The River: la copertura sinuosa è il simbolo del progetto

Un tempo fattoria, poi allevamento equestre, Grace Farms a New Canaan nel Connecticut è oggi un vero e proprio habitat naturale di 80 acri con grandi prati aperti, numerose piante ed alberature, boschi, zone umide, stagni ed oltre 16 diverse specie di anfibi e rettili. All’interno della riserva naturale sorge The River di SANAA, un luogo di servizi pubblici, in cui la natura, l’arte e la comunità possono ritrovarsi e dar vita ad esperienze creative e rilassanti, che possono essere una semplice sosta alla caffetteria o un corso di arte per famiglie, così come una serie di eventi e di attività culturali a contatto con la natura.

UN PARCO GIOCHI SUL TETTO DELLA BIBLIOTECA

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The River: l’edificio di Sanaa

All’interno di questo polmone verde si trova il The River, progettato dallo studio giapponese SANAA, un edificio minimalista, leggero, che ben si integra nel paesaggio fondendosi con l’orografia del territorio ed insinuandosi come un fiume all’interno dell’area naturale (non casuale la scelta del nome: river, in inglese, vuol dire fiume).

L’edificio, dalle forme sinuose, ricorda un altro progetto di Seijima e Nishizawa ovvero il Serpentine Pavilion di Londra.  È caratterizzato da un design minimalista tipicamente giapponese, dai colori neutri e chiari come il bianco o il legno di rovere che riveste pavimenti ed arredi, si compone principalmente di pochi materiali: vetro, cemento, acciaio e legno, che si plasmano insieme generando uno spazio fluido ed accogliente.

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La copertura è il vero segno forte dell’intervento, con le sue curve richiama l’andamento di un fiume che scorre all’interno del parco seguendo il pendio e diventando un collegamento tra le diverse aree ed attività al coperto e le zone all’aperto. Diventa perciò un elemento continuo, fluido, ma sotto di essa si alternano passaggi coperti, che fungono quindi da filtro tra le aree a verde, e le diverse funzioni ospitate dal The river: un anfiteatro di circa 2000mq, uno spazio per la discussione e gli uffici della fondazione, spazi comuni come bar, ristorante, una sala conferenze interrata, una biblioteca, una palestra ed un padiglione polivalente per le attività multidisciplinari.  L’elemento centrale del progetto è dunque la copertura composta prevalentemente in legno, con travi lamellari di 30 metri che poggiano su pilastri di acciaio di circa 13 cm di diametro, in contrapposizione vi sono le chiusure verticali totalmente trasparenti e realizzate con grandi lastre di vetro curvo.

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Così mentre la copertura, che segna il territorio, sembra galleggiare ed essere sospesa per aria, il resto dell’edificio scompare sotto di essa, lasciando libera la visuale da una parta all’altra del parco e tra un’attività e l’altra. Non interrompe la continuità, bensì la favorisce e permette una perfetta connessione tra le aree a verde e le aree attrezzate.  La natura avvolge perciò gli spazi, ed è visibile da tutte le stanze, è un aspetto importante che ben rispecchia l’anima della vita a Grace Farms: un luogo di contatto con la natura e tra le persone della comunità, in cui è possibile giocare, fare sport o attività ricreative e coltivare gli orti comuni.

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Certificazione LEED ed accorgimenti bioclimatici

L’edificio vanta inoltre alcuni accorgimenti bioclimatici per il risparmio energetico che gli varrà la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Oltre al sistema geotermico integrato composto da oltre 55 pozzi geotermici a 150 metri di profondità, l’intero edificio è progettato secondo criteri ecosostenibili per il minor consumo di energia e il riuso delle acque piovane. Il progetto del verde e del paesaggio è nato dalla collaborazione tra SANAA e lo studio OLIN che da sempre si occupa di architettura del paesaggio.

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Architettura per non vedenti: le tecnologie che aiutano l’accessibilità

Quando si parla di “accessibilità” nell’architettura è inevitabile pensare a un lavabo o un wc dalla forma particolare, un paio di maniglioni disposti qua e là e una serie di rampe dalla pendenza che non si sa bene se una carrozzina sarà in grado di superare. La progettazione accessibile, in realtà, copre un ventaglio di argomenti, di tematiche e di interventi molto più ampio di quelli previsti dalla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche. E, soprattutto, un edificio non è accessibile o inaccessibile solo per chi si sposta in carrozzina. 

ACCESSIBILITÀ: progettare per tutti

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La disabilità è un concetto che, nella nostra mente, è abbastanza distorto, in quanto viene spesso associato a un gruppo di persone con capacità motorie ridotte o assenti. In realtà il “disabile” è anche il sordo, il cieco, l’anziano, l’intollerante, l’allergico. Si dovrebbe intendere, per disabile, qualsiasi persona che presenta particolari esigenze relativamente alla fruizione dello spazio che lo circonda.

Cecità ed architettura: il ruolo dei facilitatori

La cecità è un disturbo visivo che, al giorno d’oggi, colpisce un numero sempre maggiore di persone, complice il continuo utilizzo di computer e telefonini i cui schermi possono causare gravi problemi alla vista.

Esistono diversi stadi di cecità, da quella totale a quella parziale, oltre alle numerose patologie legate a questo senso, come l’ipovisione o il daltonismo. In tutti i casi è opportuno che l’architettura sia abbinata alla presenza di facilitatori, dispositivi che aiutano queste persone a muoversi liberamente e a svolgere le attività a cui si dedicherebbe chiunque.

È molto importante, per i disabili, che l’architetto riesca a celare il tentativo di rendere agevole l’uso di quell’ambiente, effettuando delle scelte di tipo inclusivo. Il cieco riuscirà a muoversi tranquillamente all’interno di uno spazio complesso, soprattutto se accompagnato, ma la domanda che bisogna porsi è: riuscirebbe a fare lo stesso se fosse da solo? E la risposta deve essere sì.

Esistono, infatti, dei facilitatori che, opportunamente collocati all’interno dell’edificio che si vuole rendere accessibile per i non vedenti, aiutano il visitatore nell’orientamento e nei movimenti e contribuiscono ad accrescere il valore estetico dello stesso.

Si tratta principalmente di dispositivi che stimolano l’utilizzo dei sensi diversi dalla vista, come avviene quando si installa un percorso olfattivo, con il quale il non vedente viene guidato dagli aromi percepiti dal suo olfatto, oppure quando si opta per le più tradizionali mappe tattilo-visive, utili all’orientamento e alla percezione dello spazio circostante.

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I consigli dell’architetto non vedente Chris Downey

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Sono stati molti, negli ultimi tempi, gli architetti che hanno dimostrato sensibilità e interesse nei confronti dei non vedenti, impegnandosi concretamente in azioni volte ad incontrare le esigenze di queste persone. Nella lista spicca il nome di Chris Downey, un architetto di San Francisco che ha perso la vista ormai da sette anni e si impegna quotidianamente nella ricerca di nuove tecnologie utili ad assistere non vedenti e ipovedenti durante le sfide che il mondo pone loro davanti ogni giorno.

Recentemente Downey ha rilasciato un’intervista a Dwell Magazine, svelando alcuni esperimenti in atto a San Francisco per contribuire al superamento delle così discusse “barriere architettoniche”. Secondo Downey l’intervento deve essere graduale, poco rivoluzionario e in grado di porre l’accento su quanto c’è di buono nelle tecniche attualmente utilizzate. Non occorre, seconto l’architetto americano, spendere denaro nella realizzazione di tecnologie particolarmente sofisticate, ma piuttosto capire cosa c’è di valido in quelle attuali, individuarne le potenzialità e capitalizzarle. Basterà aggiungere delle funzioni nuove e più specializzate per trasformare un banale facilitatore per non vedenti in un oggetto di supporto multifunzionale. 

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Tatto e udito: i nuovi occhi di chi gli occhi non può usarli

Gli strumenti tanto pubblicizzati da Chris Downey potrebbero supportare anche l’attività dei suoi colleghi architetti che, proprio come lui, hanno perso l’uso della vista ma continuano a svolgere con tenacia e con difficoltà questo lavoro. Usando degli sketchpads digitali, infatti, le dita potrebbero svolgere la funzione degli occhi. È il principio che è già alla base delle mappe tattili, sulle quali il disegno in rilievo permette a chi le tocca di capire cosa è rappresentato. La differenza è che gli sketchpads consentono di disegnare su una tavoletta e di toccare la linea appena tracciata, che viene restituita con un leggero rilievo. Una volta terminato, il disegno può essere facilmente trasferito su un computer tramite una chiavetta USB.

Anche l’udito, per chi non ha la vista, riveste un ruolo fondamentale nella percezione dello spazio e degli oggetti che lo caratterizzano. Downey e la sua squadra stanno tentando di mettere a punto una tecnica di modellazione acustica da applicare al settore del design. Uno studio degli ingegneri di Arup ha dimostrato, inoltre, che il suono è particolarmente utile per non vedenti e ipovedenti per avere una più precisa percezione dello spazio che li circonda e degli oggetti che lo caratterizzano.

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Progettazione architettonica multisensoriale

L’intento che deve guidare gli architetti nella realizzazione di edifici fruibili da parte di non vedenti e ipovedenti è quello di integrare architettura esistente e dispositivi di ausilio, optando per scelte in grado di stimolare tutti i sensi. La progettazione, secondo Downey, deve essere multisensoriale, proprio come i facilitatori utilizzati. Non basta affidarsi solo alla tecnologia, ma occorre entrare in confidenza con una vera e propria filosofia secondo la quale una progettazione a 360° deve tener conto del fatto che, a visitare quell’edificio, saranno anche persone per le quali muoversi all’interno dello spazio non è proprio quella che solitamente si definisce “una passeggiata”.

I risultati potrebbero avere più effetti benefici di quanti se ne possano immaginare, anche sui professionisti stessi.

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Architettura per non vedenti: le tecnologie che aiutano l’accessibilità

Quando si parla di “accessibilità” nell’architettura è inevitabile pensare a un lavabo o un wc dalla forma particolare, un paio di maniglioni disposti qua e là e una serie di rampe dalla pendenza che non si sa bene se una carrozzina sarà in grado di superare. La progettazione accessibile, in realtà, copre un ventaglio di argomenti, di tematiche e di interventi molto più ampio di quelli previsti dalla normativa per l’abbattimento delle barriere architettoniche. E, soprattutto, un edificio non è accessibile o inaccessibile solo per chi si sposta in carrozzina. 

ACCESSIBILITÀ: progettare per tutti

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La disabilità è un concetto che, nella nostra mente, è abbastanza distorto, in quanto viene spesso associato a un gruppo di persone con capacità motorie ridotte o assenti. In realtà il “disabile” è anche il sordo, il cieco, l’anziano, l’intollerante, l’allergico. Si dovrebbe intendere, per disabile, qualsiasi persona che presenta particolari esigenze relativamente alla fruizione dello spazio che lo circonda.

Cecità ed architettura: il ruolo dei facilitatori

La cecità è un disturbo visivo che, al giorno d’oggi, colpisce un numero sempre maggiore di persone, complice il continuo utilizzo di computer e telefonini i cui schermi possono causare gravi problemi alla vista.

Esistono diversi stadi di cecità, da quella totale a quella parziale, oltre alle numerose patologie legate a questo senso, come l’ipovisione o il daltonismo. In tutti i casi è opportuno che l’architettura sia abbinata alla presenza di facilitatori, dispositivi che aiutano queste persone a muoversi liberamente e a svolgere le attività a cui si dedicherebbe chiunque.

È molto importante, per i disabili, che l’architetto riesca a celare il tentativo di rendere agevole l’uso di quell’ambiente, effettuando delle scelte di tipo inclusivo. Il cieco riuscirà a muoversi tranquillamente all’interno di uno spazio complesso, soprattutto se accompagnato, ma la domanda che bisogna porsi è: riuscirebbe a fare lo stesso se fosse da solo? E la risposta deve essere sì.

Esistono, infatti, dei facilitatori che, opportunamente collocati all’interno dell’edificio che si vuole rendere accessibile per i non vedenti, aiutano il visitatore nell’orientamento e nei movimenti e contribuiscono ad accrescere il valore estetico dello stesso.

Si tratta principalmente di dispositivi che stimolano l’utilizzo dei sensi diversi dalla vista, come avviene quando si installa un percorso olfattivo, con il quale il non vedente viene guidato dagli aromi percepiti dal suo olfatto, oppure quando si opta per le più tradizionali mappe tattilo-visive, utili all’orientamento e alla percezione dello spazio circostante.

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I consigli dell’architetto non vedente Chris Downey

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Sono stati molti, negli ultimi tempi, gli architetti che hanno dimostrato sensibilità e interesse nei confronti dei non vedenti, impegnandosi concretamente in azioni volte ad incontrare le esigenze di queste persone. Nella lista spicca il nome di Chris Downey, un architetto di San Francisco che ha perso la vista ormai da sette anni e si impegna quotidianamente nella ricerca di nuove tecnologie utili ad assistere non vedenti e ipovedenti durante le sfide che il mondo pone loro davanti ogni giorno.

Recentemente Downey ha rilasciato un’intervista a Dwell Magazine, svelando alcuni esperimenti in atto a San Francisco per contribuire al superamento delle così discusse “barriere architettoniche”. Secondo Downey l’intervento deve essere graduale, poco rivoluzionario e in grado di porre l’accento su quanto c’è di buono nelle tecniche attualmente utilizzate. Non occorre, seconto l’architetto americano, spendere denaro nella realizzazione di tecnologie particolarmente sofisticate, ma piuttosto capire cosa c’è di valido in quelle attuali, individuarne le potenzialità e capitalizzarle. Basterà aggiungere delle funzioni nuove e più specializzate per trasformare un banale facilitatore per non vedenti in un oggetto di supporto multifunzionale. 

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Tatto e udito: i nuovi occhi di chi gli occhi non può usarli

Gli strumenti tanto pubblicizzati da Chris Downey potrebbero supportare anche l’attività dei suoi colleghi architetti che, proprio come lui, hanno perso l’uso della vista ma continuano a svolgere con tenacia e con difficoltà questo lavoro. Usando degli sketchpads digitali, infatti, le dita potrebbero svolgere la funzione degli occhi. È il principio che è già alla base delle mappe tattili, sulle quali il disegno in rilievo permette a chi le tocca di capire cosa è rappresentato. La differenza è che gli sketchpads consentono di disegnare su una tavoletta e di toccare la linea appena tracciata, che viene restituita con un leggero rilievo. Una volta terminato, il disegno può essere facilmente trasferito su un computer tramite una chiavetta USB.

Anche l’udito, per chi non ha la vista, riveste un ruolo fondamentale nella percezione dello spazio e degli oggetti che lo caratterizzano. Downey e la sua squadra stanno tentando di mettere a punto una tecnica di modellazione acustica da applicare al settore del design. Uno studio degli ingegneri di Arup ha dimostrato, inoltre, che il suono è particolarmente utile per non vedenti e ipovedenti per avere una più precisa percezione dello spazio che li circonda e degli oggetti che lo caratterizzano.

