Stonethica: la pietra composta al 99% da scarti di lavorazione del marmo

Quello degli scarti di lavorazione del marmo è un problema sempre più stringente: l’attività estrattiva raggiunge numeri elevatissimi in tutto il mondo. A confermarlo è il ventottesimo rapporto annuale pubblicato da MarmoNews, per cui sono  300 milioni le tonnellate di marmo estratte nel solo 2015. Tale documento pone particolare accento sulla questione del riutilizzo degli scarti di lavorazione della pietra naturale definendola

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Un tessuto innovativo a base di latte

Negli anni ’30 alcune industrie tessili italiane ed americane utilizzavano le fibre di latte per aumentare le qualità elastiche di lana e cotone. Un processo poi abbandonato perché definito “troppo carico” chimicamente. Oggi, le conoscenze della biologa e fashion designer Anke Domaske hanno permesso di riscoprire questo processo per rinnovarlo al fine di renderlo rispettoso dell’ambiente inventando un innovativo tessuto.

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Il materiale più leggero del mondo: il Boeing Microlattice

Gli UMMs – Ultralight Metallic Microlattices (microreticoli metallici ultraleggeri) sono dei materiali artificiali strutturati in forma di schiuma metallica, con peculiari proprietà elettromagnetiche, le cui caratteristiche macroscopiche non dipendono esclusivamente dalla loro struttura molecolare ma anche dalla loro geometria realizzativa. Per diversi anni la Boeing, la più grande azienda statunitense costruttrice di aeromobili nonché la maggiore azienda del settore aerospaziale, in una joint venture con HRL Laboratories, società dell’avanguardia tecnologica che conduce numerose ricerche pionieristiche per soluzioni tecnologiche innovative, riconosciuta come leader nel campo delle scienze fisiche ed ingegneristiche, ha sviluppato Boeing Microlattice, un materiale innovativo estremamente leggero che possa essere usato nel prossimo futuro per alcune componenti degli aeroplani. 

SCHIUME ULTRALEGGERE E ISOLANTI DALLA NANOCELLULOSA

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La struttura del materiale più leggero al mondo

Nonostante sia un metallo e abbia una resistenza assimilabile a quella del titanio, il materiale è circa 100 volte più leggero del polistirene estruso-espanso (XPS) utilizzato per l’isolamento termico degli edifici. Il reticolo del Boeing Microlattice è composto per il 99,9% di aria e pertanto le sue proprietà dipendono dalla sua struttura piuttosto che dalla sua composizione chimica, analogamente per tutti i cosiddetti metamateriali. La densità del reticolo è pertanto di circa 0,9 milligrammi per centimetro cubo, caratteristica che ne fa il materiale più leggero del mondo, inferiore anche dell’aerogel, con densità pari a 1 mg per centimetro cubo.

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Il segreto dell’estrema leggerezza del Boeing Microlattice è nella struttura tridimensionale a celle aperte, composta da una fitta struttura periodica di nanotubi metallici cavi, ottenuta da una matrice polimerica. Le strutture tubolari hanno diametri di circa 100 μm, con spessori metallici di circa 500nm. Nel video di presentazione del materiale, Sophia Yang, scienziata ricercatrice che lavora per HRL Laboratories, assimila il polimero innovativo alla struttura ossea: esternamente molto rigida è anch’essa cava nella parte centrale risultando molto resistente ma allo stesso tempo leggera.

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Possibili applicazioni del Boeing Microlattice

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La Boeing sta ovviamente ricercando le possibili applicazioni del materiale nel campo aeronautico e spaziale: sostituendo alcune parti metalliche (pannelli laterali, cappelliere, pannelli di pavimentazione) con questo materiale, gli aerei sarebbero più leggeri e, considerando l’efficienza energetica, risparmierebbero una grande quantità di carburante, senza considerare che l’elasticità del materiale sarebbe senz’altro d’aiuto all’assorbimento termico e acustico in fase di volo. Essendo poi HRL Laboratories in parte di proprietà di GM – General Motors, è probabile che gli scienziati stiano anche valutando l’applicazione del Microlattice con vantaggi di leggerezza e consumi, assimilabili a quelli descritti per gli aeromobili, anche per alcune componenti delle automobili.

