storia. Come affrontare questo cambiamento? Le città saranno in grado di dare una risposta, trovare una soluzione giusta e cogliere le opportunità?

PROGETTARE SMART CITY ANCHE PER GLI ANZIANI

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Il report di Arup per città a misura di anziani

A queste domande prova a rispondere il report di Arup, “Shaping Ageing Cities”, in collaborazione con Help Age International, Intel ICRI Cities e Systematica. Shaping Ageing cities è uno studio che riguarda il solo territorio europeo e confronta i dati di dieci città: Parigi, Londra, Dublino, Madrid, Lisbona, Amsterdam, Bruxelles, Milano, Berlino e Copenaghen.

Si parte dai dati anagrafici della popolazione che riguardano la percentuale degli over sessantacinque, le condizioni di vita, la concentrazione nelle varie aree e si approda ai dati progettuali, cioè la presenza o meno di programmi e progetti dedicati agli anziani, in un’ottica di pianificazione urbana.

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L’indagine ha evidenziato un aumento smisurato della popolazione anziana, negli anni dal 1991 al 2012, soprattutto in Spagna, Portogallo, Germania e Italia, conseguentemente a un forte calo delle nascite. Al contrario, il nord e in particolare la Danimarca, hanno una popolazione notevolmente più giovane.

Altro dato interessante è quello che rileva il passaggio abitativo dai centri rurali alle zone urbane, dove gli anziani vivono soprattutto in centro città a Lisbona, ma a Milano e Madrid preferiscono le zone dell’hinterland.

Dunque come si fa a costruire o, meglio, trasformare una città a misura di anziani? Arup fornisce alcune linee-guida meritevoli di particolare attenzione.

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L’importanza del verde

Innanzitutto la presenza di spazi verdi è di fondamentale importanza per quelle persone avanti con gli anni, non solo perché costituiscono una risorsa per il benessere psico-fisico, ma soprattutto perché rappresentano luoghi di socializzazione e d’incontro dove trascorrere il tempo libero e trovare refrigerio nei mesi estivi. Londra si classifica al primo posto con l’11,2% di aree verdi, mentre Milano è il fanalino di coda con solo il 6%.

L’accessibilità

L’accessibilità è un altro aspetto da non sottovalutare: una città attenta è quella che cura la manutenzione di strade e infrastrutture, non risparmia su panchine e coperture alle pensiline dei bus, offre una segnaletica evidente e chiara, zone di sosta e di ristoro, percorsi pedonali senza ostacoli e facilmente percorribili.

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Efficienza dei trasporti pubblici

Anche il buon funzionamento del trasporto pubblico, utilizzato maggiormente da chi giovane non è più, è indice di una città efficiente. Una città virtuosa deve garantire collegamenti frequenti e ben distribuiti, oltre che accessibili economicamente; Londra e Dublino sono in prima fila con la “best practice” del libero accesso ai meno abbienti e agli anziani.

Adeguatezza delle abitazioni

Infine, ogni abitante ha diritto di vivere dignitosamente; se in età più giovane le condizioni abitative soddisfavano certi parametri, questi potrebbero non valere più in età avanzata, perché con il passare degli anni le esigenze abitative di ogni essere umano cambiano. Deve quindi poter essere facile per questa fascia di età trasformare gli spazi domestici in luoghi più idonei ai nuovi bisogni.

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Sistemi strutturali in legno senza colle

La crescente attenzione alla sostenibilità in campo architettonico negli ultimi anni ha avvicinato i progettisti a materiali e tecnologie rispettose dell’ambiente. In quest’ottica, il legno ha subito una riscoperta come materiale da costruzione sostenibile nonché strutturalmente molto valido ed esteticamente gradevole. È stato stimato che ogni metro cubo di legno utilizzato in sostituzione di un altro materiale strutturale permette di ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera di un valore medio di circa 1,1 t.

Sposando la filosofia della sostenibilità, Marlegno ha brevettato TAVEGO®, un sistema costruttivo in legno che prevede elementi orizzontali e verticali (solai e pareti) costituiti da tavole in legno sovrapposte ed unite tra loro senza utilizzare collanti sintetici, ma solo connessioni meccaniche lignee o d’acciaio.