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Progettazione architettonica multisensoriale

L’intento che deve guidare gli architetti nella realizzazione di edifici fruibili da parte di non vedenti e ipovedenti è quello di integrare architettura esistente e dispositivi di ausilio, optando per scelte in grado di stimolare tutti i sensi. La progettazione, secondo Downey, deve essere multisensoriale, proprio come i facilitatori utilizzati. Non basta affidarsi solo alla tecnologia, ma occorre entrare in confidenza con una vera e propria filosofia secondo la quale una progettazione a 360° deve tener conto del fatto che, a visitare quell’edificio, saranno anche persone per le quali muoversi all’interno dello spazio non è proprio quella che solitamente si definisce “una passeggiata”.

I risultati potrebbero avere più effetti benefici di quanti se ne possano immaginare, anche sui professionisti stessi.

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Guerra del ’15-’18, iniziative per la tutela della memoria collettiva

Ricordiamo che dallo scorso maggio, con l’osservanza di un minuto di silenzio, l’Italia ha inaugurato una serie di eventi commemorativi del I centenario della Grande Guerra, che si celebreranno, da nord a sud e da est ad ovest, fino al 2018. Vediamo il quadro dei finanziamenti e alcune significative iniziative per conservare la memoria collettiva con particolare riguardo per le future generazioni.

SECONDA GUERRA MONDIALE: IL RECUPERO DI UN RIFUGIO ALPINO DISTRUTTO

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“Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro” (cit. Luis Sepulveda). Gli architetti, come gli storici, dovrebbero sentirsi investiti dell’onore e onere, di tramandare il patrimonio monumentale per testimoniare il fallimento della politica basata su “un’economia a mano armata”, responsabile della distruzione irrimediabile della biodiversità umana, ovvero di preziosi saperi popolari (quelli più vulnerabili, poiché verbali), ma soprattutto la principale causa di traumi psicofisici irreversibili, spesso ereditati inconsapevolmente dai discendenti delle vittime.

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A causa della prima guerra mondiale, il nostro popolo (suddito del re Vittorio Emanuele III di Savoia) pagò -dopo quello francese e tedesco- uno dei più alti tributi: circa il 3,48% perse la vita, di cui 651.000 militari e ben 589.000 civili (Philip J. Haythornthwaite, The World War One Source Book, Arms and Armour, 1993).

I padri fondatori della nostra Repubblica, quando scrissero l’art. 11 della Costituzione (in vigore il 1º gennaio 1948), si resero ben conto delle nefaste conseguenze dei conflitti bellici: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

Ben lungi, dunque, dai principi pacifici fondanti il nostro Stato, i Governi dall’11 settembre del 2001 hanno incrementato la spesa pubblica per potenziare gli armamenti. Nel 2012 il Nostro ha investito complessivamente 23 miliardi di Euro, e grazie all’appoggio finanziario di numerosi istituti di credito –anche nostrani- continua ad autorizzare le esportazioni di armi anche in aree calde per un totale di 6,6 miliardi di Euro. Inoltre, analizzando il Libro bianco sulle spese militari del 2012 (di Sbilanciamoci), emerge un paradosso inaccettabile per la gente di buon senso: mentre le sofferenze sociali per la crisi economica -acuitasi dal 2008- stanno ancora crescendo in modo esponenziale, i generali del nostro Paese si dilettano in “giochi di guerra” per una difesa “preventiva” fuori dei confini nazionali. Quelle stesse risorse potrebbero, invece, essere investite ad esempio in opere pubbliche di restauro e conservazione della memoria collettiva, rilanciando così il settore delle costruzioni da anni agonizzante e magari nel contempo anche il turismo culturale.      

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In altre parole, noi cittadini dobbiamo sostenere azioni militari che niente hanno a che vedere con il criterio di “difesa sufficiente” e soprattutto coerente, non solo con il menzionato art. 11 della Costituzione, ma nemmeno con l’art. 52 (ruolo nazionale e democratico delle forze armate).
Invece di “svuotare gli arsenali e riempire i granai”, in un silenzio assordante da parte della stampa, il nostro Governo preferisce salvaguardare gli interessi e i privilegi della casta militare, e ridurre linearmente i fondi per il servizio civile del 77%, togliendo così alla collettività preziose risorse umane, spendibili nei servizi sociali, nell’auspicabile conversione ecologica e in definitiva in disarmo.

LE INIZIATIVE A TUTELA DELLA MEMORIA COLLETTIVA

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Per la commemorazione del Centenario della prima guerra Mondiale il Governo si è prefisso di armonizzare le attività promosse dai diversi enti, pubblici e privati, coinvolti, coordinando, o avviando iniziative aventi i seguenti obiettivi generali:

  • ricordare la Grande Guerra, l’eroismo e il sacrificio dei soldati e della cittadinanza, e tutte le vicende – politiche, culturali, civili – ad essa legate come episodio di fondamentale importanza nel processo di costruzione dell’identità europea, della nostra storia nazionale e di coesione tra gli italiani di ogni regione;
  • promuovere il recupero di storie e luoghi della memoria, spesso dimenticati o trascurati, valorizzandone quelli già inseriti in circuiti museali, o turistici, e potenziandone la conoscenza;
  • rendere immediatamente riconoscibili per i cittadini tutte le iniziative legate alle Commemorazioni.

I comitati Interministeriale per il Centenario della prima guerra mondiale e Storico-scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, con il supporto progettuale e operativo della Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, sono gli enti deputati alla definizione degli obiettivi, all’individuazione delle iniziative e alla loro pianificazione nel quadriennio 15-18.

Il web dei monumenti  e il programma degli eventi commemorativi

Con il fine di rendere consultabile, in forma unitaria, il patrimonio censito dall’Istituto Centrale per il Catalogo, in collaborazione con le soprintendenze territoriali, è stato creato un apposito portale. Nella sezione ‘’Documenti e immagini della Grande Guerra’’ sono già visualizzabili le prime 6.000 schede illustrative relative ai principali monumenti ai caduti.

caption: Il monumento al Milite Ignoto, P.zza Venezia a Roma

Tra gli eventi passati menzioniamo la proiezione del film-documentario “Fango e Gloria”, promossa dalla RAI, nel quale viene ricostruita la storia del Milite Ignoto, i cui Resti mortali sono tutt’oggi tumulati nel complesso monumentale del Vittoriano a Roma. Rimandiamo alla consultazione della sezione “il programma delle regioni” nel sito per visualizzare la programmazione dei futuri eventi commemorativi.

IL QUADRO DEI FINANZIAMENTI PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO

Il piano degli interventi infrastrutturali e dei riallestimenti museali, per commemorare il centenario della Grande Guerra, venne inaugurato con la Legge 7 marzo 2001, n. 78 “Tutela del patrimonio storico della Prima guerra mondiale”, pare sulla base di una profonda ricognizione delle iniziative programmate da enti pubblici e privati -sia a livello nazionale che extra nazionale- con l’obiettivo ambiziosissimo di realizzare un “Memoriale diffuso” attraverso le seguenti azioni:

  • il recupero dei luoghi che conservano la memoria del primo conflitto mondiale: sacrari, forti, trincee, camminamenti, etc.;
  • la valorizzazione di quelli già inseriti in circuiti museali e turistici attraverso il coinvolgimento delle comunità locali;
  • la creazione di una rete nazionale, per favorire uno sviluppo culturale, didattico e turistico sostenibile, rivolto anche a visitatori non italiani.

Il MiBACT, in accordo con il ministero della Difesa selezionò i seguenti nove interventi di restauro conservativo:

  • Sacrari in Italia: Redipuglia, Cima del Grappa, Asiago, Montello, Caduti d’Oltremare, Oslavia;
  • Cimiteri militari all’estero: Bligny in Francia, Mauthausen in Austria, Caporetto in Slovenia.

Con la menzionata legge dovevano essere finanziate anche le più avanzate tecnologie multimediali per i musei esistenti, già oggetto del restauro conservativo. Le coperture finanziare, incluse le autorizzazioni a contrarre mutui con onere a carico del bilancio dello Stato, erano state assegnate dal Ministero in questione, prioritariamente, ai progetti relativi alle zone di guerra più direttamente interessate dagli eventi bellici del 1916-18 (sugli altopiani vicentini). Durante i quindici anni precedenti al Centenario, dunque, potevano essere spesi complessivamente circa 13,25 milioni di euro, cifra all’epoca espressa in Lire rivalutata oggi in base al tasso medio annuo dell’1,5% secondo l’ISTAT.        

Il Governo Berlusconi, con il D.Lgs 15 marzo 2010, n. 66 Codice dell’ordinamento militare, in vigore dal 9/10/2010, abrogava una serie di leggi tra cui anche la menzionata 78/2001, che fino al 2004 aveva erogato complessivamente 548.098 Euro. Ecco i beneficiari in ordine decrescente dell’ammontare del finanziamento ottenuto: Veneto (273.739€), Stato Maggiore dell’Esercito (75.000€), Emilia Romagna (43.000), Lazio (36.151€), Piemonte-Valle D’Aosta e Campania (50.000€), Toscana (18.000€), Liguria (8.000€) e Lombardia (4.118€).

Nel 2014, dopo una pausa di un decennio, con la “Legge di Stabilità” (art. 1 com. 309) il Governo Renzi riformula lo stanziamento per iniziative celebrative del primo Centenario e istituisce un fondo presso la Presidenza dei ministri pari a 3 milioni di Euro per il biennio 2015-16. Le destinatarie della menzionata sovvenzione sono le iniziative culturali commemorative, sia pubbliche che private, collocate entro due grandi aree: restauro e ripristino dei monumenti e iniziative di carattere culturale, a loro volta divise in due sezioni in base al tipo di proponente; le prime sono promosse dal Comitato del MiBACT (mostre, convegni, pubblicazioni, attività con le scuole) e le seconde sono proposte al Comitato del MiBACT da enti terzi (tra i beneficiari annoveriamo l’Accademia di Brera e il CONI).

Attualmente le fonti finanziarie disponibili per il settore dei beni culturali e paesaggistici sono di varia natura: possono essere stanziamenti statali, o regionali (relazionati con i fondi comunitari) ed hanno differenti beneficiari: organismi del MiBACT, Enti Locali e Istituti privati. Al MiBACT è attribuita una quota degli utili derivanti dal gioco dell’estrazione del Lotto, pari ad un importo annuo di circa 155 milioni di euro. Tali fondi sono assegnati in base ad un programma triennale e sono destinati al recupero ed alla conservazione di beni architettonici e paesaggistici, archeologici, artistici e storici, archivistici e librari.

Nelle Regioni a Statuto speciale (a cui è affidata, per legge, la diretta gestione dei Beni Culturali) tali risorse finanziarie vengono integrate da fondi stanziati dalle Leggi Finanziarie. In aggiunta, esiste un programma di sostegno economico per la tutela della memoria collettiva da parte della UE, si tratta di fondi strutturali destinati all’attuazione di interventi specifici, rispondenti a determinati requisiti. Tali fondi, detti anche indiretti, sono organizzati e distribuiti attraverso i Documenti di Programmazione Regionale. I beneficiari di tali risorse sono gli enti locali territoriali (in primis i Comuni e i loro Consorzi) e loro associazioni (anche con soggetti privati) le cui iniziative vengono programmate in modo da attivare il cofinanziamento, appunto, dei fondi strutturali comunitari.
Per quanto riguarda le Regioni OB1, il finanziamento è regolato dall’Asse III-Risorse Culturali, mentre per le Regioni OB2 si hanno indicazioni legate soprattutto ai Sistemi Locali di Sviluppo.

I MONUMENTI COMMEMORATIVI AI COMBATTENTI CADUTI

caption: Foto del monumento ai caduti a Dese Di Favaro Veneto

In molte cittadine italiane, paesi d’origine dei combattenti, troviamo almeno un monumento dedicato alla memoria del loro immane sacrificio, del tutto simili a quello in cui è ricordato il bisnonno dell’autrice (Luigi Scapin) nel paese di origine, Dese di Favaro Veneto. 

Questo è l’esempio tipico dell’usanza di menzionare assieme, e indistintamente, i caduti della prima e della seconda Guerra Mondiale. A distanza di anni tale pratica rende difficile -se non impossibile- la ricostruzione della storia di ogni singolo defunto. Inoltre, il monumento rappresenta un raro esempio di raffigurazione dei ritratti al lato dei nomi dei soldati defunti, realizzati su ceramica. Alcuni ritratti purtroppo sono scomparsi, probabilmente andati distrutti.

Secondo la scheda redatta a dicembre del 2013 dalla Soprintendenza di Venezia, il menzionato monumento è datato tra gli anni ‘20 e ‘40 del XX secolo, e già non si trovava in buon stato: era ricoperto da una patina grigia, fessurato diffusamente e rimaneggiato in modo non professionale. Secondo gli addetti ai lavori (restauratori specializzati in opere d’arte) è pratica assai diffusa la manomissione dei monumenti vincolati dalla Soprintendenza, per capitolati di restauro sotto la soglia dei 40.000 Euro (per i quali non è richiesta la categoria SOA OS 2A). Pertanto gli interventi sfuggono al controllo burocratico da parte delle autorità competenti in materia di tutela del patrimonio storico, e dunque vengono realizzati con la compiacenza dei responsabili degli uffici tecnici comunali che si fingono “ciechi-sordomuti”. Visti i tempi biblici di risposta, per il rilascio del nulla osta, da parte delle Soprintendenze (secondo una recente circolare del MiBACT purtroppo è ammessa la risposta anche oltre i termini di legge di 90 giorni) possiamo, dunque, supporre sia la più probabile giustificazione per un lavoro inadeguato e quindi abusivo, ma in ogni caso è inaccettabile perché spesso realizzato secondo metodi non professionali, i quali causano danni irreversibili, o almeno determinano costi aggiuntivi all’importo complessivo per interventi di ripristino, o demolizione dei falsi storici. In questo caso la Soprintendenza consiglia di denunciare l’illecito contro ignoti ai Carabinieri o alla Procura di competenza.

RINGRAZIAMENTI

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Grazie all’associazione Cime e Trincee, e in particolare al contributo del presidente Daniele Girardini, l’autrice è riuscita a recuperare informazioni preziose a distanza di 99 anni dalla morte del proprio caro bisnonno materno (creduto disperso in guerra): alla brigata di appartenenza (Reggimento Fanteria della brigata Ivrea) durante il servizio militare, all’ultima posizione in vita (ospedale militare di Lugo di Romagna), le cause della sua morte (morbo contratto per ingerimento di acqua contaminata) e, in fine con grande emozione, alla localizzazione dei Resti mortali in un luogo molto lontano dalle sue origini (cimitero monumentale di Lugo di Romagna). L’autrice, raccontando la propria esperienza di ricerca, spera di incoraggiare altri studiosi a ricostruire gli ultimi giorni di vita dei propri cari ritenuti erroneamente dispersi. Infatti, senza determinazione, la ricerca storica avrebbe potuto abortire al primo scoraggiamento: l’assenza del nominativo del milite nell’Albo d’oro dei combattenti .

Probabilmente solo pochi sanno che esiste un altro albo cartaceo, oltre a quello più recente on-line e che evidentemente non è completo. Ciascun combattente è dunque registrato con le proprie generalità, i nomi dei genitori, data e luogo di nascita ed eventualmente anche della morte nel caso in cui fosse avvenuto il riconoscimento dei Resti, poiché spesso difficilissimo da farsi. Infatti, all’epoca, ciascun soldato veniva identificato mediante un foglio di carta pieghevole custodito, in modo rudimentale, in un cofanetto metallico portato al collo. Per la sua natura vulnerabile, tale documento spesso poteva venire facilmente compromesso durante i combattimenti e quindi la sua lettura divenire impossibile o andare perso.

