Un tetto giardino nel cuore di Brooklyn: Periscope House

Il periscopio è uno dispositivo ottico costituito da due specchi paralleli tra loro che, inclinati di 45 gradi, consentono ad un osservatore situato più in basso dell’obiettivo di esplorare l’intero orizzonte. Da tale strumento prende il nome la Periscope House (Casa Periscopio), l’a casa con tetto giardino a Brooklyn, che sfrutta lo stesso principio per godere, dall’interno dell’abitazione, del suggestivo panorama dello skyline di Manhattan.

In copertina: Foto © Frank Oudeman

TETTI GIARDINO:PIÙ VERDE NEL CAMPUS UNIVERSITARIO DI MELBOURNE

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Il progetto di uno dei primi tetti verdi di Slope Park

L’operazione effettuata dai progettisti di nARCHITECTS a Brooklyn per la Periscope House potrebbe sembrare una delle tante ristrutturazioni edilizie realizzate a New York. In realtà dietro la brownstone, la pietra scura tipica di molti edifici residenziali della Grande Mela, si nasconde uno dei primi tetti giardino realizzati nel quartiere di Slope Park.

L’intervento, commissionato dai Signori Wilson nel 2007, prevedeva la ristrutturazione e l’ampliamento di un appartamento articolato su 4 livelli; gli architetti lo hanno declinato in un progetto originale e sostenibile, in cui è il verde a fare da protagonista.

Gli ambienti principali della casa offrono infatti una spettacolare vista su “giardini intimi”: delle vere e proprie “stanze all’aperto” poste a quote differenti e connesse tra loro tramite una serie di scale.

caption: foto di © Frank Oudeman

Il tetto giardino

Fiore all’occhiello dell’intervento è il tetto giardino, realizzato in collaborazione con i paesaggisti del Future Green Studio. Il tetto verde è caratterizzato da un mix casuale di specie erbose tra cui piante alte, rampicanti, Sedum in fiore e tappezzanti. Si tratta per lo più di specie perenni e “rustiche”, ovvero in grado di resistere a basse temperature e con necessità di poca annaffiatura. Il mix di colori va dal rosso fuoco del nasutrizio (Tropaeolum speciosum, il “fiore fiamma”) al lilla e violetto dei cespugli di Aster, al rosa e bianco dei garofani fino al blu e grigio della festuca glauca. La maggior parte di queste specie fioriscono in estate ma una volta appassiti i petali, rimane comunque il verde del fogliame.

caption: foto di © 2016 Future Green Studio Corp.

Alla flora volutamente selvaggia del tetto si contrappone quella più ordinata e curata della texture del giardino al primo livello. Su di esso si affaccia una terrazza illuminata da luci a LED e protetta da parapetti in vetro colorato in cui le dense aiuole non interrompono la continuità della pavimentazione in deck.

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caption: foto di © Frank Oudeman

caption: In Immagine: A sinistra, foto di © Frank Oudeman; a destra foto di © 2016 FUTURE GREEN STUDIO CORP.

Gli interni della Periscope House si contraddistinguono per i colori chiari e il design pulito ed essenziale. Ciò è reso ancora più evidente dalla luce naturale che invade ogni angolo dell’abitazione, grazie alle nuove aperture vetrate. Tali bucature sono frutto di una progettazione attenta, in cui dimensione e posizione non vengono lasciate al caso. Lo scopo è fare in modo che, da qualsiasi stanza, durante la routine quotidiana, non venga mai perso il contatto visivo con le terrazze verdi sulle quali ciascun ambiente affaccia. Le finestre dello studio sono dunque poste a filo della scrivania mentre quelle della cucina si trovano a circa 50 cm dal pavimento, perfettamente allineate con le panche lignee che corrono lungo le due pareti perimetrali.

caption: foto di © Frank Oudeman

La scala periscopio per ammirare lo skyline di Manhattan

Cuore dell’intero progetto è la scala a giorno che conduce al tetto giardino; completamente in legno, emerge in copertura con un volume netto, a forma di prisma trapezoidale.

Il rame che riveste tale volume lascia spazio, sul alto est, al vetro colorato; qui un’ampia finestra consente alla luce del mattino di illuminare naturalmente la stanza sottostante.

Uno specchio, posto all’intradosso della copertura inclinata di 45 gradi, trasforma il corpo scala in un periscopio: guardando in alto, dai piedi della scala, è dunque possibile ammirare il fascino dei grattacieli di New York mentre, durante il tramonto, l’appartamento è inondato da una luce purpurea.

Spogliato della mera funzione di collegamento, un semplice connettivo verticale diventa un elemento architettonico a sé stante.

caption: foto di © Frank Oudeman

caption: foto di © Frank Oudemancaption: foto di © nARCHITECTS

Vivere in un appartamento senza rinunciare al verde è possibile, anche in una città come New York; la Periscope House ne è la prova.