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I PUNTI DI FORZA DEL SISTEMA STRUTTURALE IN LEGNO SENZA COLLE

I punti di forza di questo sistema strutturale sono tanti. Ne analizziamo i principali, legati sia all’ambiente, sia alle caratteristiche strutturali che funzionali del prodotto.

1. La materia prima è locale e certificata PEFC

Il legno utilizzato per le pareti ed il solaio che costituiscono il sistema, proviene unicamente da foreste italiane certificate PEFC. Il PEFC è il “Programme for the Endorsement of Forest Certification”, cioè un programma che sostiene la certificazione delle foreste ed è il più diffuso al mondo. Il programma garantisce che i legnami provengano esclusivamente da foreste gestite in maniera legale e sostenibile e non da tagli illegali o da interventi irresponsabili in grado di impoverire e addirittura distruggere le risorse forestali).

Le foreste da cui deriva il legno impiegato per il sistema strutturale rientrano tutte all’interno di un raggio di 220 km. Questo, oltre a favorire la filiera economica locale, consente di ridurre i consumi energetici legati al trasporto ed i relativi impatti sull’ambiente.

2. L’assenza di collanti

I collanti non fanno parte di questo sistema strutturale, tenuto insieme da connessioni meccaniche esclusivamente lignee e metalliche. L’assenza di collanti ha un triplice vantaggio:

– riduce l’utilizzo di collanti chimici derivati dal petrolio;

– evita l’impiego di presse molto dispendiose dal punto di vista energetico e necessarie per l’attivazione dei collanti;

– rende gli ambienti in cui il sistema è installato, molto più salubri.

3. Ingombri minimi

Il sistema strutturale in  legno TAVEGO® non necessita di grosse sezioni per essere stabile. Bastano pochi centimetri di tavole unite tra loro per assicurare la necessaria resistenza strutturale. La bellezza del materiale naturale lasciato a vista consente di risparmiare centimetri (spesso preziosi) di rifiniture.

4. Il ciclo di vita

Il sistema è sostenibile durante tutto il suo ciclo di vita, non solo in fase di produzione ed utilizzo. Infatti può essere sia riutilizzato mantenendo intatti i pannelli, sia smontato ed i singoli pannelli che compongono il pacchetto utilizzati singolarmente, sia smaltito in una centrale a biomassa, dove contribuirà alla produzione di energia pulita.

PARETE PORTANTE E SOLAIO PREFABBRICATO IN LEGNO

Gli ementi principali del sistema costruttivo TAVEGO® sono una parete portante ed un solaio prefabbricato, entrambi prodotti esclusivamente sfruttando connessioni meccaniche.

La parete portante

La parete portante in legno di abete rosso e bianco, è prodotta in quattro diverse tipologie, divisibili in due principali categorie: le pareti costituite da pannelli verticali (Cross-) e quelle costituite da un nucleo verticale (Stack-).

Del primo tipo sono prodotte Cross-D e Cross-S, rispettivamente assemblate con tasselli in legno di faggio e viti in acciaio inox amagnetiche, entrambi con spessore minimo di 120 mm. Nel secondo tipo rientrano Stack-W e Stack-G, entrambe costituite da un nucleo ligneo verticale, l’una rivestita con perlinato, l’altra con fibrogesso

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Il solaio prefabbricato

I solai prefabbricati TAVEGO® sono costituiti da tavole in legno affiancate tra loro. Anche il solaio, come le pareti, è assemblato unicamente con connessioni meccaniche (viti in acciaio inox autenitico), senza collanti. Le dimensioni dell’elemento costruttivo non sono standard e variano per adattarsi alle esigenze dell’utente. Sono disponibili diversi profili: classico, smussato, scanalato o alternato.

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AAA svendesi abitazione pneumatica griffata NASA

Con un budget per ricerca e sviluppo multimilionario (per la precisione, 18,5 miliardi nel 2015), la NASA è probabilmente il più grande generatore di tecnologia al mondo. La crisi mondiale arriva però fino ai più potenti ed ora l’Ente aerospaziale americano deve “fare cassa”.  Come in ogni sistema, anche i brevetti sono soggetti alle leggi della selezione darwiniana: ci sono i brevetti di serie A, quelli che fanno gola alle grosse multinazionali, assicurando alla NASA il finanziamento dei progetti di lunga portata, ed una miriade di brevetti di serie B, potenzialmente interessanti per la società civile ma rimasti orfani di capitali che ne consentano il loro ingresso nel mercato. Con lo scopo di non lasciare che il know how acquisito diventi lettera morta, la NASA ha dunque varato un’iniziativa di trasferimento tecnologico nel più puro stile marketinaro americano, con lo slogan:Technology Transfer Program. Bringing NASA technology down to Earth” (Programma di trasferimento tecnologico. Riportando alla Terra la tecnologia della NASA).