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Inoltre, l’autrice ringrazia sentitamente anche la responsabile del cimitero di Lugo di Romagna, Graziella Baldrati  e il direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, il dr. Raffaele Santoro. La prima per la sollecitudine nel verificare con estrema accuratezza la collocazione attuale dei Resti mortali del proprio bisnonno e il secondo per il sollecito e meticoloso contributo proferito nella ricerca anagrafica, nonostante le copiose domande di ricerca di documentazione militare, dovute alla ricorrenza del Centenario della Grande Guerra e a quelle per il riconoscimento della cittadinanza italiana ai discendenti di nostri connazionali emigrati.

I Resti del bisnonno assieme a quelli di altri combattenti caduti sono tumulati in una nicchia di una delle arcate del cimitero di Lugo, dietro una grande lapide marmorea, piuttosto anonima, seppur ben conservata dal 1930 come si evince da una foto scattata recentemente. L’omissione dei nomi dei caduti può essere giustificata solo dal difficile contesto storico ed economico, che comunque non giustifica la mancanza di rispetto nei confronti, in primis, dei soldati e in seconda battuta dei discendenti che si vedono impossibilitati a ritrovare facilmente il luogo di sepoltura. 
Infine, la ricerca storica nel menzionato cimitero si è rivelata propizia poiché ha permesso di scoprire anche il sontuoso monumento che conserva i Resti dell’ “Asso degli assi” dell’aviazione militare italiana, il maggiore Francesco Baracca, situato a pochi metri di distanza.  

L’APPELLO AL MINISTERO

Per concludere, in nome dei discendenti dei combattenti, l’autrice indirizza al ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica il seguente appello: tutti i monumenti -indistintamente, dal più grande al più piccolo- devono in futuro godere di identiche politiche di tutela, affinché in alcun modo il dolore possa essere gerarchizzato in base ai gradi militari, o alla cause della morte. Pertanto chiede che i soldi pubblici vengano amministrati in modo equo e trasparente, con l’auspicio che, per tale scopo, possano essere creati nuovi posti di lavoro di elevata professionalità.

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I grattacieli di Zaha Hadid a Pechino

Tre “montagne intrecciate” dalle forme sinuose, morbide e fluide che ricordano tre elementi naturali, nel distretto di Wangjing a Pechino. Questa è l’interpretazione di colei che ormai è considerata la regina dell’architettura, sempre al centro dell’attenzione e vincitrice di numerosi premi per l’architettura sostenibile: Zaha Hadid.

Anche stavolta l’architetto iracheno è riuscita a trionfare ipnotizzando la giuria e aggiudicandosi il prestigioso premio “Emporis Skyscrapers Award 2014” con il suo progetto Wangjing SOHO, diventato ormai un punto di riferimento nel contesto urbano della città cinese.

CITY LIFE: IL QUARTIERE DI MILANO A ZERO EMISSIONI FIRMATO DALLE ARCHISTAR

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IL CONTESTO URBANO

Gli edifici multifunzionali di Zaha Hadid, completati ormai da un anno, sono alti rispettivamente 118, 127 e 200 metri, immersi in un grande parco pubblico di 60 mila metri quadrati che attira a sé la comunità locale. La fusione di verde e architettura caratterizza l’ambiente rendendolo armonioso e affascinante.

Tutto il complesso è situato a nord-est di Pechino, a circa dieci km dal centro, in un quartiere sorto a metà degli anni novanta a destinazione residenziale, trasformatosi poi in un grande polo tecnologico, sede di numerose aziende e società internazionali e uno dei centri più famosi per le start-up della capitale. Per questo motivo, nel distretto di Wangjiing con il passare degli anni, è aumentata sempre più la domanda di spazi per uffici flessibili e diversificati: da quelli di dimensioni molto ridotte a quelli più ampi per i gruppi di fama internazionale.

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Le aree esterne

La composizione dei volumi dei grattacieli e il disegno delle forme sinuose, favoriscono l’ingresso di luce naturale da ogni punto degli edifici, la cui visione cambia secondo l’angolo da cui si osservano; da certi punti le torri appaiono come unico insieme architettonico, da altri come corpi individuali. La scelta di realizzare tre torri a discapito di un unico volume su un’area di 560 mila mq totali, è stata sicuramente una scelta intelligente che ha permesso di alleggerire la massa architettonica all’interno del sito a forma di ventaglio, dando un carattere identitario al contesto locale in continua crescita.

Il particolare studio delle aree esterne stimola i dipendenti degli uffici e degli spazi commerciali a recarsi al lavoro in bicicletta o con un’auto elettrica. Sono infatti presenti numerosi parcheggi e colonnine per la ricarica, oltre a docce e spogliatoi per rinfrescarsi dopo la pedalata.

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LE CARATTERISTICHE SOSTENIBILI

Su ogni piano sono presenti serramenti apribili con sistemi in vetrocamera basso-emissivi per favorire la ventilazione naturale, quando necessario. Sulle facciate, fasce orizzontali aggettanti in alluminio proteggono dal soleggiamento mentre lo strato esterno isolante riduce il fabbisogno energetico per riscaldare e raffrescare gli ambienti. In un contesto climatico estremo come quello di Pechino (e in questi giorni le immagini che arrivano dai media sono molto eloquenti), per questo progetto sono stati studiati appositi sistemi per abbattere le emissioni, limitare l’uso di acqua potabile con dispositivi di riutilizzo e riciclo dell’acqua, ridurre i consumi energetici con sensori di controllo, impianti per l’erogazione di corrente a bassa intensità e recupero di calore dall’aria esausta. Sono stati inoltre installati refrigeratori, ventilatori, boiler e pompe ad alta efficienza facendo registrare in un anno la riduzione del 12,8% dei consumi energetici e un risparmio idrico del 42%.

Per gli interni la preferenza è andata su materiali a basso contenuto di composti organici volatili, eliminando così le fonti d’inquinamento negli ambienti con l’uso di filtri ad alta efficienza e permettendo un aumento di aria fresca per persona di circa il 30%.

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Il secondo gradino del podio dell’“Emporis Skyscrapers Award 2014” è andato all’architetto italiano Stefano Boeri con il suo Bosco Verticale realizzato a Milano, un progetto intenzionato a riportare verde e biodiversità in un contesto fortemente urbanizzato e povero di spazi verdi.

Al terzo posto il progetto per il grattacielo francese Tour D2 realizzato dall’Agence d’Architecture Anthony Béchu.

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Guida all’acquisto del regalo di Natale per un architetto + 10 idee

Devi fare un regalo di Natale ad un amico architetto o alla fidanzata che ha appena ricevuto un incarico come direttore dei lavori? Niente panico.

Gli architetti sembrano esseri difficili, a volte snob, spesso si credono artisti incompresi, ma fare loro un regalo non è cosa impossibile. L’importante è evitare questi 4 errori da principiante e seguire questi (ironici) consigli:

  1. Evita fronzoli, merletti, decorazioni. Orientati piuttosto su un oggetto dalle linee pulite e semplice, senza fronzoli. L’essenzialità è una regola d’oro.
  2. Se sei indeciso tra un oggetto colorato o nero, non farti prendere dalla voglia di aggiungere un tocco di colore al guardaroba del tuo amico: potrebbe essere un grave errore. Ricordati che l’architetto per antonomasia si veste di nero dalla testa ai piedi.
  3. Pensa ad un regalo di Natale che lo faccia sentire un po’ più figo sul luogo di lavoro. Non potrai sbagliare.
  4. Non cadere nel tranello dell’elettronica: il tuo amico architetto avrà sicuramente il gadget più avanzato di quello che trovi sullo scaffale (anche virtuale) del tuo negozio di fiducia.
In copertina: Christmas gift box on white carpet in front of tree di Melpomene, via Shutterstock.

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Se questi consigli e suggerimenti sugli errori da evitare non sono sufficienti a fare accendere la lampadina e farti venire in mente un bel regalo di Natale per il tuo amico architetto, passiamo a qualche suggerimento pratico. Abbiamo infatti collezionato 10 idee per un regalo allo stesso tempo utile, semplice, professionale e in qualche modo legato al mondo dell’architettura. Crediamo che gli architetti potrebbero apprezzarli trovandoli sotto l’albero di Natale.

Regali professionali per un architetto

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Intramontabile, indispensabile, essenziale. Con un portamine non puoi sbagliare. Qualsiasi architetto che si rispetti ne possiede almeno uno, e si aggira spesso nei negozi specializzati in articoli per il disegno in attesa di aggiungerne qualcun altro alla propria collezione. Questo portamine della storica azienda italiana Kok-I-Noor è essenziale ed è prodotto da una realtà attiva nel mondo del disegno dal 1790.

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Oltre al portamine, c’è un altro oggetto che non può mancare ad un architetto. La Moleskine. Nera, ovviamente! Meglio se a pagine bianche.

Proteggere il proprio cellulare in cantiere è fondamentale. Polvere, sporco, urti e cadute potrebbero danneggiarlo. Una cover protettiva è fondamentale. Se utile anche a ribadire il proprio ruolo di architetto, ancora meglio. È disponibile per tantissimi modelli di cellulare.

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È chiaro che gli architetti tra tutti i colori prediligono il nero. Se proprio non deve essere nero, che sia bianco. Una sola eccezione: i Pantone. Questo brand ha finalmente portato un po’ di colore nella vita degli architetti, troppo impegnati a trascorrere le proprie nottate al pc per poter pensare a come abbinare i colori dei propri vestiti. Ebbene sì, se scegliete un oggetto della collezione di Pantone, può avere un colore. Se non volete arrendervi al nero Oltre alla cover per iPhone (che ho scelto di proporvi in giallo ma le opzioni sono tantissime) altre idee colorate sono una tazza pantone o una carinissima pallina Pantone per l’albero di Natale

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In alternativa, perfetto per chi ha recentemente inaugurato il proprio studio, un originale quadro raffigurante una citazione del famoso architetto Frank Lloyd Wright

Regali per il tempo libero di un architetto 

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Che ci creda o no, anche gli architetti hanno del tempo libero. Per lo più però lo trascorrono tentando di risolvere i crash di Autocad o leggendo libri di architettura. Per tentare di distrarli provate con un puzzle 3D. Di un edificio, ovviamente. Ce ne sono di diversi che raffigurano il Big Ben, la Torre Eiffel ed una versione completa del Colosseo. Per gli appassionati di calcio consigliamo il puzzle 3D dello stadio della Juventus, il Santiago Bernabeu o lo Stadio Olimpico di Roma.   

Gli intramontabili mattoncini Lego ora sono di moda anche tra i grandi. La serie Architecture è dedicata ad edifici famosi e ben noti a tutti gli architetti come Ville Savoye e la Sidney Opera House.

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Per convincere il tuo amico architetto ad uscire un po’ più spesso puoi provare a regalargli dei gemelli a forma di squadretta. Così non si allontanerà mai troppo dalla sua amata professione. 

In generale, se preferisci qualcosa di più serio, con una monografia di un architetto famoso o un libro di architettura vai sul sicuro. Ma abbiamo scovato qualcosa di più particolare, con cui crediamo possa fare centro. 

Ironico, il libro “Maledetti Architetti – dal Bauhaus a casa nostra” di Tom Wolfe analizza in modo divertente gli errori progettuali delle case moderne esaltando invece la semplicità e l’efficienza del Bauhaus e ridendo sugli architetti che rubano dal mondo della moda le parole per descrivere i propri progetti.

La recita dell’architetto – 1532 film e un videogioco”, è invece consigliato per gli amanti dell’architettura come del cinema. Questo libro infatti sottolinea lo stretto legame tra le due arti raccogliendo ben 1532 film in cui l’architetto è protagonista

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Il materiale più leggero del mondo: il Boeing Microlattice

Gli UMMs – Ultralight Metallic Microlattices (microreticoli metallici ultraleggeri) sono dei materiali artificiali strutturati in forma di schiuma metallica, con peculiari proprietà elettromagnetiche, le cui caratteristiche macroscopiche non dipendono esclusivamente dalla loro struttura molecolare ma anche dalla loro geometria realizzativa. Per diversi anni la Boeing, la più grande azienda statunitense costruttrice di aeromobili nonché la maggiore azienda del settore aerospaziale, in una joint venture con HRL Laboratories, società dell’avanguardia tecnologica che conduce numerose ricerche pionieristiche per soluzioni tecnologiche innovative, riconosciuta come leader nel campo delle scienze fisiche ed ingegneristiche, ha sviluppato Boeing Microlattice, un materiale innovativo estremamente leggero che possa essere usato nel prossimo futuro per alcune componenti degli aeroplani. 

SCHIUME ULTRALEGGERE E ISOLANTI DALLA NANOCELLULOSA

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La struttura del materiale più leggero al mondo

Nonostante sia un metallo e abbia una resistenza assimilabile a quella del titanio, il materiale è circa 100 volte più leggero del polistirene estruso-espanso (XPS) utilizzato per l’isolamento termico degli edifici. Il reticolo del Boeing Microlattice è composto per il 99,9% di aria e pertanto le sue proprietà dipendono dalla sua struttura piuttosto che dalla sua composizione chimica, analogamente per tutti i cosiddetti metamateriali. La densità del reticolo è pertanto di circa 0,9 milligrammi per centimetro cubo, caratteristica che ne fa il materiale più leggero del mondo, inferiore anche dell’aerogel, con densità pari a 1 mg per centimetro cubo.

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Il segreto dell’estrema leggerezza del Boeing Microlattice è nella struttura tridimensionale a celle aperte, composta da una fitta struttura periodica di nanotubi metallici cavi, ottenuta da una matrice polimerica. Le strutture tubolari hanno diametri di circa 100 μm, con spessori metallici di circa 500nm. Nel video di presentazione del materiale, Sophia Yang, scienziata ricercatrice che lavora per HRL Laboratories, assimila il polimero innovativo alla struttura ossea: esternamente molto rigida è anch’essa cava nella parte centrale risultando molto resistente ma allo stesso tempo leggera.

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Possibili applicazioni del Boeing Microlattice

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La Boeing sta ovviamente ricercando le possibili applicazioni del materiale nel campo aeronautico e spaziale: sostituendo alcune parti metalliche (pannelli laterali, cappelliere, pannelli di pavimentazione) con questo materiale, gli aerei sarebbero più leggeri e, considerando l’efficienza energetica, risparmierebbero una grande quantità di carburante, senza considerare che l’elasticità del materiale sarebbe senz’altro d’aiuto all’assorbimento termico e acustico in fase di volo. Essendo poi HRL Laboratories in parte di proprietà di GM – General Motors, è probabile che gli scienziati stiano anche valutando l’applicazione del Microlattice con vantaggi di leggerezza e consumi, assimilabili a quelli descritti per gli aeromobili, anche per alcune componenti delle automobili.

La sua facilità di trasporto e manipolazione renderebbe il materiale adatto anche per numerose applicazioni nel campo dell’architettura. Considerandone le caratteristiche fisiche, del tutto inconsuete per un metallo, corrispondenti principalmente ad una straordinaria leggerezza, ad una elevata comprimibilità e memoria di forma rispetto a intense compressioni del volume iniziale – quindi elevata capacità di assorbimento dell’energia meccanica –, se ne potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo come isolante termico oltre che come materiale per l’assorbimento e l’isolamento acustico. Assorbimento che potrebbe riguardare anche urti e shock meccanici prefigurandone l’impiego in pavimentazioni tecniche flottanti e pannellature.