L’operazione effettuata da nARCHITECTS a Slope Park a Brooklyn è inoltre la conferma di come ogni progetto, anche quello all’apparenza più semplice, può racchiudere in sé molteplici sfide; sta alla sensibilità del progettista saperle cogliere e soprattutto affrontarle libero da qualsiasi pregiudizio.

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Il bianco nell’architettura tradizionale mediterranea

Le bianche architetture affacciate sul Mediterraneo non sono lì solo per deliziare i nostri occhi. L’uso del bianco nella tradizione costruttiva mediterranea è infatti frutto di sperimentazioni e di un sapiente uso dei materiali locali che oggi distinguono uno stile architettonico ben preciso, rispondendo anche requisiti legati al comfort e alla vivibilità.

In seguito alla Rivoluzione Industriale e ancora di più al giorno d’oggi grazie alle tecnologie digitali, gli standard progettuali si sono evoluti, a volte sono completamente cambiati e, sfortunatamente, a causa delle esigenze di mercato e per bisogni legati al crescente sviluppo industriale e demografico, dopo il XX secolo, le città hanno perso molti dei propri connotati originari e con essi le proprie caratteristiche architettonico-urbanistiche.

In copertina: Ostuni

TETTI BIANCHI: LA TECNOLOGIA COOL ROOF PER RIDURRE LA TEMPERATURA

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Nell’ambito del bacino Mediterraneo tuttavia restano ancora evidenti quelle peculiarità stilistiche che nascono da esigenze ben precise. I materiali per eccellenza dello stile mediterraneo sono la pietra, il ferro battuto ed il legno. I colori invece sono il blu, in tutte le sue sfumature che arrivano sino all’azzurro chiaro che richiama il colore cristallino del mare, ed il bianco. Il bianco resta quello che primeggia nei paesaggi urbani ed extraurbani e che spicca tra il verde della campagna e i colori limpidi del cielo e delle coste del Mediterraneo.

La scelta del colore bianco in architettura non è casuale e tantomeno legata a semplici fattori estetici: esso è un colore che ha delle qualità ben specifiche.

Il perché dell’uso del bianco

Il bianco riflette i raggi solari più degli altri colori, che a loro volta riflettono di meno tanto quanto sono più tendenti al nero. Più la radiazione solare viene riflessa tanto minore è il calore che si accumula nell’ambiente interno.

Visto che nell’antichità le leggi della fisica non erano note ma ogni scoperta era fatta casualmente o in maniera empirica, le ragioni che condussero a prediligere il bianco in edilizia furono principalmente due:

  1. la facile reperibilità, il basso costo e la semplice lavorazione/posa in opera della materie prime di colore bianco a disposizione;
  2. l’aver scoperto, mediante il suo utilizzo, che il bianco riflette la radiazione solare e fa apparire più estesi gli spazi in cui è utilizzato.

caption: Il grassello di calce

Cenni storici sull’uso del bianco nell’architettura mediterranea 

Il motivo dell’antica tradizione di imbiancare gli edifici sta nel fatto che le materie prime sono ancora oggi facili da reperire a basso costo, ma la necessità un tempo era soprattutto quella di riflettere i raggi solari e assicurare agli ambienti ristretti dei vicoli e delle strade dei centri storici di impianto medievale, maggiore igiene e luminosità, grazie alla luce sia diretta che riflessa.

Fra i luoghi che ospitano edifici dell’architettura tradizionale mediterranea noti per il proprio colore bianco e per essere realizzati con materiali naturali e tecniche della tradizione edilizia locale ricordiamo:

  • Alberobello con i suoi trulli;
  • Ostuni, detta “la città bianca”;
  • Le città siciliane, come Trapani e Siracusa, e le piccole isole degli arcipelaghi siculi;
  • Santorini e Mykonos, in Grecia, con le loro tipiche casette ed i mulini a vento;
  • I cosiddetti “villaggi bianchi” dell’Andalusia in Spagna;
  • I villaggi croati in riva al mare. 

caption: Santorini

Materiali e prodotti di colore bianco nell’edilizia mediterranea

La calce spenta

La calce spenta (differente dalla cosiddetta calce viva per composizione chimica e perché utilizzata in edilizia) è un materiale che dona un colore candido alle superfici e che, oltre ad essere 100% naturale (parliamo di calce tradizionale senza additivi chimici) possiede molte proprietà utili alla conservazione dell’involucro edilizio e al miglioramento delle sue performance, come il fatto di essere impermeabilizzante e disinfettante. Inoltre la calce, essendo altamente traspirante, evita il formarsi di fenomeni di umidità.