La sua facilità di trasporto e manipolazione renderebbe il materiale adatto anche per numerose applicazioni nel campo dell’architettura. Considerandone le caratteristiche fisiche, del tutto inconsuete per un metallo, corrispondenti principalmente ad una straordinaria leggerezza, ad una elevata comprimibilità e memoria di forma rispetto a intense compressioni del volume iniziale – quindi elevata capacità di assorbimento dell’energia meccanica –, se ne potrebbe prendere in considerazione l’utilizzo come isolante termico oltre che come materiale per l’assorbimento e l’isolamento acustico. Assorbimento che potrebbe riguardare anche urti e shock meccanici prefigurandone l’impiego in pavimentazioni tecniche flottanti e pannellature.

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Retrofit energetico della fibra di vetro: il pannello per facciata che riscalda

I consumi energetici di un edificio rappresentano un tasto dolente per molti architetti che, nell’ultimo periodo, si stanno impegnando sempre di più sullo sviluppo del tema, studiando sistemi in grado di contenere il dispendio energetico e di far del bene non soltanto a chi utilizza l’edificio, ma anche al pianeta.

È questa la filosofia che ha guidato un team di ricercatori spagnoli a proporre un prototipo di facciata prefabbricata in fibra di vetro in grado di sfruttare al massimo l’energia solare, assorbendola e rilasciandola all’interno per il riscaldamento degli ambienti, e di isolare perfettamente l’edificio dal punto di vista termico.

PANNELLI IN IDROCERAMICA AUTORAFFRESCANTI

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L’idea ha preso il via da un report diffuso dalla ONG The Climate Group, secondo la quale gli sprechi energetici degli edifici sono destinati a raggiungere il 45% entro il 2025 (il periodo di riferimento parte dal 2002). 

Questo dato potrebbe non diventare realtà proprio grazie all’applicazione della facciata Made in Spain che, pur non essendo accessibile a tutti i portafogli, offrirebbe, sul lungo periodo, l’opportunità di portare ad una notevole riduzione dei dispendi energetici e, di conseguenza, economici.

Il prototipo è stato realizzato dalla Divisione Costruzioni Sostenibili del Centro di ricerca Tecnalia di San Sebastian. Il pannello prefabbricato è stato ottenuto da una miscela di fibra di vetro e leganti organici e si è deciso di applicare il “modello pilota” su un edificio di Merida.

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Verifiche e caratteristiche del pannello per facciata 

I test a cui la parete in fibra di vetro è stata sottoposta per la verifica delle sue prestazioni si sono orientati in tre direzioni principali: resistenza al fuoco, resistenza ad acqua e vento, isolamento termico e isolamento acustico.

L’esperimento eseguito per valutare il livello di resistenza al fuoco del pannello è stato quello che, più di ogni altro, ha preoccupato i ricercatori, come ha rivelato l’archietto Julen Larraz Astudillo. Il motivo? Proprio il punto di forza del pannello: i materiali che lo compongono, la fibra di vetro e i leganti organici. In realtà il test ha dato risultati più che soddisfacenti, permettendo ai ricercatori di spuntare questo esperimento sulla checklist, annotando valori perfettamente in linea con gli standard dettati dall’Unione Europea.

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La resistenza all’acqua è stata verificata attraverso il controllo della tenuta delle unità tecnologiche. I risultati hanno portato alla conclusione che la parete funziona se l’acqua piovana non entra in contatto con il lato interno, posizionato proprio dietro le unità tecnologiche. Nel caso in cui si verificasse questa condizione, infatti, il sistema potrebbe essere facilmente affetto da deterioramento. La resistenza rispetto alla forza del vento, di contro, sembrerebbe essere molto alta: la facciata è in grado di sopportare una pressione di circa 305 kg/mq senza presentare alcun segno di cedimento. Sicuramente rappresenta un ottimo riparo in caso di forte vento.