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Il riuso creativo per le decorazioni natalizie

Il 29 novembre, prima domenica del tempo di Avvento, si sono aperte a tutti gli effetti le porte del Natale 2015. In ogni parte del mondo ci si sta adoperando per tirare fuori l’albero di Natale. C’è qualcuno, tuttavia, che per questo Natale vuole optare per una soluzione alternativa, vuole lasciar perdere davvero il consumismo e dedicarsi al design fai da te e al riuso creativo anche per le decorazioni natalizie.

ALBERI DI NATALE: NON SOLO ABETI

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Sono tanti gli spunti da cui partire per realizzare da soli e con materiali altrimenti destinati ad essere accantonati o gettati nella spazzatura un albero di Natale basato sulla filosofia del “riciclo creativo”. Lo stesso discorso vale per addobbi, decorazioni, festoni, centrotavola e segnaposti, tutti oggetti che si prestano bene alla possibilità di personalizzazione e, se realizzati in autonomia, sono fonte di grande soddisfazione.

Natale 2015: un albero fatto… con gli alberi

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Il legno può essere utilizzato anche per realizzare un originale, economico e sostenibile albero di natale. Tutto quello che bisogna fare è procurarsi un vecchio pallet, uno di quelli che troppo spesso si lasciano ad attirare ragnatele e tarli nell’angolo più remoto del garage. Il passaggio successivo consiste nel rimuovere le assi e i chiodi, per poi procedere alla “ricomposizione” degli elementi, questa volta a forma di albero.

Il legno può essere usato anche allo stato più puro, ricavando i rami dell’albero di Natale proprio da quelli che, una volta, erano i rami dell’albero trasformato in combustibile per i camini. Un’ulteriore possibilità consiste nell’applicazione, alla parete, di tante piccole porzioni di tronco, tagliate in senso ortogonale alle fibre, o di assi lignei, disegnando con essi la forma di un abete.

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Un albero di Natale di libri 

Tante volte capita di guardare la libreria che si ha in casa e rendersi conto che buona parte dei libri in essa contenuti sono stati letti una volta sola e poi messi da parte. È arrivato il momento di riprenderli. Una tendenza non troppo diffusa ma molto originale per utilizzare in modo creativo “la cultura” è quella di creare un albero di Natale proprio con i libri. Ricavare la forma di albero è semplice, basta apparecchiare i filari di testi con un andamento conico. Per la decorazione, invece, si può dare libero sfogo alla fantasia, partendo una collezione di angioletti handmade, per arrivare a palline ottenute da un lavoretto in stile Art-Attack con spago e colla vinilica. Le idee sono tante, ma la fantasia di ciascuno di noi può partorire invenzioni sempre diverse e uniche, per le quali è arrivato il momento di scendere in campo.

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Alberi alternativi: l’addobbo sospeso

Una soluzione un po’ più vista nel corso degli anni, ma sempre di grande impatto estetico e visivo è quella che prevede la definizione di una sagoma tridimensionale di abete appendendo delle palline ad un filo di nylon. Questo, a sua volta, è fissato al soffitto e lascia gli addobbi liberi di fluttuare nell’aria, pur mantenendo sempre una forma riconoscibile. Il risultato è un albero che, alla sola vista, riesce a infondere un senso di serenità, a ricreare un’atmosfera paradisiaca e angelica.

Lo stesso metodo può essere usato anche applicando al filo delle decorazioni fatte a mano, come degli origami impreziositi da una puntina di porporina, delle pigne dipinte in oro e argento oppure dei fiocchetti ricavati a partire dai nastrini di vecchi regali che sono stati tenuti da parte perché “non si sa mai”. Ogni nuova idea è ben accetta e sarà in grado di rendere unico l’albero “fluttuante” che si realizzerà.

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Addobbi riciclati

Il riuso creativo non si presta soltanto alla realizzazione di alberi di natale. Anche per le tavole imbandite a festa, infatti, si tende a cercare soluzioni originali per rendere indimenticabili le serate in compagnia di amici e parenti, all’insegna dell’allegria e del divertimento.

Esistono idee particolarmente originali, perfette per abbellire con semplicità e creatività le tavolate dei cenoni.

I tappi di sughero, che portano tanta fortuna quando cadono addosso direttamente dalle bottiglie, possono essere utilizzati per “disegnare” un alberello segnaposto. Basteranno anche solo tre tappi posizionati a forma triangolare, fissati con qualche goccia di colla e arricchiti da un nastrino rosso per creare la chioma di un albero di Natale in miniatura. Un altro tappo, questa volta orientato in senso verticale, incollato alla base del trio farà da tronco.

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Una composizione di pigne, invece, può diventare un originale centrotavola, impreziosito da qualche candela e un paio di rametti secchi intervallati da una bacca di pungitopo inserita qua e là.

Anche i gomitoli di lana o delle palline ricoperte da uno strato di maglia lavorata a mano, possono essere utilizzati come decorazione. Nella loro tinta originale, dopo una leggera spolverata di porporina, oppure abbelliti da un ricamo particolare, potrebbero diventare, attraverso l’applicazione di un gancino, delle palline per uno degli alberi low cost appena realizzati.

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La “festa del consumismo” all’insegna del rispamio

Le idee che si possono proporre sono veramente tante, ma quello che sta alla base di un’attività del genere è una vera e propria filosofia: si tratta di entrare nell’ottica del risparmio e, soprattutto, del voler evitare gli sprechi economici legati troppo spesso al Natale. Una festa che celebra la nascita di Gesù, povero, vestito solo di stracci, in una capanna martoriata dal freddo gelido diventa la culla del consumismo, dello spreco e dell’eccesso. Mai, come in questo momento dell’anno, si dovrebbe cercare di usare quello che si ha, approfittando anche del fatto che questa scelta mette in moto la fantasia e l’ingegno, oltre a dar vita a decorazioni uniche nel loro genere e sempre originali, proprio perché frutto della creatività di persone diverse tra loro.

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Bioagriturismi e fattorie didattiche. Tra turismo e sostenibilità

Il turismo è una delle principali attività produttive del nostro Paese ed è anche il settore che risente meno della crisi, come dimostra il fatto che buona parte degli italiani è disposta a rinunciare a tutto, tranne alla vacanza. 

Nell’ambito delle strutture turistiche sempre più numerose nel Bel Paese, quelle che, nell’ultimo periodo, sembrano essere preferite dai viaggiatori sono gli agriturismi. A confermarlo è un rapporto redatto da Coldiretti per l’estate 2015 in relazione ai dati forniti da Terranostra e Federalberghi: le presenze nelle strutture turistiche “di campagna” hanno subito un incremento del 10% rispetto all’anno precedente, toccando i 6 milioni di check-in durante tutta la stagione estiva.

IL BIOAGRITURISMO PASSATO IN CLASSE A

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Bioagriturismo: agricoltura biologica ed etica professionale

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Il dato della Coldiretti su bioagriturismi e fattorie è particolarmente confortante se si pensa agli sforzi compiuti da proprietari e istituzioni nel sensibilizzare i “fruitori-turisti” ad optare per una vacanza responsabile e rispettosa dell’ambiente e del territorio. La filosofia che sta alla base delle aziende agrituristiche, del resto, è proprio il rispetto della natura: sfruttare con criterio la terra in cui sorgono e trarre da essa i prodotti che servono sulla tavola dei propri ospiti, senza “violentare” quella fonte inesauribile di ricchezza.

L’attività agrituristica, infatti, è in grado di tutelare indirettamente il paesaggio, instaurando uno stretto legame tra lo sfruttamento delle risorse ambientali e i prodotti aziendali. In altri termini, essendo interesse del gestore dell’agriturismo stesso ottenere e offrire prodotti di alta qualità, costui si impegna a sfruttare in modo responsabile e sostenibile le risorse che la natura gli mette a disposizione.

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Nel settore agrituristico sta prendendo sempre più piede la forma del “bioagriturismo”, struttura ricettiva a cui è data la possibilità, previo ottenimento di una specifica certificazione, di produrre e vendere i prodotti agricoli biologici coltivati e raccolti in loco. Tale certificazione viene rilasciata dall’AIAB – Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica ed è attiva dal 1998, individuando quotidianamente aziende che svolgono questo tipo di attività. L’obiettivo dell’AIAB è quello di controllare che i bioagriturismi non soltanto rispettino le regole di un’agricoltura biologica, ma si impegnino a gestire l’attività ricettiva secondo norme etiche ed ecologiche dettate da ICEA (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale). All’Istituto è affidato anche il compito di verificare che l’azienda si attenga a tali disposizioni.

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Il bioagriturismo si può definire a pieno titolo una struttura ricettiva sostenibile, in quanto la sua attività è basata sulla sinergia che il gestore riesce a creare tra rispetto profondo nei confronti dell’ambiente e servizio offerto ai clienti proprio grazie a quell’ambiente tutelato.

Le azioni che i proprietari di un bioagriturismo possono avviare per rientrare in questa cerchia di strutture turistiche sono l’impegno al risparmio di energia, l’utilizzo consapevole delle risorse energetiche a disposizione e il ricorso a fonti alternative e rinnovabili. È necessario, inoltre, che il bioagriturismo si impegni a limitare il consumo idrico e ad organizzare un sistema di riciclo delle acque reflue.

Al bioagriturismo viene assegnato un compito importantissimo, quello di sensibilizzare i giovani, attraverso un’attività didattica mirata, a rispettare e, soprattutto, scoprire la natura, il paesaggio e l’ambiente, comprendendo le leggi che li regolano e la collaborazione che si instaura tra il mondo naturale e lo sfruttamento consapevole dell’uomo. Sono queste le tematiche affrontate dalle aziende agrituristiche che ricadono anche nella categoria delle fattorie didattiche.

Le Fattorie Didattiche

Con l’attività di Fattoria Didattica, l’azienda agricola sfrutta la sua condizione di essere contestualmente anche agriturismo per spiegare, a visitatori piccoli e grandi, come il lavoro in campagna venga svolto in perfetta armonia con l’ambiente circostante e con quello che offre. In particolare sono approfonditi le tecniche di trattamento dei prodotti biologici affinché questi restino tali, il legame tra la fauna naturale della campagna e la trasformazione dei prodotti in “cibi” di elevata qualità, l’importanza per il consumatore di optare per questo genere di alimenti, facendo del bene a se stesso e all’ambiente.

La storia della fattoria didattica e il suo arrivo in italia

Le Fattorie Didattiche affondano le loro radici nei primi anni del XX secolo, quando le aziende agricole di Norvegia, Danimarca e Svezia cominciano ad aprire le loro porte ai “cittadini” per illustrare come si vive in campagna. L’iniziativa risulta così interessante da propagarsi a macchia d’olio in tutta Europa, raggiungendo, negli anni Settanta, anche le coste del Mediterraneo.

L’idea della “fattoria didattica” nasce a partire da un movimento giovanile statunitense datato 1914 e tuttora esistente. Si tratta del Club 4H, dove la lettera “h” sta ad indicare le quattro parole headhealthheart e hand (testa, salute, cuore e mani). L’obiettivo del movimento è quello di promuovere una crescita personale dell’individuo attraverso un metodo di insegnamento racchiuso nello slogan “learn to do by doing (imparare facendo)”.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale le fattorie didattiche arrivano prima in Germania, con l’obiettivo di far conoscere ai ragazzi di città gli animali della fattoria, e poi in Olanda, con il nome di “City Farms” e la funzione identica a quella dell’iniziativa tedesca.

Seguono, negli anni Settanta, le fattorie didattiche dei Gran Bretagna e Belgio. Nel Paese della Regina le City Farms sono utilizzate anche per recuperare luoghi cittadini abbandonati.

L’Italia è l’ultima ad interessarsi a questa nuova forma di insegnamento e accoglie le fattorie didattiche soltanto negli anni Novanta, quando l’associazione Alimos e alcuni imprenditori della provincia di Forlì-Cesena costituiscono una “Rete delle Fattorie Didattiche Romagnole”. Da allora, fino al 2010, il numero delle fattorie didattiche italiane accreditate è arrivato a 1936.

Il contest che premia gli agriturismi sostenibili

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Il tema del rispetto dell’ambiente è particolarmente sentito dai gestori di strutture agrituristiche, come ha dismostrato l’ampia partecipazione al contest “Agriturismo e Sostenibilità” indetto da Agriturismo.it.

Sono stati 300 gli agriturismi che hanno chiesto di partecipare al concorso per dimostrare il loro interesse nei confronti delle pratiche rispettose dell’ambiente e del territorio e il loro impegno a produrre in modo consapevole e responsabile. L’esito del contest è stato l’individuazione delle pratiche a cui gli agriturismi italiani ricorrono maggiormente per dare il loro contributo in favore della sostenibilità. La vendita dei prodotti a km0, freschi o trasformati, direttamente in azienda ricopre la fetta di torta più abbondante, essendo praticata dall’85% delle strutture agrituristiche italiane. Seguono il ricorso a tecniche agricole finalizzate alla riduzione di emissione di CO2, con una percentuale di applicazione dell’83% e la realizzazione di infrastrutture verdi, praticata dal 76% degli agriturismi. Ultima, non per importanza, è l’agricoltura biologica a cui si cerca di sensibilizzare sempre più intensamente negli ultimi tempi. È il 67% delle strutture agrituristiche ad optare per questo tipo tecnica agricola.

Fabrizio Begossi, Product Manager di Agriturismo.it, in occasione del contest, ha espresso il suo interesse a “tenere alta l’attenzione sul tema della sostenibilità ambientale”. Un’agricoltura sostenibile e un turismo responsabile, ha precisato Begossi, “sono alla base della difesa di ambiente e paesaggio. Gli agriturismi, del resto, fanno del luogo in cui sorgono la propria fonte di ricchezza e la tutela del territorio potrebbe costituire un punto di partenza per lo sviluppo della struttura ricettiva in questione. A questo punto, perché non impegnarsi per curare, preservare e rendere migliore il posto dove si vive e si lavora?

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Lighthouse See Hotel. Il concorso per riprogettare il faro di Murro di Porco

Il faro di Murro di Porco, nel siracusano, si erge solitario in un contesto ricco di storia e tradizione, in un paesaggio d’eccellenza pregno di istanze ambientali ed estetiche in cui, complice il tempo, ha perso la sua funzione. YAC (Young Architects Competitions), con la collaborazione di Agenzia del Demanio e grazie al sostegno di Sia Guest di Rimini Fiera, lancia il concorso “Lighthouse See Hotel” per la riprogettazione del faro siciliano da destinare a struttura ricettiva all’avanguardia.

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LE FINALITÀ DEL CONCORSO

Far rinascere l’antico Faro di Murro di Porco (Siracusa) ed inserirlo con il sito all’interno del circuito turistico regionale trasformandolo in una struttura turistico-alberghiera. Questo l’obiettivo del concorso “Lighthouse See Hotel” di YAC, che chiama a partecipare architetti, progettisti, studenti e designers per riprogettare la struttura di segnalazione e così salvarla dal progressivo degrado cui sarebbe destinata come altri edifici costieri.