Le pietre naturali bianche

Alcuni tipi di pietre naturali di colore bianco o comunque molto chiaro come la pietra di Lecce, la pietra di Trani, la pietra bianca di Siracusa (in dialetto locale pietra giuggiulena) per citarne alcune dell’arco mediterraneo italiano, oltre a quelle usate in Grecia, Spagna e Turchia, hanno la caratteristica di essere oltre che facilmente lavorabili anche utili ad innescare processi bioclimatici all’interno degli edifici se collocate opportunamente come rivestimenti sia esterni che interni.

caption: Il ciclo della calce

Le tende bianche

L’uso di tendaggi e di sistemi di oscuramento dal colore candido sono ancora oggi utilizzati se pure con alcune varianti moderne rispetto a quelle della tradizione: molti forse non sanno che collocare una tenda per proteggersi dalla radiazione solare all’esterno dell’infisso è la scelta giusta per impedire che la radiazione solare -e quindi il caldo- penetri all’interno dell’immobile. Mettere una tenda dalla parte interna della facciata serve solo a proteggere dalla luce poiché il calore sarà penetrato dalla vetrata senza ostacolo! 

caption: Schermature solari e risparmio energetico

Col tempo l’uso dei tendaggi, soprattutto nelle costruzioni moderne, è stato soppiantato da tecnologie più evolute e più pratiche dal punto di vista della manutenibilità: parliamo dei vetri rivestiti da pellicole e con schermature solari integrate nella vetrata dell’infisso che assolvono le stesse funzioni di isolamento dall’irraggiamento eccessivo con il vantaggio di non ingombrare, di non dover essere lavati e di non dover essere sostituiti per usura come i tessuti di una tenda tradizionale.

caption: Controllo della radiazione solare

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Il ristorante sociale progettato per l’inserimento lavorativo dei disabili

Il design e l’architettura sono “arti sociali”, in cui immaginare spazi, colori, ambienti vuol dire conoscere le persone che vivranno quegli spazi, ed il modo in cui li vivranno. Quando spazi, attività e persone sono in sinergia, quello che accade è magico e forte. Inevitabilmente. In Puglia, a San Vito dei Normanni, un paese dell’Alto Salento, è successo qualcosa di simile. In un ex stabilimento enologico è stato realizzato XFood, il primo ristorante sociale che prevede l’inserimento lavorativo di ragazzi disabili. 

DISABILI: COME PROGETTARE L’ACCESSIBILITÀ

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Il ristorante sociale e l’inserimento lavorativo dei disabili

All’interno di un grande contenitore urbano che è Ex Fadda (Laboratorio urbano nato dalla politica della Regione Puglia all’interno di un ex stabilimento enologico), è stato realizzato un ristorante speciale. Il suo nome è “XFood: qualcosa di diverso” e si tratta del primo ristorante sociale della Regione, in cui si porta avanti un importante progetto di inclusione sociale, dove la disabilità è intesa come risorsa.
Il progetto ha infatti permesso il coinvolgimento e l’inserimento lavorativo di sedici ragazzi disabili. C’è da occuparsi della cucina, della sala, e anche dell’orto!

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In un contesto così ricco e speciale, in cui il valore sociale e di comunità acquistano un posto di rilievo, l’architettura e le scelte progettuali hanno finalmente la possibilità di tornare a raccontare quello che hanno sempre fatto: il legame tra lo spazio, le attività e le persone diventa indissociabile, e soprattutto percepibile.
Il risultato del progetto di XFood è speciale per questo. Manifesta un aspetto fortemente emozionale.

L’esperienza del ristorante sociale

Oltre al tema dell’accessibilità per i disabili e al loro inserimento lavorativo, un’altra cosa che colpisce, avvicinandosi all’ingresso, sono le luci: tante, luminose, calde; quasi a indicare un luogo di festa e di gioia. Le luci sono luminarie (quelle tipiche delle feste patronali del Sud Italia) ricomposte secondo un design moderno.

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Il primo tema che si evidenzia nel ristorante è proprio quello di una forte integrazione tra la tradizione -il passato, la memoria (spesso associati ai tempi in cui la collettività era un valore ed una “pratica” attiva e ordinaria)- e l’innovazione (tipicamente evidenziata da un design contemporaneo: un vero e proprio riuso di questo tipo di luci). Di fatto già l’utilizzo delle luminarie come illuminazione interna di un ambiente costituisce una novità rispetto al loro utilizzo abituale.

Una volta dentro il ristorante un altro aspetto attira la nostra attenzione: tutti gli arredi presenti all’interno, dai tavoli alle sedie e persino posate e stoviglie, sono diversi tra loro. Ogni oggetto del ristorante è unico, esclusivo: trovati nei mercatini, recuperati dalla casa della nonna o ancora ridisegnati. Ciascun oggetto ha una storia e una provenienza differente. Ma è nell’essere insieme a tutti gli altri oggetti e sedie e tavoli -tutti diversi tra loro- che ogni singolarità acquista valore.