Ma arriviamo all’aspetto più interessante in termini energetici: l’isolamento termico. Il fatto che il pannello sia collegato al prospetto originale dell’edificio attraverso dei fori aveva fatto pensare, in un primo momento, alla presenza di “spifferi”, piccoli spazi in grado di far passare l’aria all’interno. Va da sé che, se gli esperimenti avessero lasciato emergere un tale risultato, il nuovo pannello sarebbe stato considerato totalmente fallimentare, dal momento che l’idea è nata proprio con l’intento di contenere il dispendio energetico. E se il calore accumulato attraverso l’irraggiamento solare viene “contrastato” dall’aria che entra dall’esterno dell’edificio è evidente che non si è cavato un ragno dal buco. In verità i test non solo non hanno rilevato difetti dal punto di vista dell’isolamento termico, ma neppure sotto il profilo acustico. I fori, in altre parole, non lasciano passare né aria né suoni.

Dopo lo studio accurato e le verifiche meticolose effettuate i ricercatori spagnoli si augurano che, pur non essendo economicamente appetibile e industrialmente riproducibile in modo agevole, il sistema brevettato possa rappresentare un primo passo verso il futuro, una novità nel campo del risparmio energetico in architettura. 

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Fotocatalisi: lampade LED purificano l’aria

La necessità di vivere in un ambiente più pulito e salubre esorta, ormai da tempo, i ricercatori a pensare ad un uso ecocompatibile della luce e del sole e ad indagare, nell’ambito della fotochimica applicata ai materiali da costruzione, nuove strategie per ridurre l’inquinamento ambientale. Negli ultimi anni l’interesse scientifico e tecnico per le applicazioni della fotocatalisi è aumentato in misura considerevole, fino ad approdare alle lampade con tecnologia LED per purificare l’aria.

LA FOTOCATALISI PER PURIFICARE L’ARIA

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Cos’è la fotocatalisi

Akira Fujishima dell’università di Tokio nel 1990 è stata la prima ad osservare che una pellicola di biossido di titanio sotto l’azione della luce del sole azionava un processo di fotocatalisi.

La fotosintesi clorofilliana delle piante è un tipico esempio di fotocatalisi. A differenza della fotosintesi, in cui la clorofilla cattura la luce solare per trasformare acqua e anidride carbonica in ossigeno e glucosio, la fotocatalisi (in presenza di un catalizzatore e di luce) genera un agente ossidante in grado di trasformare le sostanze organiche presenti nell’aria in anidride carbonica e sali (nitrati di sodio e di calcio).

È un processo che già avviene in natura ma che la fotocatalisi accelera. I sali che si depositano al suolo vengono rimossi dal vento e dalla pioggia, mentre l’anidride carbonica si disperde nell’atmosfera.

Il fotocatalizzatore in questo caso è il biossido di titanio (TiO2) che, irraggiato dalla luce solare o da una lampada a raggi UV sulla lunghezza d’onda 400-315 nm, assorbe l’energia portata da un fotone e scatena la reazione che decompone le sostanze inquinanti organiche ed inorganiche presenti nell’aria sottoposta al processo. Il meccanismo con cui i materiali come il biossido di titanio trasferiscono l’energia assorbita dalla luce ad altre sostanze poste nelle loro immediate vicinanze consiste nella donazione di elettroni. Il titanio non interviene nella reazione fotocatalitica, la favorisce soltanto prestando i suoi elettroni che successivamente riacquista dall’ambiente. Quindi non si consuma. Il biossido di titanio si comporta solo come accettore di elettroni. 