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Immaginare un nuovo futuro per i fari abbandonati attraverso la tutela della lanterna e l’accostamento dell’architettura contemporanea ad un’emergenza storica, nuova porta verso il mare da cui accedere per partire alla scoperta del territorio. Ispirandosi alle numerose esperienze internazionali sul tema delle architetture costiere, i progettisti potranno misurarsi con un contesto maestoso e un ecosistema lussureggiante, concentrandosi sulle potenzialità ricettive dell’area siracusana. Rientra tra le scelte dei concorrenti la tipologia di struttura, energeticamente sostenibile, della vision progettuale: lighthouse resort, lighthouse landscape hotel, lighthouse sea center, lighthouse art hotel.

GIURIA E PREMI

La giuria di questa edizione è composta da Manuel Aires Mateus, architetto fondatore dell’omonimo studio, Fabrizio Barozzi dello studio Barozzi/Veiga, vincitore del premio dell’Unione Europea per l’Architettura contemporanea 2015 Mies van der Rohe Award,  Pierluigi Cervellati, architetto che ha contribuito a definire la disciplina del “Restauro Urbano”,  Alessandro Marata, presidente del Dipartimento Ambiente e Sostenibilità presso il Consiglio Nazionale degli Architetti e titolare dello studio Arkit, Bruno Messina, docente di Progettazione Architettonica alla facoltà di Architettura dell’Università di Catania, Matteo Agnoletto, associato in composizione architettonica presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena (UniBo), Giancarlo Garozzo, Sindaco di Siracusa, Roberto Reggi, ingegnere Direttore dell’Agenzia del Demanio dal 2014.

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Al primo classificato sarà assegnato un premio di 8 mila euro; 4 mila al secondo, 2 mila euro al terzo. Sono inoltre previste 2 menzioni gold premiate con un rimborso spese di 500 euro e 10 menzioni d’onore non onerose ma ottenenti visibilità e pubblicità. Ai 30 finalisti sarà riservata la pubblicazione sul sito di Young Architects Competition.

Il concorso prevede la possibilità di registrarsi in tre momenti, con la registrazione “early bird” a 50 euro entro il 20 Dicembre, “standard” a 75 euro entro il 24 Gennaio. Dopo di allora la registrazione avrà un costo di 100 euro. La consegna degli elaborati è fissata al 29 Febbraio 2016.

Tutti i progetti premiati verranno pubblicati su siti Web e format di architettura e saranno esposti in eventi di architettura nazionali ed internazionali.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC .

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Un progetto paesaggistico per Viale Lombardia a Monza

Il progetto di sistemazione paesaggistica di Viale Lombardia a Monza è stato occasione per intervenire su un’importante arteria stradale conferendole un nuovo significato: non più elemento di divisione tra parti di città, ma di ricucitura e unione tra quartieri. L’intervento commissionato da Salini Impregilo a Lande, società specializzata nel recupero e nella valorizzazione dei paesaggi naturali, urbani ed industriali, ha preso il via nel 2013 per inserirsi nel più vasto programma di connessione tra la S.S. 36 “dello Spluga” ed il sistema autostradale di Milano nei comuni di Monza e Cinisello Balsamo traducendosi, nel tratto che attraversa Monza, in un esercizio progettuale di riqualificazione dell’area contigua attraverso il verde.

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La nuova riconfigurazione di Viale Lombardia a Monza

Il progetto urbano di Lande, si è occupato di ridare dignità al percorso urbano senza cadere nel datato cliché che vuole ogni percorso carrabile trasformato in viale pedonalizzato costeggiato da un doppio filare di alberi. Interrata la viabilità primaria lungo un tratto di 2 km, restano 5 ettari di superficie destinata a parco lineare che incorniciano ad Est il tessuto urbano consolidato residenziale e commerciale, ad Ovest l’area di più recente sviluppo costituita da spazi più aperti e meno densamente edificati. 

Lungo questa imbastitura verde, la nuova configurazione di Viale Lombardia prevede una strada ad una corsia per senso di marcia, due corsie ciclabili, ampi marciapiedi e un’area pavimentata da destinare ad attività varie, separate da fasce di verde connettivo, verde di mitigazione e aiuole spartitraffico con più di 9750  graminacee ornamentali a dividere  il sedime ciclabile da quello stradale.

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Le aree verdi del progetto

Nel nuovo sistema urbano previsto da Lande, le aree verdi del progetto paesaggistico si ancorano all’esistente trama vegetale ad enfatizzare le emergenze urbane e i caratteri paesaggistici del territorio attraverso la piantumazione di alberi “a filare” (Celtis australis), e di arbusti e altre specie (oltre 10 mila) disposti “a siepi” o “a gruppo” (Cornus mas e Nandina domestica tra le altre), scelti secondo  le diverse configurazioni che queste essenze assumeranno nel tempo e prevedendo per ognuna di loro la giusta posizione. Ad esempio, la superficie che ricopre la galleria è occupata da un prato fiorito e da specie arbustive le cui radici ben si adattano agli spessori di terreno disponibile.

L’intervento di sistemazione, non ancora ultimato ma in evidente progresso, ha già riconsegnato l’arteria, ora più funzionale e sicura, alla comunità di Monza, integrandone funzioni e vivibilità con i luoghi urbani prima lasciati al margine.

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Un progetto paesaggistico per Viale Lombardia a Monza

Il progetto di sistemazione paesaggistica di Viale Lombardia a Monza è stato occasione per intervenire su un’importante arteria stradale conferendole un nuovo significato: non più elemento di divisione tra parti di città, ma di ricucitura e unione tra quartieri. L’intervento commissionato da Salini Impregilo a Lande, società specializzata nel recupero e nella valorizzazione dei paesaggi naturali, urbani ed industriali, ha preso il via nel 2013 per inserirsi nel più vasto programma di connessione tra la S.S. 36 “dello Spluga” ed il sistema autostradale di Milano nei comuni di Monza e Cinisello Balsamo traducendosi, nel tratto che attraversa Monza, in un esercizio progettuale di riqualificazione dell’area contigua attraverso il verde.

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La nuova riconfigurazione di Viale Lombardia a Monza

Il progetto urbano di Lande, si è occupato di ridare dignità al percorso urbano senza cadere nel datato cliché che vuole ogni percorso carrabile trasformato in viale pedonalizzato costeggiato da un doppio filare di alberi. Interrata la viabilità primaria lungo un tratto di 2 km, restano 5 ettari di superficie destinata a parco lineare che incorniciano ad Est il tessuto urbano consolidato residenziale e commerciale, ad Ovest l’area di più recente sviluppo costituita da spazi più aperti e meno densamente edificati. 

Lungo questa imbastitura verde, la nuova configurazione di Viale Lombardia prevede una strada ad una corsia per senso di marcia, due corsie ciclabili, ampi marciapiedi e un’area pavimentata da destinare ad attività varie, separate da fasce di verde connettivo, verde di mitigazione e aiuole spartitraffico con più di 9750  graminacee ornamentali a dividere  il sedime ciclabile da quello stradale.

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Le aree verdi del progetto

Nel nuovo sistema urbano previsto da Lande, le aree verdi del progetto paesaggistico si ancorano all’esistente trama vegetale ad enfatizzare le emergenze urbane e i caratteri paesaggistici del territorio attraverso la piantumazione di alberi “a filare” (Celtis australis), e di arbusti e altre specie (oltre 10 mila) disposti “a siepi” o “a gruppo” (Cornus mas e Nandina domestica tra le altre), scelti secondo  le diverse configurazioni che queste essenze assumeranno nel tempo e prevedendo per ognuna di loro la giusta posizione. Ad esempio, la superficie che ricopre la galleria è occupata da un prato fiorito e da specie arbustive le cui radici ben si adattano agli spessori di terreno disponibile.

L’intervento di sistemazione, non ancora ultimato ma in evidente progresso, ha già riconsegnato l’arteria, ora più funzionale e sicura, alla comunità di Monza, integrandone funzioni e vivibilità con i luoghi urbani prima lasciati al margine.

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Una casa-rifugio per i volontari del parco

All’interno di Noorderpark, un parco di 5900 acri a nord di Utrecht (Paesi Bassi), gli architetti del cc-studio di Amsterdam hanno sostituito il vecchio edificio presente dal 1966 con un alloggio semplice e affascinante. La casa funge da luogo di riposo per i volontari che curano il parco, di rifugio in caso di maltempo e di ricovero per le attrezzature da giardinaggio. Secondo la normativa locale, la costruzione del fabbricato non necessita di alcun permesso di costruire perché rispetta il volume e la funzione dell’alloggio originario. Gli architetti l’hanno progettato in modo da poter essere visibile solo nelle immediate vicinanze, minimizzando al massimo l’impatto visivo.

UN RIFUGIO IN LEGNO PER LA GUARDIA FORESTALE

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La casa-rifugio, di 35 mq con un’altezza di 3,5 m, è composta da un ripostiglio, un bagno/lavanderia, una zona pranzo con focolare ed un angolo relax con letto. Il cuore della casa è costituito da un corpo centrale che accoglie una stufa a legna e delle sedute. Questo elemento regge la struttura di supporto del tetto e per sua stessa conformazione, ricorda la forma di un albero.

Il tetto e le pareti dell’edificio destinato ai volontari sono costituite da un involucro in alluminio color verde mentre l’interno prevede l’utilizzo di materiali naturali ed è rivestito quasi interamente in legno compensato. La cucina e il camino sono alimentati dalla legna raccolta all’interno del parco. Sia le pareti che il tetto sono caratterizzati dalla presenza di aperture finestrate che creano un forte collegamento con l’ambiente esterno. Ma a smaterializzare i confini tra interno ed esterno sono sicuramente le due porte scorrevoli ad angolo. Aprendosi completamente offrono l’opportunità di godere del prato, di instaurare un rapporto intimo e diretto con la foresta circostante.

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L’ambiente naturale, è l’unico protagonista della scena. Così succede che passeggi all’interno del parco e scopri un rifugio, quasi un nascondiglio inaspettato. Forse è proprio questo uno dei connotati dell’architettura, di piccola o grande scala: stupire lo spettatore che osserva un’opera adeguata al contesto, in cui la forma risponde alla funzione in un modo giusto e naturale.

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Biblioteche sostenibili: la Stevens Library è la prima NZEB degli USA

Lo studio WRNS ha recentemente presentato il primo edificio scolastico in California e in assoluto la prima biblioteca negli USA a raggiungere la certificazione NZEB – Net Zero Energy Building dall’ILFI – International Living Future Institute: partecipando al programma Living Building dello stesso istituto, la Stevens Library alla Sacred Heart School ha dimostrato di generare in un anno solare molta più energia di quella consumata, integrando sapientemente e in modo stimolante diversi sistemi di produzione e risparmio di energia.

NEARLY ZERO ENERGY HOTEL

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Il progetto della biblioteca sostenibile

La Stevens Library è uno dei quattro nuovi edifici del nuovo campus scolastico assieme al Performing Arts Building, al Lower Classroom Building e all’Upper Classroom Building. Lo studio WRNS ha redatto anche lo stesso masterplan del campus della Sacred Hearts School e quando la direzione ha chiesto al team di creare uno spazio che riflettesse i propri valori della consapevolezza sociale, della sostenibilità e della comunità, questo ha pensato di progettare la biblioteca con il duplice scopo di risparmiare energie e risorse educando, allo stesso tempo, la comunità circa l’importanza della tutela ambientale: il design semplice e flessibile della struttura mette in evidenza i legami tra architettura e natura, energia e acqua, funzionando sia come modello di sostenibilità che come risorsa educativa volta al coinvolgimento e alla sensibilizzazione dei fruitori in una cultura del risparmio energetico e delle risorse.

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Strategie di risparmio energetico

Il progetto della biblioteca integra numerosi sistemi tecnologici attivi e passivi associati a diverse strategie di risparmio energetico. Tra queste troviamo un impianto fotovoltaico, che fornisce tutta l’energia elettrica necessaria; un sistema di sensoristica e monitoraggio delle condizioni ambientali interne per minimizzare l’uso di energia elettrica per l’illuminazione; un impianto meccanico di ventilazione ad alta efficienza; impianti di distribuzione dell’acqua a flusso ridotto, per limitare i consumi, associati ad un impianto di raccolta dell’acqua piovana, immagazzinata in un serbatoio da 3.000 litri e successivamente riutilizzata per l’irrigazione degli spazi verdi del campus; un involucro ad elevate prestazioni realizzato con un isolamento rigido esterno a cappotto; diversi collettori solari e solar tubes per la massimizzazione dell’utilizzo di luce naturale all’interno degli ambienti. I consumi sono stati monitorati per un intero anno solare, da un team dell’ILFI che ha stimato un utilizzo di circa 24.934 kWh a fronte di una produzione di 56.811 kWh, consegnando pertanto alla rete elettrica circa 32.417 kWh.

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Cultura ecologica

Nel tentativo di portare in primo piano il tema della sostenibilità, i sistemi energetici della Stevens Library vengono mostrati all’utenza come un vero e proprio strumento formativo: il serbatoio di immagazzinamento dell’acqua piovana è direttamente accessibile dalla libreria e viene utilizzato come fonte primaria per l’irrigazione di un frutteto e degli spazi verdi che vengono curati e manutenuti dagli stessi studenti. I sistemi di gestione delle acque piovane e delle acque grigie sono visibili attraverso una finestra a libro vetrata, composta da sette diversi pannelli, dando la possibilità di utilizzare il sistema per scopi formativi: a questo scopo, alcuni disegni sul tema del ciclo dell’acqua e sulle disponibilità della risorsa potabile sono integrati sui singoli elementi vetrati.

All’interno degli ambienti altre informazioni sui temi energetici e ambientali, vengono fornite con l’ausilio di display e dell’infografica fornendo ai bambini, ai loro genitori e a tutti i visitatori, dati ed informazioni sul funzionamento degli impianti fotovoltaici, sui trends di utilizzo quotidiano dell’energia e sull’uso consapevole delle risorse.

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La struttura NZEB è composta da sette diverse aree di lavoro, due sale riunioni, due laboratori tecnologici, una sala conferenze, uffici e una biblioteca open space: la configurazione degli ambienti è totalmente flessibile grazie ad una pavimentazione e ad arredi modulari mobili che possono essere facilmente spostati al fine di rimodulare gli spazi secondo le mutabili esigenze.

Tutti gli ambienti dell’edificio contribuiscono indistintamente alla formazione di una cultura energetica, aiutando i giovani a riconoscere fin dalle minori età le buone e le cattive abitudini rispetto ai temi ecologici.

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La fabbrica dismessa diventa uno spazio dove lavorare è un piacere

Un marchio estone, produttore di abbigliamento per bambini, ha deciso di trasferire i suoi uffici di Tallin in una ex fabbrica di epoca sovietica e ha affidato il progetto allo studio KAMP Arhitektid.

Il cliente aveva posto come obiettivo della riqualificazione la trasformazione del volume asettico e austero del vecchio edificio dismesso in un ambiente accogliente. Affascinare i dipendenti e renderli più produttivi grazie a uno spazio stimolante e attirare i visitatori dallo spettacolo intravisto oltre le finestre: i progettisti dovevano creare un “parco giochi” per adulti.

LUOGHI DI LAVORO: UNA SCALA VERDE PER NUOVI SPAZI IN UFFICIO

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I quasi 1.100 metri quadrati, una vertiginosa altezza massima di 8 metri, della fabbrica dismessa sono stati effettivamente rivoluzionati, creando una vera e propria oasi, tra stanze di legno e alberi, quasi una rigogliosa foresta permanente. Ora la vegetazione è artificiale e raggiunge le travi del tetto, ma presto sarà sostituita da vere piante, in attesa che assumano una adeguata dimensione.