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Il concetto espresso da questa scelta progettuale è basilare e diventa potente in funzione delle attività e della vita che si compiono in quello spazio.

L’esempio del ristorante sociale XFood è importante perché permette di vedere come delle valide scelte progettuali, sicuramente sostenibili (grazie ad una sapiente pratica del riuso) e funzionali, possano trovare realizzazione anche in piccoli contesti e “spazi minori”.

Il progetto, realizzato dalla designer Sara Mondaini, è stato inoltre selezionato dall’Osservatorio Permanente di Design ADI per concorrere al premio della prossima edizione del Compasso d’oro (il più antico e autorevole premio di design a livello mondiale) oltre ad essere pubblicato nell’annuario ADI Design Index 2015.

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Dai Show Theatre, il teatro cinese ispirato alle foglie di palma

Sembra un edificio su cui è stato adagiato uno dei classici cappellini cinesi a forma di tronco di cono con una base particolarmente schiacciata. Sarà per questo che in molti hanno interpretato la scelta progettuale fatta dallo studio Stufish Entertainment Architects per il Dai Show Theatre, realizzato a Xishuangbanna (Yunnan) in Cina come un omaggio alla cultura cinese. La pseudo-cupola scintillante quasi come l’oro, in realtà, non si riferisce al copricapo asiatico, ma piuttosto guarda alla natura per far entrare, nella struttura, la natura stessa sotto forma di vento e di luce. L’idea nasce dalla sovrapposizione di rami di palma ed è stata realizzata per garantire la ventilazione e l’illuminazione naturale degli ambienti interni al Dai Show.

TEATRI: A MONTPELLIER L’EDIFICIO ROSSO DAL CUORE VERDE

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Il progetto del Dai Show Theatre

Il Dai Show Theatre spicca per imponenza, magnificenza, ricchezza. Non è un caso che la copertura si ispiri, sì, ad un elemento naturale come le foglie di palma, ma risulti luccicante come lamine d’oro intrecciate e ripiegate per raggiungere la forma desiderata. 

L’edificio si sviluppa su una superficie di circa 20 mila mq ed è sormontato da una copertura con un raggio di circa 55 metri. Si presenta come un polo multifunzionale destinato ad attrarre quanti più turisti possibili con gli appartamenti, centri commerciali, negozi di vario genere, bar, alberghi e ristoranti che ne costituiscono l’anima. Al suo interno è presente anche un parco tematico, ideale per l’intrattenimento dei più piccoli.

Il cuore dell’edificio è il teatro, progettato dal team Stufish Entertainment Architects, il cui nome suggerisce chiaramente la loro propensione e specializzazione nella realizzazione di strutture dedicate all’intrattenimento. Si tratta di un ambiente con ben 1183 posti a sedere disposti ad anello intorno ad uno spazio destinato ad ospitare uno spettacoli permanenti di acrobazia acquatica.

La scala, di forma circolare, è divisa in tre settori, tutti affacciati sul palco centrale, anch’esso circolare. Alto 14 metri, ospita una piscina dal diametro di 8 metri, studiata per essere sollevata o fatta scomparire in base al tipo di spettacolo che si deve svolgere.

Al soffitto sono applicati dei dispositivi che permettono agli acrobati di fluttuare ad un’altezza di 9 metri dal palco, aggiungendo all’effetto scenografico della struttura anche quello dell’intrattenimento. In questo aspetto è evidente tutta l’abilità degli architetti che, contemporaneamente, si sono imposti anche come validi scenografi.

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La copertura come rami di palme incrociati

La copertura rappresenza senza dubbio l’aspetto più interessante dell’intera progettazione, sia perchè è l’elemento più evidente, a causa dell’aspetto scintillante, sia per il concetto che si nasconde dietro la sua progettazione. Immerso in uno splendido contesto naturalistico, infatti, il Dai Show Theatre è circondato da alberi di diverse specie ma, su questi, ne prevale uno: la palma. È per questo motivo che gli architetti, nell’elaborazione della forma della copertura, hanno preferito rifarsi proprio a questi slanciati alberi.

Il disegno originale è stato ideato dal fondatore dello studio Mark Fisher che, dopo aver visitato il sito prescelto per il teatro, è rimasto immediatamente colpito dalla bellezza della natura circostante e da essa ha tratto l’ispirazione. La sua intenzione è stata quella di creare un’architettura che si integrasse al parco circostante in modo tale da sembrare viva, da essere percepita come se fosse un albero in costante crescita in mezzo a tanti alberi veri.

caption: Stufish Entertainment Architects

La copertura è caratterizzata da una fitta intelaiatura a doghe secondo uno schema che rievoca la conformazione delle foglie di palma. È organizzata su due livelli sovrapposti, così da assolvere a una duplice funzione. Da un lato i visitatori potranno godere della bellezza del parco in cui il teatro è immerso senza essere accecati dal sole, dall’altro, più importante, è possibile garantire la ventilazione naturale degli ambienti. Questo aspetto, oltre ad essere in perfetto accordo con i principi dell’architettura sostenibile, rappresenta una condizione ideale per un clima caldo come quello di Xishuangbanna.