In copertina: The American Dream… la casa a forma di ciambella!

BREVETTI ITALIANI: I VETRI IDROREPELLENTI ISPIRATI AI FIORI DI LOTO

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Tecnologie e brevetti NASA

Le regole del gioco delle “svendite tecnologiche” sono semplici: tutto l’anno è stagione dei saldi e non c’è necessità di fare la fila. Basta andare nel sito della NASA, dove le aziende interessate possono passare in rivista le diverse tecnologie, coperte da brevetto, che l’ente aerospaziale offre in licenza gratuita per i tre primi anni.

Le condizioni per beneficiare di tale agevolazione sono le seguenti:

  1. essere una startup costituita appositamente per commercializzare la tecnologia di cui si richiede la licenza;
  2. la NASA rinuncia ad ogni diritto iniziale e non richiede una royalty minima durante i primi tre anni;
  3. la proprietà dei brevetti, e dunque anche le spese di mantenimento brevettuale e di difesa in caso di violazione dei diritti da parte di terzi, rimangono a carico del Governo statunitense;
  4. le licenze non sono esclusive, quindi più aziende possono acquisire la stessa tecnologia, a meno che il primo richiedente non negozi l’esclusività in cambio di una royalty addizionale;
  5. il personale ed i laboratori della NASA sono a disposizione delle startup per ulteriori perfezionamenti;
  6. con la prima vendita, la NASA inizia ad incassare una royalty, che viene utilizzata per il mantenimento della struttura;
  7. le aziende beneficiarie sono soggette a delle limitazioni delle politiche federali (leggasi: la tecnologia non può essere venduta alle potenze anti-americane e loro alleate) e all’obbligo di presentare dei rapporti periodici sui progressi fatti dalla startup beneficiaria per l’ingresso nell mercato della tecnologia acquisita.

Una volta scelto il brevetto d’interesse, a questa pagina è possibile scaricare i moduli di domanda.

L’abitazione pneumatica

Abbiamo trovato per i nostri lettori un’intrigante tecnologia di abitazione pneumatica chiamata Concentric Nested Toroidal Inflatable Habitat (Habitat Pneumatico a Toroidi Concentrici). L’invenzione è coperta dal brevetto USA No. 8.070.105.caption: sezione della casa-ciambella

Sorge spontaneo domandarsi: come mai una tale banalità ha ottenuto un brevetto? Le strutture pneumatiche sono note da almeno mezzo secolo. Le forme basilari realizzabili con un sistema sottoposto a pressione sono una diretta conseguenza del principio di Pascal: sfera, cono, e toroide. Ogni altra forma sarà sempre una combinazione delle suddette, o nel migliore dei casi una combinazione di calotte sferiche o cilindriche, come nel caso dei paraglider.

Quindi il fatto di unire più toroidi concentricamente non ha niente di innovativo. Inoltre risulta abbastanza dubbiosa l’affermazione della NASA che una struttura del genere possa essere utilizzabile nella Terra come abitazione in zone remote o inospitali, semmai andrebbe bene per girare un film di fantascienza in uno studio. Come andrebbero regolate la temperatura e la ventilazione, se non a scapito di un consumo energetico sproporzionato? Come farebbero a scorrere l’acqua piovana, o la sabbia o la neve, che si accumulerebbero nelle giunzioni fra i tori concentrici? Come fornire la pressione sufficiente per controbilanciare tale carico? Come evitare la lacerazione delle membrane, causata dalle tensioni concentrate agli ancoraggi in caso di forte vento?

Mai come in questo caso è risultato vero il vecchio proverbio “Non è oro tutto ciò che luccica”. Nell’opinione dell’Autore, almeno per quanto riguarda i brevetti che lo stesso è in grado di valutare, come quello oggetto del presente articolo e altri simili esposti nel sito in questione, l’“agevolazione” della NASA per le startup non è tale. Anzi, sembra piuttosto un pericoloso miraggio che porterebbe i giovani imprenditori nel vicolo cieco dello sviluppo di prodotti fine a sé stessi, carenti di mercato. Non a caso si tratta di una svendita di brevetti di “seconda scelta” e si sa che la qualità del low cost non è sempre la migliore.