La vecchia fabbrica, completamente in disuso, ha ripreso vita e ora, percorrendo in estensione il grande spazio multipiano si possono incontrare sale riunioni, zone relax, uffici più piccoli adibiti a spazi di lavoro. Il “paesaggio” si snoda a più livelli, ma i materiali usati, i colori e le forme taglienti creano un ambiente unico e armonioso.

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Le grandi vetrate permettono l’ingresso di un notevole quantitativo di luce interna, diffusa e amplificata grazie all’inserimento di lucernari zenitali in copertura. Anche il sistema di ventilazione e riscaldamento è stato sostituito per essere più efficace per la nuova configurazione dell’ambiente di lavoro.

La fila di grandi lampade da tavolo, a richiamo del lavoro sartoriale, accompagna il percorso lungo i corridoi, ingannando l’occhio dell’osservatore che, in un divertente gioco prospettico, si accorge della loro altezza (quasi 3 metri) solo quando passa sotto. Gli arredi funzionali al ricovero della merce venduta sono molto discreti e si inseriscono perfettamente nel racconto architettonico; solo i pomelli degli armadi, ritagliate a forma di bambino suggeriscono la categoria di vendita del marchio.

Il progetto, molto affascinante, sembra voler avvallare la tesi dell’architetto Michele de Lucchi (autore dell’Unicredit Pavilion a Milano) che, al Salone dell’Ufficio di quest’anno, ha voluto sintetizzare nella sua installazione “La passeggiata” una nuova idea di ambienti di lavoro: ricchi di stimoli, facilitatori di incontri, diversificati e confortevoli. Dove lavorare è prima di tutto un piacere.

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caption: © Design: KAMP Arhitektid

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Elementi modulari OSB: la struttura in legno è pronta in 10 giorni

A Novembre sono terminati i lavori del primo cantiere italiano di un edificio realizzato da elementi modulari in legno. Si tratta della costruzione di un edificio residenziale unifamiliare a due piani fuori terra realizzato nel comune di San Secondo di Pinerolo in provincia di Torino.

La struttura dell’edificio, dalle fondazioni alla copertura, è stata realizzata in dieci giorni a partire dal 31 Agosto di quest’anno.

IL LEGNO DA COSTRUZIONE

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I pannelli OSB: Oriented Strand Board

L’abitazione è stata progettata e realizzata con elementi modulari in legno. Il sistema costruttivo è composto da elementi modulari in OSB, realizzati con legno di pioppo di provenienza locale. I pannelli OSB (acronimo di Oriented Strand Board) nelle costruzioni in legno sono utilizzati prevalentemente nelle costruzioni a telaio.

I pannelli sono composti da tre strati a struttura simmetrica di trucioli piatti, denominati strand. Gli strand degli strati esterni sono orientati parallelamente alla direzione di produzione e sono di migliore qualità. Gli strati interni sono invece composti da materiale più fine e di geometria meno controllata, orientati in modo casuale o in direzione perpendicolare alla direzione di produzione. La produzione di pannelli OSB in Europa viene realizzata prevalentemente con legname a basso costo, proveniente in gran parte dalla ripulitura delle foreste. Le fasi produttive sono comuni ad altri tipi di pannelli e prevedono la scomposizione del legno a formare le particelle di dimensione necessaria, l’essiccazione, l’addittivazione con colla, la formazione degli strati e la pressatura.

In questo cantiere non sono stati utilizzati i classici pannelli bensì elementi modulari (foto in basso), realizzati con la stessa tecnica produttiva. Questi elementi sono dotati di incastri che, oltre a facilitarne la posa in opera, agevolano il controllo geometrico e della verticalità in fase di costruzione. Data la particolare disposizione degli incastri sono scongiurati poi eventuali errori di montaggio della struttura.

Il cantiere di un edificio modulare in legno

Il vantaggio enorme dell’utilizzo di questa tecnica costruttiva è stato la velocità di posa in opera che in soli dieci giorni ha portato alla realizzazione dell’intera struttura dell’edificio. Il 31 Agosto di quest’anno è cominciata la posa del primo corso di elementi in OSB a seguito dell’impermeabilizzazione e dell’isolamento della fondazione in calcestruzzo precedentemente realizzata.

Gli elementi vengono fissati alla fondazione mediante particolari sistemi di ancoraggio denominati hold-down, ovvero profili in acciaio chiodato disposti su entrambi i lati dell’elemento. Questi elementi, progettati per resistere alle sollecitazioni a flessione, sono poi affiancati a ulteriori profili a L, sempre chiodati, che devono sostenere le sollecitazioni al taglio della struttura.

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Il giorno successivo è stata completata la posa degli elementi dell’intero primo piano e completato l’isolamento dei blocchi. L’isolamento delle pareti perimetrali esterne è realizzato mediante il riempimento manuale delle cavità dei blocchi con sughero bruno granulato.

Il 2 Settembre sono state posati e fissati gli elementi di chiusura e le travi del primo solaio. Nella stessa giornata è stato terminato il solaio.

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Stesse fasi e stesse tempistiche sono state seguite per la realizzazione del secondo piano fuori terra che quindi è stato completato interamente dopo soli 5 giorni dall’inizio del cantiere. A seguire è stato realizzato l’isolamento del tetto.

Completato l’assito del secondo solaio e posata la barriera impermeabile, sono state posizionate le travi “passafuori” e successivamente la coibentazione della copertura. L’isolamento, in pannelli di fibra di legno, è stato eseguito a doppio strato sfalsato, con un ulteriore ultimo strato tra i travetti in legno.

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Terminato l’involucro esterno, si è proseguito con l’ultimazione dell’interno mediante la posa del freno vapore sul lato caldo delle pareti esterne e con la costruzione delle contropareti, necessarie per il passaggio degli impianti.

Le facciate sono state ultimate il 10 Settembre con la posa di doghe in legno di cedro, inclinate di 45 gradi che, opportunamente sagomate in corrispondenza delle aperture, rivestono completamente l’edificio.

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Elogio del muschio: paesaggi norvegesi a Londra

La natura si insedia sempre più in città, grazie alle living walls, agli orti e ai parchi urbani. Si aggiungono ora anche graffiti ecologici e pareti di muschio e licheni. Dopo l’esordio in piccoli interventi di guerriglia urbana, diventano addirittura i protagonisti dell’installazione “Moss your city” realizzata dallo studio Pushak. Paesaggi e odori delle foreste norvegesi si materializzano a Londra: sulle pareti di espanso sono fissate zolle di muschio prelevato dai boschi, mentre grazie ad aperture asimmetriche il visitatore può percorrere una sorta di galleria-labirinto. L’atmosfera, seppur in scala ridotta, è quella di una grotta naturale umida e verdeggiante.

Tecniche e progetti per il verde verticale

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L’architettura vuole ancora una volta incontrare la natura restituendo prestigio ad un elemento, il muschio, da sempre visto come nemico delle costruzioni. Pensato e pianificato può, invece, diventare una componente positiva dell’architettura e dei giardini. Del resto nei giardini giapponesi, nelle pavimentazioni in pietra e adesso anche nelle living walls, i risultati ottenuti sono piuttosto sorprendenti. È possibile sfruttarne la versatilità, l’abbondanza in natura e la bassa manutenzione necessaria dopo l’installazione, mantenendo sempre condizioni di alta umidità e poca luce. Ricoprire di muschio e licheni città, ambienti interni e giardini sta diventando un nuovo trend, un tipo di inverdimento più sostenibile ed economico delle pareti verdi.

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L’installazione di Londra, presentata nel Festival dell’Architettura del 2010, è il primo progetto estero del collettivo femminile di Oslo, nato da un programma di scambio dell’Architecture Foundation per architetti emergenti in Norvegia e nel Regno Unito. L’intento è di incantare e di perdersi nel labirinto verde, celebrando i paesaggi scandinavi e il muschio come materiale interessante, che può lavorare in armonia con il design contemporaneo.

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In realtà il muschio fissato alle pareti non può più crescere, ed ha più una valenza estetica che ecologica. Gli architetti Pushak hanno, però, deciso di studiare la relazione tra architettura contemporanea e i paesaggi norvegesi, adattandoli all’ambiente londinese e alle esigenze espositive. Al termine della galleria vegetale, cartoline esplicative riportavano sul retro la ricetta dei graffiti di muschio.

Se volete realizzare un eco-graffito basta seguire le semplici istruzioni presenti su wikiHow con pochi ingredienti quale muschio, yogurt e birra.

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Surriscaldamento globale: uno studio rivela il ruolo delle fonti rinnovabili

Piogge incessanti d’estate, temperature elevate d’inverno: il fatto che “non esistono le mezze stagioni” non è più soltanto un detto popolare. Il clima sta cambiando, il Pianeta si sta surriscaldando e la colpa è dell’uomo. È quanto emerge da un report reso noto da IRENA – Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili.

Lo studio, intitolato “REthinking Energy 2015 – Renewable Energy and Climate” ha portato gli esperti a rendersi conto di come l’uso di energie rinnovabili, associato all’impegno nel raggiungimento dell’efficienza energetica, possano inibire l’aumento della temperatura globale. Ne deriva che, se ciò non accade, l’energia che alimenta le abitazioni in cui viviamo non proviene da fonti rinnovabili e che l’uomo non si sta impegnando per salvare il pianeta che, nonostante tutto, continua ad ospitarlo.

L’ONU PREMIA 17 PROGETTI CONTRO I CAMBIAMENTI CLIMATICI

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Rapporto IRENA: fonti rinnovabili per due gradi in meno

“La produzione di energia è causa di oltre i due terzi delle emissioni di gas serra”, ha affermato il direttore generale di IRENA, Adnan Z. Amin. Per contrastare il surriscaldamento basterebbe produrre appena il 36% dell’energia a partire da fonti rinnovabili per ottenere, entro il 2030, una riduzione della temperatura globale di almeno due gradi.

Il rapporto su rinnovabili e clima è stato presentato in occasione del decimo Council Meeting tenutosi ad Abu Dhabi proprio in questi giorni. Il pubblico che assiste all’evento conta, ogni anno, 250 partecipanti di 80 nazionalità diverse. L’obiettivo è quello di sensibilizzare, attraverso uno studio concreto, lontano dai meri esperimenti accademici, quante più personalità possibili ad instaurare legami e accordi volti a supportare il lavoro di IRENA e ad intervenire in favore dell’ambiente.

Seguendo il consiglio di IRENA, infatti, si potrebbero spuntare dalla lista 12 dei 17 Sustainable Developement Goals posti dall’ONU per promuovere lo sviluppo sostenibile, la coerenza e l’integrazione delle politiche degli stati membri e l’intervento degli stessi attraverso azioni sociali, economiche e ambientali.

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Le fonti rinnovabili: fonti di energia e di lavoro

Il REthinkin Energy ha mostrato vantaggi economici associati a quelli climatici in caso di uso di fonti energetiche rinnovabili. Impegnandosi per contribuire alla riduzione del surriscaldamento globale e cercando di raggiungere l’obiettivo individuato dagli studiosi, le aziende del settore potrebbero incrementare notevolmente il numero dei posti di lavoro. Attualmente l’industria delle energie rinnovabili permette a 7,7 milioni di persone di procurarsi da vivere. Raggiungendo quel famoso 36%, invece, entro il 2030 il numero degli assunti potrebbe salire a 24 milioni a livello mondiale.

È opportuno, tuttavia, procedere con calma e tener presente che, come viene evidenziato nello studio stesso, per raggiungere il range indicato entro il 2030 occorrerebbe moltiplicare per 6 volte rispetto ai numeri attuali gli impianti di produzione di energia a partire da fonti rinnovabili. In termini di costi questo equivale a chiedere un investimento annuo globale pari al doppio o al triplo di quello odierno. Si raggiungerebbero cifre superiori ai 500 miliardi di dollari fino al 2020 e ai 900 miliardi di dollari fino al “tanto atteso” 2030.

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Come “guadagnare” i due gradi

In relazione al fatto che l’investimento economico si presenta particolarmente oneroso per i finanziatori, il report propone una strategia d’azione da attuarsi attraverso una serie di step. Prima di tutto occorrerà rafforzare i legami e gli impegni politici presi dagli stati aderenti all’iniziativa, successivamente occorrerà attivare gli investimenti. A questo punto entreranno in gioco le istituzioni, che avranno il compito favorire il ricorso alle fonti rinnovabili da parte dei singoli paesi. Una volta consolidato il sistema statale toccherà alle regioni intervenire, rafforzando il loro impegno nel tentativo di rendere sostenibile il territorio di competenza.

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Adnan Amin, direttore generale di IRENA è più che fiducioso rispetto all’iniziativa e ha affermato: “Il grande business delle rinnovabili ha reso la transizione energetica inevitabile. La domanda che bisogna porsi, a questo punto, è quanto tempo passerà prima che il nostro pianeta si proietti veramente verso un futuro sostenibile e “rinnovabile”. Per il momento tra le speranze di IRENA c’è la COP 21 di Parigi sul Clima, durante la quale, secondo Amin, i paesi coinvolti dovranno dare un segnale concreto di interesse verso un progetto a favore dell’ambiente e delle fonti energetiche che lo rispettano e, in qualche modo, cercano di salvarlo, contrariamente a quanto fa la mano distruttiva dell’uomo.

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Borse di Studio gratuite per il Master breve “HoReCa Workshop – Architettura & Marketing”

Disponibili Borse di Studio gratuite

per il Master breve

HoReCa Workshop – Architettura & Marketing”,

 per ideare, progettare e innovare locali e spazi di successo.

Dal 26 al 28 febbraio 2016 a Milano.

Il rapporto tra “Architettura & Marketing” è oggi la chiave per progettare locali e spazi di successo per la ristorazione, il retail e l’ospitalità, in grado di produrre risultati di reddito in un mercato competitivo e in continua trasformazione dell’HoReCa, cioè “Hotel RestaurantCafè”.

Aggiornare le competenze professionali per dare più valore al proprio lavoro

HoReCa Workshop – Architettura & Marketing è l’innovativo Master breve che permette di aggiornare le proprie competenze professionali su diversi aspetti dell’architettura d’interni, come illuminazione, colore, materiali, sostenibilità e Marketing per ideare e progettare spazi commerciali di successo, e dare così più valore al proprio lavoro.

A chi è rivolto

È rivolto a progettisti e imprenditori

Date e sede

Si svolge da venerdì 26 a domenica 28 febbraio 2016, per rispondere alle esigenze dei professionisti e degli operatori.

Prevede 24 ore di lezioni di docenti universitari specializzati e di progettisti ed imprenditori di esperienza internazionale + educational tour in locali innovativi.

La sede è la nuova Penthouse Classroom , nel centro di Milano (Piazza San Babila).

Borse di Studio gratuite

In caso di iscrizioni contemporanee sono previste Borse di Studio gratuite per il secondo partecipante.

Per saperne di più:  www.horecaworkshop.it

Info: segreteria@horecaworkshop.it

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Come sarà la Sagrada Familia nel 2026?