Applicazioni tradizionali della fotocatalisi

Sono stati concepiti depuratori d’aria di diverse dimensioni, da quelli per uso domestico a sistemi di ventilazione per trafori. Un’altra applicazione è quella di rivestire i materiali da costruzione con fotocatalizzatori per rimuovere gli agenti inquinanti dalle strutture. Questo metodo che può essere chiamato “passive air purification”. L’obiettivo principale è la riduzione dei livelli di ossido di azoto (gas NOx) che oltre a creare problemi respiratori, contribuisce alla formazione dello smog e delle piogge acide. I prodotti fotocatalitici in grado di abbattere l’inquinamento atmosferico rientrano nelle “Linee Guida per l’utilizzo di sistemi innovativi finalizzati alla prevenzione e riduzione dell’inquinamento ambientale” indicate dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio con decreto ministeriale del 1 aprile 2004 in attuazione della legge 16 gennaio 2004 n. 045. Secondo il CodiceST001 sono materiali fotocatalitici: “malte, pavimentazioni, pitture, intonaci e rivestimenti contenenti sostanze fotocatalitiche con biossido di titanio per la riduzione di ossidi di azoto, VOC, batteri e di altri inquinanti atmosferici”.

L’efficacia della reazione fotocatalitica è massima durante il giorno e minima nelle ore di oscurità, tranne nel caso di utilizzo di lampade a raggi UV che garantiscono quindi una stessa efficacia. Pertanto, una tipica applicazione di materiali fotocatalitici è quella di usare lampade UV per purificare l’aria. I raggi UV, tuttavia, sono anche conosciuti per i loro effetti a lungo tempo nocivi per gli essere viventi, responsabili di danni alla salute ed in particolare alla pelle.

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Applicazione delle lampade LED nel processo fotocatalitico

A differenza degli altri sistemi di illuminazione tradizionali con uno spettro continuo in cui sono presenti contemporaneamente tante frequenze cromatiche, il LED ha una sola frequenza e produce un fascio luminoso assolutamente privo di raggi infrarossi e ultravioletti. Oltre ai vantaggi in termini di risparmio energetico, durata e di sostituzione/manutenzione derivanti dal sistema di illuminazione LED, queste lampade sono utilizzate per purificare l’aria attraverso il processo di fotocatalisi, sostituendo la tecnologia tradizionale attivata dai raggi UV. Il catalizzatore, infatti, si attiva con luce visibile.

L’attività di purificazione avviene durante tutto il tempo di accensione, grazie al trattamento della lampada con una nanotecnologia, frutto di ricerca e innovazione. La luce attiva il processo di fotocatalisi che permette alle molecole di triossido di tungsteno (WO3) di generare i Reactive Oxygen Species, capaci di decomporre gli odori sgradevoli (derivanti, ad esempio, da cucina o bagno), gas e vapori inquinanti (come la formaldeide), ma anche di distruggere virus, germi e batteri. Il Triossido di Tungsteno è più efficace di qualsiasi altro agente antibatterico (e di altri materiali fotocatalitici come il biossido di titanio che reagiscono principalmente ai raggi UV). Queste innovative lampade LED, quindi, illuminano gli ambienti svolgendo contemporaneamente le funzioni appena citate.

Tra i vantaggi nell’utilizzo della tecnologia LED durante il processo fotocatalico il primo e più interessante è senz’altro il fatto che il catalizzatore, ovvero il triossido di tungsteno, non si attiva con i raggi UV; la reazione, come detto all’inizio, non consuma il catalizzatore che ricopre la superficie della lampada, quindi non c’è bisogno di nessuna manutenzione o sostituzione del film; inoltre, non vengono rilasciati materiali inquinanti.

Questa innovazione nel campo dell’efficienza energetica e della sanificazione dell’aria trova diversi campi d’applicazione: strutture di cura, residenze per anziani, ambulatori pubblici e privati, scuole, hotel, ristoranti, mezzi di trasporto pubblico e tutti i luoghi in cui è presente un forte inquinamento indoor o si rende necessario garantire la salute e il benessere delle persone.