La doppia copertura è sorretta su entrambi i piani da pilastri a forma di tronco di albero. In questo modo, chi staziona tra un piano e l’altro, ha davvero la sensazione di trovarsi all’ombra di un albero di palma. Le doghe, collegate a dei costoloni al cui interno sono stati fatti passare gli impianti, si sviluppano attraverso un movimento di torsione, creando, all’interno, un effetto di grande impatto scenografico. Sono posizionate in modo tale da permettere il passaggio e il ricambio dell’aria oltre che della luce. Quest’ultima, tuttavia, non arriva in modo diretto, ma la struttura a “foglie di palma” costituisce una sorta di brise soleil capace di illuminare in maniera soffusa. La scelta del color oro si addice al modo in cui i fasci luminosi battono sulla parete, perchè permette di diffondere all’interno la radiazione solare senza accecare e, soprattutto, sfruttando anche dei tagli molto sottili come quelli progettati dagli architetti. 

caption: © Tim Franco

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caption: © Tim Franco

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Hong Kong: demolendo i borghi storici cancella la sua storia

Si può arrivare a dei compromessi per evitare che lo sviluppo urbano divori le origini di un popolo? In alcuni luoghi del pianeta pare di no: dove la speculazione non tiene presente le esigenze di tutti, si demolisce anziché tutelare e recuperare, rischiando di cancellare importanti pezzi di storia di una civiltà. Un caso emblematico è quello di Hong Kong e del borgo antico di Nga Tsin Wai, un minuscolo villaggio inghiottito dalla metropoli che rischia di sparire.

IL VILLAGGIO CINESE SOMMERSO DALLA VEGETAZIONE

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Hong Kong sta per perdere un pezzo di storia durato sei secoli e mezzo.

La Urban Renewal Autority (URA) demolirà infatti la maggior parte di un borgo di Kowloon, Nga Tsin Wai, noto per essere stato istituito dalle famiglie Ng, Chan e Lee durante la metà del XIV secolo. Al suo posto sorgeranno due torri di appartamenti e un parco urbano.

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La storia del villaggio Nga Tsin Wai

A quel tempo (era il 1352), essendo il villaggio situato vicino al porto, le famiglie residenti decisero di costruire al suo interno un tempio in onore della dea del mare Tin Hau. In origine il borgo storico di Hong Kong contava 127 edifici ed un ponte levatoio serviva a superare il fossato perimetrale che, con la cinta di mura perimetrali servivano a difendersi.

Nel 1724 sono state costruite delle mura per proteggere il villaggio dai pirati ma poi, da allora e fino ai giorni nostri, il mare è scomparso, sostituito dall’aeroporto Kai Tak. 

La conformazione del borgo è rimasta tuttavia sempre quella di centinaia di anni fa, con tre strade strette e sei vicoli fiancheggiati da piccole case con tetti di tegole. 

I residenti attuali dicono che “tutto questo sta per essere presto perso per sempre”. Quello che si perderà sarà un altro pezzo dell’identità di Hong Kong che – come per altre metropoli iperindustrializzate – tende apparentemente a svilupparsi, ma in realtà perde identità e si uniforma alle regole di un’Architettura troppo globalizzata per essere ritenuta “sostenibile”.

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Le reazioni dei residenti al nuovo sviluppo urbano 

Uno dei portavoce di URA dice che già oltre la metà delle proprietà del borgo sono state acquisite e che il processo di acquisizione è ancora molto lento a causa di chi si oppone alle demolizioni. Tuttavia la URA promette di conservare i cimeli storici del villaggio e alcune sue parti come la portineria, il tempio, la cosiddetta “sala degli antenati”, ed alcune vecchie case caratteristiche che saranno inseriti in un “parco urbano della conservazione” che metterà in evidenza la storia del paese, ma pochi, pare, hanno fiducia in queste promesse. 

L’Associazione Conservancy che si batte contro la demolizione di Nga Tsin Wai ha rilasciato una dichiarazione critica circa le proposte avanzate dalla URA sulla conservazione apparente dei cimeli di questo luogo. 

Choi Yan-chi, uno dei fondatori della vicina Cattle Depot Artists ‘Village e da molto tempo residente nella città di Kowloon, dice che è solo l’ultimo di una serie di borghi storici abbattuti nella zona. Ma il motivo di tanto timore per Nga Tsin Wai  è che “Questo è il più antico di sinistra e noi vogliamo che rimanga”, dicono.  