L’opera più famosa dell’architetto catalano, Antoni Gaudí, potrebbe essere completata nel 2026, dopo 144 anni dalla posa della prima pietra. Il cantiere della Sagrada Familia aprì nel 1882 con il progetto dell’architetto Francisco de Paula del Villar; solo nel 1883 fu affidato a Gaudí con il compito di proseguirne l’opera, che però ne modificò radicalmente il progetto con il suo inconfondibile stile. Artista ossessionato dalla perfezione e architetto delle “forme impossibili”, visse nella cattedrale come eremita dedicandole i suoi ultimi 14 anni di vita. Con la sua morte, avvenuta accidentalmente nel 1926, ha lasciato un’ingombrante eredità a scultori, artisti ed architetti. A quel tempo, infatti, erano state innalzate soltanto una facciata e una torre, ma già si preannunciava come il più grande capolavoro della cristianità.

Chiese del XXI secolo: Shigeru Ban e la cattedrale in cartone

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Nel 2026, in occasione del centenario della morte di Gaudì, il responsabile dei lavori di costruzione, l’architetto Jordi Faudi dichiara che la maggior parte dei lavori della Sagrata Familia saranno conclusi; rimarranno pochi elementi decorativi e finiture. Quindi, la chiesa dovrebbe essere interamente ultimata entro il 2030 o il 2032.

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Dopo aver costruito le sei immense torri, ed in particolare la Torre di Gesù Cristo sormontata da una croce per un’altezza di 173,5 m, diventerà edificio di culto più alto d’Europa. Supererà di 10 m la cattedrale di Ulm, in Germania. Se però si considera l’altezza interna, il primato dell’edificio più alto rimarrà ancora alla cattedrale di San Pietro a Roma.

La Sagrada Familia avrà 18 guglie dedicate a diverse figure religiose di varie altezze a seconda della gerarchia, quattro per gli evangelisti, una per ogni apostolo e due, che supereranno le altre, in onore della Vergine Maria e Gesù.

La lentezza dei tempi di cantiere e l’incertezza delle date di completamento sono causate non solo dalle difficoltà costruttive e dalla vastità dell’opera, ma anche da motivi economici. La costruzione è finanziata esclusivamente da donazioni private e dal ricavato dei biglietti dei visitatori, che in media si aggira sui 13 e 20 milioni di euro per anno.

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Il video di un minuto e mezzo, pubblicato dai costruttori della basilica, ci proietta nel futuro mostrandoci la configurazione finale a lavori ultimati. La costruzione, consacrata basilica da papa Benedetto XVI il 7 novembre 2010, continua a dividere cittadini, esperti ed ammiratori a causa dell’enorme budget speso, del progetto troppo articolato, e ovviamente dell’impossibilità di intercettare la visione originale dell’architetto catalano.

{youtube}RcDmloG3tXU{/youtube}

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Dio non aveva fretta di vederla finita, aveva ironizzato Gaudì… ed in effetti tempi di realizzazione sono davvero considerevoli. Comunque ora la basilica si avvia alla sua fase finale, grazie alla caparbia dei sostenitori, alle donazioni ma soprattutto alle nuove tecniche costruttive e alle stampanti 3d, che sembrano aver accelerato la costruzione. “Lavorare sui disegni di Gaudì in 2d non ha senso dal punto di vista architettonico” dichiara Jordi; lo stesso Peter Sealy, ricercatore di Harvard conferma la Sagrada Familia è così complessa che è quasi impossibile disegnare dei progetti. Gaudí, infatti, ha lasciato praticamente solo un sistema geometrico di superfici rigate e un metodo di lavoro per tradurre queste geometrie in modelli di gesso. Molti dei modelli di Gaudì furono distrutti dagli anarchici durante la guerra civile spagnola, ma i frammenti superstiti possono ora essere digitalizzati con gli scanner 3d.

E infine: “le intenzioni progettuali di Gaudí possono essere decodificate da questi modelli digitali, che possono poi essere utilizzati per lo sviluppo del design e la fabbricazione, con pietra da taglio e cemento versato in stampi realizzati in scala 1:1 “.

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Contabilizzazione e termoregolazione del calore negli edifici: valutazioni economiche e criticità

Con il D.L 4 luglio 2014, n. 102  “Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica” entro il 31 dicembre del 2016 i condomìni, e gli edifici polifunzionali, dotati di un impianto di condizionamento dell’aria centralizzato, o rifornito da una rete di teleriscaldamento, dovranno installare sistemi di contabilizzazione, di termoregolazione individuali per misurare l’effettivo consumo -di ciascuna unità immobiliare- e adottare il criterio della ripartizione dei costi in base alla norma UNI 10200/2015. In questo articolo, l’ultimo di una serie di quattro, vediamo brevemente quali sono le relative ricadute economiche e sociali.

Come effettuare la contabilizzazione del calore negli edifici

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Secondo un’indagine di Altroconsumo, benché i costi degli interventi varino in funzione dello stato degli impianti presenti, indicativamente si approssimano ai seguenti ordini di grandezza in base al numero di unità immobiliari:

  • Palazzina di 20/30 unità immobiliari: 7-8 mila euro
  • Palazzina di 30/60 unità immobiliari: 9-10 mila euro
  • Palazzina di circa 100 unità immobiliari: 11-12 mila euro

I suddetti costi sono comprensivi di: lavaggio dell’impianto di riscaldamento prima dell’installazione delle valvole, installazione di una pompa elettronica per la modulazione della potenza di circolo dell’acqua, installazione di un defangatore e di un addolcitore dell’acqua.

BONUS FISCALI E IVA AL 10%

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Fino a tutto il 2016 (L. di Stabilità 190/2014) ai condomìni spetta la detrazione per gli interventi di edilizia, eseguiti cioè sulle parti comuni, i cui lavori vengono pagati dal singolo condomino attraverso appositi bonifici con ritenuta dell’8% (prevista per i pagamenti dei lavori di ristrutturazione edilizia fiscalmente agevolati).

Per beneficiare del c.d. bonus ristrutturazioni, occorre richiedere all’Agenzia delle Entrate l’attribuzione del codice fiscale cumulativo, ottenuto sulla base delle istruzioni e i chiarimenti formulati dall’Agenzia con la risoluzione n. 74/E del 27 agosto 2015 che riguardano anche i cd. condomìni minimi (fino a otto condòmini), ma che ai fini della detrazione, sono obbligati a richiedere il codice fiscale mediante il modello AA5/6. Nella comunicazione, unica per tutti i condòmini, devono essere specificati, distintamente per ciascuno di essi: le generalità e il codice fiscale; i dati catastali delle rispettive unità immobiliari; i dati dei bonifici dei pagamenti effettuati per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio; la richiesta di considerare il condominio quale soggetto che ha effettuato gli interventi; le fatture emesse dalle ditte nei confronti dei singoli condòmini, intestate sempre al condominio.

A conti fatti è raccomandabile prevedere non solo l’installazione dei ripartitori su ciascun corpo scaldante, ma anche la sostituzione della caldaia con una a condensazione per sfruttare la detrazione fiscale del 65% entro la fine del 2015.

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In questo contesto è da valutare anche il costo per la redazione dell’APE (attestato di prestazione energetica) da parte di un un tecnico abilitato non coinvolto però nel processo di riqualificazione energetica del sistema edificio-impianto. L’APE si rende necessaria solo nei seguenti casi: quando gli interventi di riqualificazione delle prestazioni dell’impianto (o dell’involucro edilizio) determini il miglioramento di prestazione energetica di almeno una classe e quindi comporti la decadenza dell’APE, eventualmente esistente.          

Dal 2016 il vantaggio fiscale sarà ridotto al 36%, salvo proroghe dell’ultima ora. Sostituendo il generatore con uno più efficiente e inserendo un sistema di contabilizzazione di termoregolazione dell’impianto, il risparmio energetico condominiale dovrebbe attestarsi tra il 30 e il 40% che risulta doppiamente conveniente rispetto alla contabilizzazione abbinata alla termoregolazione.

Vantaggi degli interventi di efficientamento

  • Riqualificazione tecnologica della centrale termica con sistemi innovativi e conseguente rivalutazione dell’immobile.
  • Ottimizzazione del processo di produzione e di utilizzo dell’energia.
  • Risparmio energetico.
  • Autonomia di gestione del riscaldamento nelle singole unità immobiliari.
  • Maggiore sicurezza dell’intero impianto.
  • Delega al gestore del servizio di tutte le responsabilità inerenti alla centrale termica.
  • Pagamento soltanto del calore consumato.

Appare dunque evidente che i maggiori interessati agli interventi di efficientamento sono i condomini degli immobili con impianto di riscaldamento centralizzato ed in particolare quelli con centrali termiche obsolete o fuori norma.

Criticità dell’obbligo di efficientamento

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Concludiamo suggerendo la seguente riflessione in merito all’efficacia dei provvedimenti di riqualificazione energetica: quanti pensionati con 500 €/mese o lavoratori precari (la maggioranza della popolazione italiana) possono accedere ai bonus fiscali? Molti investimenti di risparmio energetico, per essere significativi devono alzare almeno di una classe prestazionale, e siccome presuppongono spese importanti (talvolta ostacolando anche l’uso dell’immobile per i lavori) non sono ammortizzabili entro la vita utile del proprietario (orizzonte inferiore ai 10 anni come previsto nell’APE, affinché essa abbia validità legale) o addirittura inaccessibili per un lavoratore precario e, in fine, improponibili alla metà dei giovani in quanto disoccupati (percentuale ai massimi storici rispetto agli occupati). All’autore pare che la legge, ancora una volta venga recepita in modo iniquo, beneficiando solo le fasce più abbienti della popolazione (agevolate pur non avendone bisogno).  

Pertanto, con gli obblighi imposti da questo nuovo D.L. verranno penalizzati in termini di comfort ancora una volta gli inquilini degli immobili più freddi e meno coibentati, mentre indiscriminatamente tutti ce ne rimetteremo in termini d’inquinamento ambientale, disattendendo paradossalmente lo scopo principale della direttiva UE sul risparmio energetico: ridurre le emissioni di CO equivalente.

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Contabilizzazione e termoregolazione del calore negli edifici: come contabilizzare?

Con il DLgs 4 luglio 2014, n. 102  Attuazione della direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica” entro il 31 dicembre del 2016 i condomìni, e gli edifici polifunzionali, dotati di un impianto di condizionamento dell’aria centralizzato, o rifornito da una rete di teleriscaldamento, dovranno installare sistemi di contabilizzazione, di termoregolazione individuali per misurare l’effettivo consumo -di ciascuna unità immobiliare- e adottare il criterio della ripartizione dei costi in base alla norma UNI 10200/2015. In questo articolo, il terzo di una serie di quattro, vediamo brevemente quali sono gli aspetti tecnici della contabilizzazione del calore nei condomini.

ADEGUARE GLI IMPIANTI PER LA CONTABILIZZAZIONE E LA TERMOREGOLAZIONE

SCADENZE E SANZIONI PER CHI NON SI ADEGUA AL DLgs 102/2014

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Innanzi tutto, va segnalato che il ricorso a contatori orari e timer, molto diffuso nei vecchi impianti condominiali, non è più a norma, in quanto non conta l’effettivo calore consumato dalla singola utenza, bensì le ore di funzionamento delle pompe di circolazione, che non necessariamente sono un indicatore affidabile del consumo.

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Il tipo di contabilizzazione: diretta o indiretta

Il primo passo per la messa a norma dell’impianto è capire se sia possibile adottare un sistema di contabilizzazione diretta, o si debba ricorrere alla contabilizzazione indiretta. A tale scopo è necessario semplicemente verificare se il nostro edificio è dotato di rete di distribuzione del calore verticale a colonne montanti (edifici dai 30 anni in su) o orizzontale (edifici recenti). Nel primo caso l’unica opzione possibile è la contabilizzazione indiretta, mentre nel secondo caso è compatibile quella diretta. Il recupero dei dati registrati può essere di tre tipi, in funzione dell’entità e della raggiungibilità del condominio da gestire:

  1. lettura locale (piccoli condomini);
  2. lettura centralizzata tipo bus (villette a schiera);
  3. lettura centralizzata via radio (palazzi a sviluppo verticale).

I contatori possono essere di due tipi: ultrasonici (classe 2 EN1434, con massimo errore di misura ammesso: 2%) e meccanici (classe 3, massimo errore di misura ammesso: 3%).

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La contabilizzazione indiretta

1) Rilievo e certificazione dei corpi scaldanti installati per la determinazione di:

  • potenza termica secondo la UNI 442-2 o metodo dimensionale;
  • nuova tabella millesimale

2) Determinazione di:

  • diametro delle valvole termostatiche e dei detentori e del tipo di raccordo alle tubazioni;
  • tipo di valvole termostatiche e di sensore;
  • posizione d’installazione dei ripartitori;
  • tipo di ripartitore e di sensore;
  • curva della temperatura di mandata ai fini della precisione di regolazione e della temperatura di ritorno.

3) Calcolo dei parametri richiesti dalla UNI 10200 ai fini della ripartizione della spesa totale dei consumi energetici, secondo quanto definito dalle UNI/TS 11300.

4) Mappatura dell’impianto (codici apparecchi, nome utente, dati di programmazione etc.) da aggiornare nel caso in cui ci fossero stati interventi previ.

5) Stesura delle istruzioni per l’utilizzo dell’impianto e dei dispositivi atti alla contabilizzazione.

Contabilizzazione diretta

1) Rilievo e certificazione dei corpi scaldanti installati per la determinazione di:

  • potenza termica secondo la UNI 442-2 o metodo dimensionale;
  • nuova tabella millesimale.

2) Dimensionamento delle portate in modo da ottenere, in esercizio, valori di salto termico elevati.

3) Determinazione di:

  • diametro delle valvole termostatiche e dei detentori e tipo di raccordo alle tubazioni;
  • tipo di valvole termostatiche e di sensore;
  • curva della temperatura di mandata ai fini della precisione di regolazione e della temperatura di ritorno.

4) Calcolo dei parametri richiesti dalla UNI 10200 ai fini della ripartizione della spesa totale, secondo quanto definito dalle UNI/TS 11300.

5) Scelta del contatore di calore corretto in funzione dei valori di portate previsti.

6) Mappatura dell’impianto (codici apparecchi, nome utente, dati di programmazione etc.) da aggiornare.

7) Stesura delle istruzioni per l’utilizzo dell’impianto e dei dispositivi atti alla contabilizzazione.

Ripartitori di calore

Un ripartitore dei costi di riscaldamento è uno strumento elettronico in grado di misurare il consumo di calore del corpo scaldante sul quale è installato ed è indicato per impianti centralizzati a colonne montanti (UNI EN 834). Può essere installato solamente su corpi scaldanti con superficie accessibile nei quali è noto il rapporto tra temperatura e potenza termica, quali ad esempio i radiatori ad elementi (non pannelli a pavimento/soffitto o termoventilconvettori). I ripartitori sono di tre tipi in base alla temperatura media di esercizio da misurare sulla superficie del radiatore e alla presenza di un copriradiatore: a un sensore (>55°C), a doppio sensore >35°C) e a sensore remoto la cui unità elettronica viene installata all’esterno del copritermo.

La norma dice che in uno stesso impianto i ripartitori devono essere dello stesso modello ovvero utilizzare lo stesso principio di misura (stesso tipo di sensore e marca).  Prima di installarli è opportuno verificare se l’impianto è adibibile completamente alla ripartizione; quale tipo di sensore utilizzare. La direttiva MID 2004/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 31 marzo sulla precisione degli strumenti di misura obbliga il costruttore ad omologare il contatore con il nuovo marchio CE-M e secondo la EN 1434 i contatori devono essere almeno di classe 3 (errore di misura < 3%).