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La facciata che reagisce alla pioggia

Osservare i fenomeni naturali e gli organismi naturali è da sempre una fonte di ispirazione per artisti e architetti. Quesiti complessi trovano spesso semplici soluzioni, basta saper guardare con gli occhi giusti il mondo che ci circonda. Questo è quello che ha fatto Chao Chen, uno studente del Master in Product Design al Royal College of Arts di Londra, che si è lasciato ispirare dal meccanismo di reazione delle pigne sotto la pioggia per realizzare una facciata biomimetica.

FACCIATE VIVENTI: LO SCHERMO DINAMICO PENUMBRA

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L’acqua è fondamentale per l’uomo e per la Terra, ma per gli edifici e gli architetti la pioggia rappresenta forse il nemico numero uno, ma un’attenta progettazione può sovvertire il problema acqua piovana e permettere di sfruttarla a proprio favore, recuperandola e riutilizzandola, o può dar vita a sistemi innovativi molto interessanti.

Lasciarsi ispirare dalla natura

Passeggiando ad Hyde Park, in una giornata piovosa londinese, Chao Chen ha osservato che le pigne a contatto con le gocce di pioggia allungavano il loro guscio esterno per proteggere i loro semi. Incuriosito decide di osservare con più attenzione come è fatta una pigna: sezionandola si accorge che è composta di due gusci, uno interno ed uno esterno, il primo si allunga oltre il secondo strato, in modo da impedire che i semi vengano a contatto con l’acqua piovana.

“Questo fenomeno naturale– dice Chao Chen- mi ha portato a uno studio sulla scienza del bio-mimetismo e mi ha ispirato nell’ideazione di un materiale laminato che reagisce con l’acqua.”

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Sfruttando le proprietà del materiale, è riuscito a realizzare una superficie biomimetica che a seconda del grado di umidità dell’aria muta la sua forma naturalmente, senza l’utilizzo di sistemi elettronici o strutture meccaniche. Questo è possibile perché le fibre si espandono a contatto con l’acqua distendendosi, cosicché ne risulta una superficie che allungandosi o incurvandosi si apre e si chiude a seconda della pioggia.

Questo materiale è stato studiato per diversi contesti, di tipo agricolo e di tipo architettonico: utilizzando una lamina di materiale nel suolo, è possibile capirne il grado di umidità, così come è possibile creare una superficie che cambia colore a contatto con l’acqua, o creare una superficie dinamica che si apre e si chiude per impedire all’acqua di entrare all’interno di un edificio.

  • Indicatore per il giardinaggio – Una lamina di materiale composta da un lato color rosa e uno azzurro, utilizzata nei vasi o nella terra, permette di rilevare il grado di umidità del suolo, è così possibile capire quando annaffiare le piante. Quando la terra è secca il materiale si alza mostrando il lato rosa, mentre quando la terra è umida il materiale si curva mostrando il lato azzurro.
  • Pensilina che reagisce alla pioggia – Una seconda applicazione è quella ideata per una pensilina intelligente composta da lamelle che si chiudono a contatto con l’acqua per impedire agli utenti di bagnarsi, nelle giornate di sole le lamelle sono invece aperte in modo da far passare la luce naturale filtrata da queste finte foglie, che fungono da schermatura, si avrà così l’impressione di essere sotto un albero.
  • Superficie architettonica che reagisce alla pioggia 

caption: L'indicatore per il giardinaggio

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caption: La pensilina che reagisce alla pioggia

Questo terzo prototipo, della superficie architettonica che reagisce alla pioggia, è pensato per l’involucro degli edifici, una superficie composta da elementi romboidali uniti tra loro attorno a dei perni, un po’ come fossero i petali di un fiore. Questi elementi sono liberi di curvarsi e di distendersi: nelle giornate di pioggia la superficie risulterà compatta e chiusa, mentre nelle giornate di sole questi elementi si incurvano e lasciano passare le radiazioni solari all’interno degli ambienti.