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“Ho sempre considerato questo villaggio come la mia sola ed unica casa” racconta uno dei residenti, e ancora “Stanno distruggendo un luogo a noi sacro, in cui le tradizioni del nostro popolo e i ricordi familiari sono gli unici valori di vita. Viviamo in un’epoca dove si pensa solo ai soldi e non alla cultura […] Il nostro futuro è incerto, ci sentiamo frustrati”.

Per il momento, la vita del villaggio va avanti, anche se le case vengono lentamente abbattute e il numero di abitanti diminuisce. Da lontano Nga Tsin Wai appare vivace, circondato da negozietti di alimentari, barbieri all’aperto e venditori ambulanti, ma l’atmosfera cambia quando si attraversa il cancello del borgo. Macerie e cartelli di cantiere hanno preso il posto di molte case. L’erba cresce dai vecchi tetti di tegole degli edifici rimanenti, quasi a richiamare quel senso di ruralità ormai scomparso da tempo.

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Se vi capitasse di passare dal borgo Kowloon e di incontrare un’anziana abitante di Nga Tsin Wai  chiamata Wong Poh-Poh – letteralmente “nonna Wong” – state pur certi che lei vi dirà “Prima di fare qualsiasi altra cosa, andate a rendere omaggio al tempio di Tin Hau”. Questo la dice lunga su quanto valore abbia l’Architettura tradizionale e perché abbia importanza preservarla: con ogni tassello della storia che cancelliamo, perdiamo una parte di utili notizie che servono a far sì che lo sviluppo futuro sia davvero sostenibile. Non facendo così, dimenticando tutto e seppellendo la storia con il cemento, il metallo, il vetro, avremo solo temporanei involucri senza anima.

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Il grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano eletto Building of the Year 2016

Il grattacielo Intesa Sanpaolo, progettato da Renzo Piano Building Workshop, è vincitore del premio ArchDaily Building Of the Year 2016 per la categoria uffici. L’importante riconoscimento è stato assegnato in seguito ad una votazione tra gli oltre 3 mila progetti presentati da ArchDaily, il sito web di Architettura più visitato al mondo, a cui hanno partecipato 55.000 utenti.

PILLOLE DI RENZO PIANO: LA MINI ABITAZIONE DIOGENE

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Il grattacielo, firmato da Renzo Piano e vincitore del premio Archdaily Building of the Year 2016, nasce a Torino in prossimità del centro storico, all’incrocio tra Corso Inghilterra e Corso Vittorio Emanuele. La realizzazione è parte di una convenzione siglata tra la Città di Torino e Intesa Sanpaolo che comprende anche la riqualificazione dell’adiacente Giardino Nicola Grosa, e di un parcheggio interrato di 8.800 mq in via Nino Bixio. 
L’opera, che ha richiesto un investimento complessivo di circa mezzo miliardo di euro, è stata interamente finanziata dal gruppo bancario per ospitare gli uffici centrali e dirigenziali.
L’inaugurazione è avvenuta nell’aprile 2015, a 5 anni dall’inizio dei lavori. Al processo progettuale hanno partecipato gli studenti del Master di II livello in Progettazione e costruzione di edifici di grande altezza, organizzato dal Politecnico di Torino in cooperazione con Intesa Sanpaolo e la Camera di Commercio di Torino.

La struttura del grattacielo Intesa San Paolo

Il grattacielo di Renzo Piano si sviluppa verticalmente su 44 livelli, di cui 38 fuori terra, raggiungendo una altezza di 166 metri, due in meno rispetto alla Mole Antonelliana.
Gli elementi strutturali sono costituiti da un nucleo, che contiene i vani per i diciassette ascensori e le scale, e uno scheletro portante, disposto secondo pianta di 7000 mq, che sostiene l’involucro esterno in alluminio e vetro.
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L’edificio ha al proprio interno un mix di spazi di lavoro e per la collettività. La sezione interrata ospita un giardino ipogeo, un asilo nido, un ristorante aziendale, locali impianti e tre livelli destinati a parcheggi per oltre 300 vetture. Alla base dell’Intesa Sanpaolo Office Building si trova un auditorium che, grazie alla platea amovibile, ha capacità di cambiare la propria conformazione trasformandosi all’occorrenza in sala aperta al pubblico per conferenze, concerti ed esposizioni. 27 piani sono occupati dagli uffici, frequentati giornalmente da oltre 2000 dipendenti. Il 31° piano è un laboratorio per l’innovazione e la ricerca.