Dal momento che la distribuzione delle temperature non è uniforme è opportuno installare correttamente il ripartitore. Il valore ottenuto attraverso un qualsiasi ripartitore non è mai un valore assoluto, bensì un indice (%) di consumo (HCA, heat cost allocation, ovvero l’assegnazione del costo del calore) e pertanto il consumo del singolo radiatore può essere calcolato solamente rapportando il valore di HCA -letto sul ripartitore- con la somma di tutti i valori di HCA dei radiatori dell’impianto. In ultima analisi è possibile valutare il consumo riferendolo alla misura reale (diretta) di energia termica, o di combustibile. Infine, i ripartitori devono essere parametrizzati (ossia programmati ) inserendo la potenza termica (Watt) e il fattore K di contatto termico (in funzione della forma e materiale del radiatore). Entrambi i dati sono dichiarati dal fabbricante o, in mancanza delle schede tecniche, si possono calcolare in base alla UNI 10200/2015.

Principi generali di ripartizione secondo la UNI 10200

  1. Valutare le spese totali
  2. Ricavare l’energia utile totale
  3. Determinare l’energia involontaria
  4. Calcolare i millesimi di ripartizione
  5. Formulare il prospetto di spesa

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Tutte le spese relative all’impianto di riscaldamento vengono accorpate in un’unica voce (ST) e la suddivisione viene fatta in base a una quota fissa (Qf), pari a una percentuale della ST (tra il 30% e il 50%). Questa viene poi ripartita tra i condòmini in base ai millesimi di proprietà e a una quota a consumo (Qc), pari alla rimanente parte della spesa (Qc = ST – Qf); successivamente viene ripartita in parti proporzionali al consumo individuale misurato. In altri termini, dette U1, U2, …Un le unità di calore conteggiate per ciascun utente, le singole quote variabili saranno:

Qc1= Qc * U1/(U1+U2+…Un)
Qc2= Qc * U2/(U1+U2+…Un)
Qc3= Qc * U3/(U1+U2+…Un)
Qcn= Qc * Un/(U1+U2+…Un)

Osservazioni sulla convenienza del sistema e le possibili truffe

Benché l’obbligo di adeguamento al D.L. 102/2014 non sia previsto per edifici con meno di 8 condòmini  e quand’anche non fossero nemmeno tenuti ad essere gestiti da un amministratore, è raccomandabile valutare la convenienza d’installare un sistema di contabilizzazione e termoregolazione del calore per evitare di essere truffati da vicini affatto onesti.

Sottolineiamo che, nei vecchi impianti dotati di contatore, dove la ripartizione della spesa avviene in base alle ore di funzionamento delle pompe di circolazione e non all’effettiva quantità di calore consumato, la possibilità di manomettere la regolazione delle valvole di mandata dell’ACS, di alimentazione dei corpi scaldanti, facilita gli imbrogli da parte di impiantisti compiacenti.

In pratica, se un idraulico poco equo, quindi affatto professionale, apre completamente la valvola della pompa di circolazione corrispondente all’inquilino suo committente, mentre abusivamente regola a metà l’apertura di quella corrispondente agli altri appartamenti, succede che le pompe di questi ultimi devono funzionare più ore per convogliare la quantità di calore necessaria a soddisfare il bisogno termico. Orbene, poiché la ripartizione della spesa di combustibile è proporzionale alle ore di accensione, in altri termini, succede che negli appartamenti regolati con una portata ridotta anche se le valvole dei radiatori delle stanze inutilizzate vengono impostate come spente (mediante un cronotermostato programmabile) il consumo di riscaldamento non è equo in quanto viene computato a favore dell’inquilino che mantiene acceso per meno tempo l’impianto. Nei vecchi impianti centralizzati, l’iniqua ripartizione non necessariamente deve essere frutto di un’azione truffaldina: in genere l’unità immobiliare collocata più vicino alla caldaia, avendo minore caduta di pressione e anche minore superficie disperdente (tubazioni relativamente corte) richiederà meno ore di funzionamento delle pompe di circolazione, a parità di calore consumato.         

Ricadute economiche e sociali della contabilizzazione e termoregolazione del calore negli edifici            

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Retrofit energetico della fibra di vetro: il pannello per facciata che riscalda

I consumi energetici di un edificio rappresentano un tasto dolente per molti architetti che, nell’ultimo periodo, si stanno impegnando sempre di più sullo sviluppo del tema, studiando sistemi in grado di contenere il dispendio energetico e di far del bene non soltanto a chi utilizza l’edificio, ma anche al pianeta.

È questa la filosofia che ha guidato un team di ricercatori spagnoli a proporre un prototipo di facciata prefabbricata in fibra di vetro in grado di sfruttare al massimo l’energia solare, assorbendola e rilasciandola all’interno per il riscaldamento degli ambienti, e di isolare perfettamente l’edificio dal punto di vista termico.

PANNELLI IN IDROCERAMICA AUTORAFFRESCANTI

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L’idea ha preso il via da un report diffuso dalla ONG The Climate Group, secondo la quale gli sprechi energetici degli edifici sono destinati a raggiungere il 45% entro il 2025 (il periodo di riferimento parte dal 2002). 

Questo dato potrebbe non diventare realtà proprio grazie all’applicazione della facciata Made in Spain che, pur non essendo accessibile a tutti i portafogli, offrirebbe, sul lungo periodo, l’opportunità di portare ad una notevole riduzione dei dispendi energetici e, di conseguenza, economici.

Il prototipo è stato realizzato dalla Divisione Costruzioni Sostenibili del Centro di ricerca Tecnalia di San Sebastian. Il pannello prefabbricato è stato ottenuto da una miscela di fibra di vetro e leganti organici e si è deciso di applicare il “modello pilota” su un edificio di Merida.

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Verifiche e caratteristiche del pannello per facciata 

I test a cui la parete in fibra di vetro è stata sottoposta per la verifica delle sue prestazioni si sono orientati in tre direzioni principali: resistenza al fuoco, resistenza ad acqua e vento, isolamento termico e isolamento acustico.

L’esperimento eseguito per valutare il livello di resistenza al fuoco del pannello è stato quello che, più di ogni altro, ha preoccupato i ricercatori, come ha rivelato l’archietto Julen Larraz Astudillo. Il motivo? Proprio il punto di forza del pannello: i materiali che lo compongono, la fibra di vetro e i leganti organici. In realtà il test ha dato risultati più che soddisfacenti, permettendo ai ricercatori di spuntare questo esperimento sulla checklist, annotando valori perfettamente in linea con gli standard dettati dall’Unione Europea.

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La resistenza all’acqua è stata verificata attraverso il controllo della tenuta delle unità tecnologiche. I risultati hanno portato alla conclusione che la parete funziona se l’acqua piovana non entra in contatto con il lato interno, posizionato proprio dietro le unità tecnologiche. Nel caso in cui si verificasse questa condizione, infatti, il sistema potrebbe essere facilmente affetto da deterioramento. La resistenza rispetto alla forza del vento, di contro, sembrerebbe essere molto alta: la facciata è in grado di sopportare una pressione di circa 305 kg/mq senza presentare alcun segno di cedimento. Sicuramente rappresenta un ottimo riparo in caso di forte vento.

Ma arriviamo all’aspetto più interessante in termini energetici: l’isolamento termico. Il fatto che il pannello sia collegato al prospetto originale dell’edificio attraverso dei fori aveva fatto pensare, in un primo momento, alla presenza di “spifferi”, piccoli spazi in grado di far passare l’aria all’interno. Va da sé che, se gli esperimenti avessero lasciato emergere un tale risultato, il nuovo pannello sarebbe stato considerato totalmente fallimentare, dal momento che l’idea è nata proprio con l’intento di contenere il dispendio energetico. E se il calore accumulato attraverso l’irraggiamento solare viene “contrastato” dall’aria che entra dall’esterno dell’edificio è evidente che non si è cavato un ragno dal buco. In verità i test non solo non hanno rilevato difetti dal punto di vista dell’isolamento termico, ma neppure sotto il profilo acustico. I fori, in altre parole, non lasciano passare né aria né suoni.

Dopo lo studio accurato e le verifiche meticolose effettuate i ricercatori spagnoli si augurano che, pur non essendo economicamente appetibile e industrialmente riproducibile in modo agevole, il sistema brevettato possa rappresentare un primo passo verso il futuro, una novità nel campo del risparmio energetico in architettura. 

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Il centro sociale in tessuto e cemento costruito dalle donne cambogiane

Costruire insieme alla gente comune, alla popolazione in difficoltà, a chi si renda disponibile al co-working anche nel campo dell’edilizia si può, almeno secondo gli architetti dell’Orkidstudio e di StructureMode.

La prima è un’organizzazione umanitaria che si occupa di design e di architettura focalizzandosi in modo particolare sui benefici che si possono apportare alla vita dei bambini e delle comunità che vivono in condizioni di povertà e di profondo disagio fisico e sociale. Secondo Orkidstudio, infatti, nuove tecniche costruttive possono costituire la strada da perseguire per colmare il profondo divario che separa la nostra civiltà da quei popoli ancora impegnati a combattere contro la fame.

Structure Mode, invece, è una società di ingegneria che ha fatto della sperimentazione nel campo delle costruzioni la sua ragione di vita. Il campo d’azione di questa associazione varia dal ferro al cemento, dal legno al vetro. I materiali vengono di volta in volta declinati in modo tale da dare vita a prodotti innovativi e decisamente proiettati su un futuro in cui la tecnologia avanza, ma i costi diminuiscono.

ARCHITETTURA PER LE DONNE: UN CENTRO DI ACCOGLIENZA PER LE VITTIME DI VIOLENZA DOMESTICA

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Il centro sociale costruito dalle donne cambogiane

Il palcoscenico su cui le due organizzazioni si sono esibite, coinvolgendo nella “recita” anche la popolazione femminile locale è la Cambogia. Il tema? Costruire un centro sociale urbano nel cuore della città di Sihanoukville. Il materiale? Strano ma vero, il cemento.

L’edificio, infatti, è stato realizzato attraverso dei getti di calcestruzzo contenuti da una particolare cassaforma: uno stampo in tessuto leggero.

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Ad uno scheletro in legno sono stati fissati degli ampi teli in tessuto e, al loro interno, è stato rilasciato il getto di calcestruzzo. Una tecnica semplice nella realizzazione, ma altamente complessa nello studio della struttura che ne sarebbe derivata. Il compito di analizzare la costruzione è spettato agli ingegneri di Structure Mode, che si sono serviti di prove fisiche in laboratorio oltre che di appositi software al computer, come Oasys GSA Suite.

Gli schizzi tridimensionali e la collaborazione con un attivo team di sarte ha permesso di individuare la forma che avrebbe concesso la realizzazione dell’edificio progettato e di quantificare i tempi necessari all’edificazione, corrispondenti ad appena otto settimane.

Il nuovo centro comunitario sorge nel punto in cui si trovava il Bomnong L’Or, una struttura che, nel cuore di Sihanoukville, ha sempre fornito assistenza e sostegno alla popolazione locale, impegnandosi nell’alfabetizzazione dei bambini e nella definizione di spazi multiuso per gli adulti. Il sovraffollamento del centro, tuttavia, lo aveva reso un luogo non propriamente adatto allo svolgimento delle attività lavorative, oltre al fatto che le condizioni di illuminazione e di ventilazione risultavano poco efficienti.

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L’edificio costruito insieme alle donne cambogiane segue la tipologia delle palafitte, sistema costruttivo locale. Al posto del legno, però, la struttura è caratterizzata da cemento e tessuto. Utilizzare il legno, infatti, avrebbe precluso al progetto di rientrare nell’ambito della “sostenibilità”, in quanto il materiale, nella zona, proviene principalmente da disboscamento privo di controllo.

Il centro presenta le aule per l’insegnamento e l’apprendimento al piano superiore e una serie di spazi aperti dove i bambini, principali destinatari del progetto, hanno la possibilità di relazionarsi tra di loro e di dedicarsi ad attività ricreative. Al suo interno trovano spazio anche una sala computer, uffici amministrativi e locali di servizio.

L’orientamento della struttura è stato studiato per permetterle di sfruttare i venti stagionali provenienti dal Golfo della Thailandia. Le ampie coperture, invece, hanno come obiettivo quello di evitare il surriscaldamento degli ambienti a causa dell’intensa luce solare durante l’estate. Questa strategia rende l’edificio completamente passivo e rappresenta, nel panorama dell’architettura sostenibile, un esempio molto importante di costruzione di qualità a prezzi contenuti.

Uno dei meriti maggiori del progetto, la cui realizzazione si è conclusa nel settembre del 2015, è stato quello di mixare in un’unica soluzione tecniche costruttive tradizionali e materiali moderni. Si tratta di una vera e propria finestra aperta sul co-working, sulla collaborazione e sull’intenzione di creare insieme un posto migliore dove trascorrere il proprio tempo

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Accessori per la persona in legno: orologi e occhiali in materiali naturali

Un materiale naturale, in grado di rendere speciale qualsiasi accessorio e far sentire un po’ speciale anche chi lo indossa. Un materiale senza età, utilizzato da sempre e sempre più apprezzato.
Il legno conquista mercato. Nell’architettura come nel design di interni e nel settore moda.

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Se in architettura il legno è utilizzato prevalentemente per la realizzazione di strutture portanti e pannelli divisori e nel designi di interni per bellissimi pavimenti naturali, finiture, mobili e accessori per la casa, nel settore della moda negli ultimi anni ha trovato grande spazio negli accessori per la persona.

Indossare un accessorio in legno è un piacere non solo per il contatto indiretto che fornisce con la natura, ma anche per la piacevolezza al tatto, la sensazione di calore che dona e la sua leggerezza. Indiscutibile poi il fascino di un materiale naturale che fa di ogni accessorio un pezzo unico. Le venature del legno e le piccole imperfezioni della sua superficie sono infatti irripetibili. 

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Per questi ed altri motivi, sono tanti i marchi di moda che hanno scelto di integrare questo splendido materiale naturale nelle proprie collezioni, progettando inserti in legno per borse, cinture e gioielli. Chi si è spinto oltre ha preferito utilizzarlo assoluto, per accessori che, al contrario contengano inserti in altri materiali come vetro e metallo.

È il caso di Zalando, che propone una collezione di orologi con struttura interamente in legno e una collezione di occhiali da sole con inserti metallici. Le essenze utilizzate vanno dal legno chiaro dell’acero a quello scuro dell’ebano, passando per le tonalità intermedie del palissandro. 

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Gli orologi da polso proposti, analogici con movimento al quarzo, hanno una linea molto semplice. Ce ne sono di unisex, da uomo o da donna, con qudranti tondi o più squadrati, bianchi o più scuri. Il vetro di zaffiro, a prova di graffio, protegge l’orologio da urti ed umidità. Il fatto che il legno sia un materiale che può essere lavorato con facilità e sottoposto a tecniche di lavorazione diverse come l’incisione, la serigrafia, la stampa a caldo, l’incisione laser, rende questi orologi particolarmente curati in ogni dettaglio. Gli occhiali da sole, particolarmente leggeri e comodi da indossare, come gli orologi rappresentano un pezzo unico, con venature e sfumature irripetibili.

Articolo sponsorizzato.

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