Essendo pensato per città molto piovose e grigie, il materiale è di tonalità chiare, per dare più luminosità alle facciate e rendere più piacevoli le giornate uggiose. Chen sta continuando a sviluppare questi prototipi, prima di poter essere messi sul mercato è necessario infatti verificare la resistenza del materiale ai venti o il numero di volte in cui può rimanere a contatto con l’acqua.

Un’idea brillante che unisce la funzionalità all’estetica. Non ci resta che aspettare di vederli applicati in un edificio!

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Il mattone che filtra l’inquinamento

Quando pensiamo all’inquinamento, inconsciamente la mente proietta tutto all’esterno, alle strade trafficate, alle piazze, quasi a volersi difendere, credendo che le pareti delle nostre abitazioni, degli uffici o delle scuole, possano proteggerci dagli agenti inquinanti. Pensare che l’aria interna sia priva di contaminazioni è un grave errore, per questo una ricercatrice ha ideato un mattone capace di filtrare l’inquinamento e proteggerci passivamente tra le pareti domestiche.

RISCHI PER LA SALUTE TRA LE MURA DI CASA

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Passiamo la maggior parte della nostra vita in ambienti chiusi, dove l’aria interna che respiriamo può essere più inquinata di quella esterna. Come è possibile? Gli elementi che formano gli edifici, come le pareti, i pavimenti e l’arredo assorbono e intrappolano in misura maggiore gli stessi agenti inquinanti presenti all’esterno. Questi ultimi si manifestano sotto forma di gas, goccioline, particelle (benzene, monossido di carbonio, ossido d’azoto, ozono, metalli pesanti ecc.), modificando la composizione naturale dell’aria e alterandone qualità e salubrità.

A questo inquinamento esterno (o outdoor) si aggiunge poi quello domestico (o inquinamento indoor), che risulta tra i principali fattori di rischio di malattie cardiovascolari e respiratorie. L’inquinamento domestico è frutto, quindi, della somma tra le sostanze nocive provenienti dall’esterno e quelle derivanti da: processi di combustione (stufe, fornelli); prodotti chimici per la pulizia e la manutenzione della casa (solventi, vernici); batteri che si annidano nei tessuti; fumo di sigaretta; apparecchi elettrici (computer, stampanti); e tanto altro ancora.

Il mattone che filtra le particelle nocive

Carmen Trudell, assistente professore di architettura al Cal Poly, California Polytechnic State University, Contea di San Luis Obispo, da anni conduce ricerche sulla qualità dell’aria nelle città. Pensando a suo fratello affetto da insufficienza renale, la Trudell ha una intuizione: cosa succederebbe se un edificio, come un organo, fosse in grado di filtrare le sostanze nocive e difendere le persone dall’inquinamento? mattone-innovazione-breathebrick-b

In collaborazione con gli studenti e il professore associato di Ingegneria ambientale Tracy Thacher, la ricercatrice giunge all’ideazione di un componente edilizio in grado di rappresentare un sistema passivo di filtrazione e funzionare senza energia elettrica, per consentirne l’uso nei Paesi in via di sviluppo.

Ispirato al funzionamento di un aspirapolvere, il Breathe Brick è, appunto, un mattone che aspira le particelle nocive dell’aria esterna.

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La forma e le prestazioni del mattone purificatore

Si tratta di un mattone in calcestruzzo poroso, dalla superficie sfaccettata, per indirizzare il flusso dell’aria nel sistema di ventilazione, con una cavità all’interno, per l’inserimento della struttura in acciaio.

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La parete di un edificio composta da questi mattoni speciali è formata da uno strato interno, realizzato secondo tecniche tradizionali o innovative, che fornisce l’isolamento standard, e da un doppio strato di breathe bricks, che crea una innovativa parete ventilata.