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In cima al grattacielo è ubicato il secondo spazio di carattere pubblico, una serra bioclimatica di 15.000 mq suddivisa su 3 livelli: il tetto giardino con ristorante panoramico (35° piano), una sala esposizioni (36° piano) e una caffetteria con galleria (37° piano). Percorrendo il ballatoio, che si sviluppa lungo il perimetro sui tre piani, è possibile godere di viste panoramiche su tutta la città ed osservare gli arbusti e le piantagioni presenti, tra cui eucalipti, acacie, lavande, che contribuiscono al mantenimento del clima temperato all’interno dell’ambiente.

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Criteri di sostenibilità del nuovo grattacielo di Renzo Piano

Durante la progettazione sono state studiate le più sofisticate strategie energetiche per lo sfruttamento ottimale delle risorse naturali, secondo i principi di sostenibilità promossi dal GBC (Green Building Council).
Il grattacielo Intesa Sanpaolo ha ottenuto la certificazione LEED Platinum con il totale di 83 punti, uno score fra i più elevati al mondo per gli edifici di grande altezza.
La certificazione è ottenuta in seguito alla valutazione e ai punteggi assegnati in base alle caratteristiche del sito di costruzione, alle scelte progettuali e tecnologiche, alla qualità degli ambienti interni e alla gestione dei materiali.

Sostenibilità del sito

L’edificio sorge all’interno di un’urbanizzazione già sviluppata. La presenza di un elevato numero di servizi a disposizione dell’utenza non rende necessario la costruzione di ulteriori strutture con una conseguente riduzione dell’impatto del progetto sul territorio.

I servizi di base sono compresi entro una distanza percorribile a piedi oppure mediante mezzo di trasporto alternativo. È stata predisposta, infatti, l’installazione di stazioni per il bike sharing e il car sharing. L’accessibilità dell’area è inoltre ampiamente servita dalla rete di trasporto pubblico.

Energia e Atmosfera

Il funzionamento della struttura tecnologica è controllato da sonde collegate al BMS (Building Management System), un sistema di gestione avanzato che permette di modulare il comportamento dell’edificio in relazione alle variazioni climatiche.
Le superfici a est e ovest sono rivestite da un involucro trasparente “a doppia pelle”.
In inverno, i raggi solari attraversano il primo strato di vetro e alluminio e riscaldano per effetto serra l’aria presente nell’intercapedine contribuendo alla mitigazione del clima.
In estate, la regolazione meccanica delle aperture e dei sistemi frangisole permette il rilascio del calore accumulatosi nelle ore diurne impedendo il verificarsi di fenomeni di surriscaldamento. Durante la sera, l’aria fresca è incanalata dentro l’intercapedine dei solai a doppio strato di calcestruzzo e rilasciata da pannelli radianti durante la giornata rinfrescando gli spazi di lavoro.

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La superficie della facciata esposta a sud è interamente rivestita da 1600 mq di celle fotovoltaiche per la produzione di energia elettrica. Sullo stesso lato dell’Intesa Sanpaolo Office Building, il volume per la scala esterna è anche un giardino d’inverno che si sviluppa per tutta l’altezza dell’edificio.
L’acqua calda sanitaria è prodotta da un sistema di collettori solari.
In copertura, la serra bioclimatica si comporta da “tetto verde”. D’estate impedisce l’accumulo di calore che sarebbe rilasciato all’interno dell’edificio, in inverno riduce il disperdersi dell’energia termica.
Il condizionamento è affidato alla tecnologia geotermica ad alto rendimento. L’impianto sfrutta l’acqua di falda e si comporta da pompa di calore in regime invernale e da macchina frigorifera nella stagione estiva.

Gestione delle Acque

L’acqua piovana viene incanalata in apposite vasche di accumulo e, per mezzo di sensori e centraline di controllo, utilizzata per i servizi igienici e a scopo irriguo. Queste strategie permettono un risparmio idrico sino al 48%.

Gestione dei Materiali

Gran parte dei materiali da costruzione utilizzati contiene una componente di riciclato oppure è prodotta a poca distanza dall’area di cantiere, consentendo un notevole risparmio sui costi di trasporto.

Il legno utilizzato è certificato FSC, ossia prodotto da foreste gestite secondo principi di sostenibilità e rispetto delle risorse naturali. L’accumulo di calore e i conseguenti fenomeni di surriscaldamento sono ridotti grazie alla scelta di colorazioni chiare per le superfici esterne. L’edifici progettato dal Renzo Piano Building Workshop, illuminato dal sole, diventa così brillante “come un pezzo di ghiaccio”, inserendosi perfettamente nel contesto panoramico delle montagne innevate sullo sfondo della città.

Qualità degli spazi interni

La progettazione del grattacielo è stata particolarmente incentrata sul benessere degli spazi di lavoro.