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Accessibilità universale delle costruzioni: progettare per le disabilità

L’architettura deve necessariamente tenere in considerazione le esigenze di utenti che non possiedono, o possiedono solo in parte, le abilità necessarie alla fruizione completa e sicura dell’organismo edilizio. Analizziamo quindi i riferimenti normativi per l’accessibilità delle costruzioni, e dei progetti che dimostrano che è possibile garantire la fruibilità delle opere ai disabili senza rinunciare al valore architettonico dell’opera. 

In copertina: rampe a Venezia.

PASSERELLE IN LEGNO PER LA FRUIBILITÀ DELLA COSTA

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Riferimenti legislativi per l’accessibilità delle costruzioni

La legislazione italiana regola l’accessibilità delle costruzioni mediante il D.M.236/89 che stabilisce in modo preciso alcuni parametri. Il decreto infatti distingue le costruzioni in tre categorie di fruibilità:

  1. Accessibilità. Con “accessibilità” si intende la possibilità per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l’edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruire di spazi ed attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia.
  2. Visitabilità. Con questa seconda categoria, la visitabilità, il legislatore intende la possibilità, anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di accedere agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare. In altre parole, la persona può accedere in maniera limitata alla struttura, ma comunque le consente ogni tipo di relazione fondamentale.
  3. Adattabilità. Per adattabilità si intende la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito, intervenendo senza costi eccessivi, per rendere completamente e agevolmente fruibile lo stabile o una parte di esso anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale.

Esempi di buona progettazione

caption: Il “Padiglione Infanzia” progettato da Esaù Costa Perez, Milano.

Per le nuove costruzioni, oltre a queste caratteristiche normate per legge, si parla oggi sempre più di accessibilità universale. Per accessibilità universale si intende l’accessibilità di un edificio da parte di tutte gli utenti indistintamente, senza relegare la funzione di “superamento della barriera architettonica” a espedienti costruttivi o impiantistici che tendono ad “ospedalizzare” l’edificio, discriminando le diverse tipologie di utenti.

Facile da capire è che una rampa ben progettata è fruibile sia da persona con normale mobilità che da persona disabile mentre una scala corredata di montascale laterale risulta scomoda per il disabile, costosa in termini impiantistici e non soddisfacente dal punto di vista estetico.

caption: passerelle pedonali nei Mercati Traianei dello studio Nemesi, Roma.

Alcuni esempi di buona progettazione in tal senso possono essere riscontrati nel “Padiglione Infanzia”, progettato a Milano dallo studio spagnolo Esaù Costa Perez (2014) o nel sagrato della chiesa della Parrocchia della Madonna di Fatima a Torino dell’architetto Andrea Bella.

Per quanto riguarda i luoghi storici e di interesse monumentale esistono validi esempi di progettazione come le passerelle pedonali progettate ai Mercati Traianei a Roma tra il 1999 e il 2001 dallo studio Nemesi o l’organizzazione dei percorsi museali presso il duomo di Aquileia.

Non una sola disabilità

La buona progettazione e la corretta messa in opera deve inoltre tenere in considerazione tutte le disabilità, o almeno il maggior numero possibile. Comunemente infatti siamo abituati a pensare solo alla disabilità motoria di chi non può percorrere le scale e ai relativi presidi che risolvono il problema.

Le disabilità però sono molte e diverse: per esempio la disabilità uditiva o visiva, non necessariamente si parla di cecità completa, può rendere difficoltosa la fruizione di luoghi pubblici invece agevoli per il disabile motorio. Si pensi per esempio a luoghi con scarsa illuminazione, con percorsi poco segnalati o con sporgenze o dislivelli non evidenti dal punto di vista visivo.

Anche nei musei o in particolari esposizioni spesso si ricreano, per creare effetti suggestivi, locali bui o con proiezioni video o specchi talvolta disorientanti già per un utenza visivamente normodotata.

caption: Padiglione Italia a Expo 2015, Milano.

caption: ponte su un canale di Venezia.

Una progettazione che tenga conto di tutto ciò è quindi da auspicare per ogni nuova costruzione, specialmente pubblica o di fruizione collettiva. 

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