La presenza di accoppiatori di plastica riciclata, permette sia di apparecchiare correttamente i mattoni che di alloggiare la struttura di rinforzo. Al centro della doppia parete, si crea un circolo di filtrazione che separa le particelle inquinanti pesanti dell’aria, raccogliendole in una tramoggia rimovibile posta alla base del muro, da pulire regolarmente.

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L’aria così filtrata potrebbe alimentare un sistema HVAC o garantire solamente aria più pulita attraverso prese d’aria, nel caso in cui gli edifici siano sprovvisti di sistemi riscaldamento, ventilazione o condizionamento. Infatti, il breathe brick può funzionare sia con sistemi di ventilazione meccanica che passiva.

I test effettuati in galleria del vento, hanno dimostrato che, attraverso questi mattoni, è possibile filtrare il 30% di polveri sottili (come fumo o inquinanti atmosferici) e il 100% di particelle grossolane (come la polvere).

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La ceramica che accumula calore e lo rilascia su richiesta

L’Università di Tokyo ha annunciato di aver messo a punto una tecnologia in grado di accumulare energia termica per un lungo periodo e di rilasciarla in modo graduale grazie a una leggera pressione. Si tratta di Heat-storage ceramic, che in italiano si può tradurre come “ceramica ad accumulo di calore” ed è il brevetto di un team guidato dal Professore Ohkoshi della Facoltà di Scienze dell’Università di Tokyo

IL MURO AUTO-RAFFRESCANTE IN CERAMICA, IDROGEL E TESSUTO 

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caption: Schematizzazione grafica della corrente elettrica di 0,4  A  mm -2 che fluisce in seguito alla pressione prodotta sul materiale (www.nature.com)

La particolarità della ceramica ad accumulo di calore

Trattenere energia termica è una caratteristica di molti materiali, ma la particolarità di questa ceramica è che essa può immagazzinarla a lungo e rilasciarla solo su richiesta, come una batteria: basterà una leggera pressione su ciascun blocco per far si che l’energia venga rilasciata (appena 60 Mega Pascal). Oltre all’applicazione diretta di calore, l’energia termica può essere memorizzata facendo passare una corrente elettrica attraverso il materiale o irradiazione con la luce, consentendo l’assorbimento ripetuto e il rilascio di energia termica da una varietà di metodi.

caption: (a) Memorizza calore materiale energetico di 230 kJ/L mediante riscaldamento e rilascia l'energia da una pressione debole (60 MPa).

caption: La ceramica memorizza calore energia da varie fonti come (b) il flusso di corrente elettrica.

caption: (c) Memorizza energia da radiazione luminosa.

GLI IMPIEGHI DELLA CERAMICA AD ACCUMULO DI CALORE

Il materiale composto da atomi di titanio ed ossigeno potrebbe essere utilizzato, secondo gli studiosi, sia nei sistemi di produzione di energia solare sia per un uso efficiente dell’energia nei processi industriali. Le sue capacità termiche sono notevoli: esso può assorbire e rilasciare una quantità di energia pari a  230 kJ/L, pari a circa il 70% del calore latente di fusione dell’acqua.

Lo Stripe-tipo-lambda-trititanium-pentoxide che compone questa ceramica è un semplice ossido di titanio, costituito da numerosi elementi e rispettoso dell’ambiente poiché totalmente naturale. Questo materiale ceramico dovrebbe essere un nuovo candidato per l’impiego in sistemi di generazione di calore solari, in cui i paesi europei stanno investendo tantissimo, e anche per un uso efficiente nel settore della generazione di calore per uso industriale.

Questo materiale può anche essere utilizzato per dispositivi elettronici avanzati, quali fogli sensibili alla pressione, cuscinetti termici riutilizzabili, sensori di conducibilità sensibili alla pressione, resistenze tipo resistance random access memory  (ReRAM), e apparecchi con memoria ottica.

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