Gli uffici, alti 3,20 m, sono stati studiati con le finalità di favorire lo sfruttamento degli apporti solari gratuiti e di ridurre i fenomeni di abbagliamento mediante la modulazione dell’irraggiamento con i sistemi frangisole meccanizzati.

Il valore di illuminamento corretto è garantito dalla presenza di sensori e da lampade a luce dimmerizzata che ottimizza il rendimento dei corpi illuminanti in funzione della radiazione solare in ingresso. L’impianto d’illuminazione, inoltre, è prevalentemente dotato di corpi illuminanti LED a basso consumo energetico.

Gli interni sono rivestiti da materiali basso emissivi che rilasciano limitate quantità di sostanze organiche volatili. Per prevenire la presenza di inquinanti, dovuta ai processi di costruzione, prima dell’entrata in funzione degli uffici è stato eseguito un flush-out, ossia una depurazione mediante “lavaggio” degli ambienti con grandi volumi d’aria.
La salubrità in fase di esercizio è garantita da portate d’aria superiori agli standard e da sensori che monitorano la concentrazione di CO2.
I pannelli radianti, utilizzati per la climatizzazione, hanno anche la funzione di ridurre i rumori generati dalla ventilazione meccanica garantendo un ottimo livello di comfort acustico.
L’efficacia delle strategie energetiche adottate è stata valutata in regime dinamico mediante l’utilizzo di software avanzati. Il risultato di queste simulazioni è un edificio che risparmia il 45% di energia rispetto a una costruzione standard.

Dopo il progetto Number 6 nella categoria restauro, la Città di Torino con il Grattacielo Intesa Sanpaolo di Renzo Piano vede per la seconda volta consecutiva un suo edificio vincere il premio Building of the Year, affermandosi a livello internazionale come portavoce dell’architettura italiana sostenibile e di qualità.

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La top 30 degli ospedali più sostenibili al mondo. Quanti sono italiani?

Gli ospedali verdi sono sempre più numerosi sia all’estero che in Italia. Una classifica pubblicata sul sito Healthcare Administration Degree Programs ci fa conoscere le 30 strutture ospedaliere più sostenibili del mondo. Scorrendo la lista scoprirete se gli ospedali italiani sono stati abbastanza all’avanguardia da esservi inseriti e quali progressi si stanno compiendo.

In copertina: St. Mary’s Hospital (British Columbia) è tra gli ospedali più verdi del Nord America. Fonte foto: hospitalnews.com.

OSPEDALI GREEN: IL MAGGIE CENTER A LEEDS

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Sono in aumento le realizzazioni di ospedali che attraverso alcuni accorgimenti si dimostrano attenti alle esigenze ambientali incrementando ad esempio l’efficienza energetica, prevedendo sistemi per il riciclaggio dei rifiuti o impianti per il recupero dell’acqua piovana, o semplicemente migliorando la struttura stessa dell’edificio con soluzioni tecniche e innovative che puntano all’utilizzo di sistemi all’avanguardia e materiali green. Sta trovando sempre maggiori adesioni il trend positivo dell’eco-sanità, che punta alla costruzione di strutture sanitarie dal ridotto impatto ambientale e ad alta efficienza energetica, grazie all’impiego di fonti alternative e rinnovabili di energia e all’applicazione di criteri di sostenibilità ambientale tanto nella costruzione quanto nella gestione degli edifici.

Numerosi sono inoltre gli ospedali esistenti che stanno aderendo o hanno già aderito a progetti di riconversione delle strutture e degli impianti esistenti.

I 30 ospedali più sostenibili al mondo

Ecco che quindi Tom Stevens ha redatto una lista dei 30 ospedali più sostenibili del mondo, strutture che hanno ricevuto certificazioni ambientali, mostrando un particolare impegno nel riciclo dei rifiuti o prevedendo particolari accorgimenti che consentano di ottenere risparmi energetici.

Nella top 30 compaiono sia strutture di nuova costruzione sia strutture recentemente ristrutturate e riqualificate con l’intento di migliorarne le prestazioni energetiche e, più in generale, di renderle più ecologiche.

La maggior parte di questi edifici ha ottenuto la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design), il programma statunitense di certificazione volontaria degli edifici sviluppato dallo U.S. Green Building Council (USGBC). Tale programma, a seconda del rispetto di alcuni criteri standard come ad esempio il risparmio energetico, il risparmio idrico, la riduzione delle emissioni di CO2, il riciclo di rifiuti, la tipologia di materiali usati, la sostenibilità del sito e il miglioramento generale della qualità degli ambienti interni, certifica le costruzioni ecologicamente sostenibili. Forse anche per questo motivo la classifica è dominata soprattutto da strutture ospedaliere presenti negli Stati Uniti (ben 25 ospedali sui primi 30 ospedali più verdi del mondo). Tuttavia la lista comprende anche due strutture presenti nel Regno Unito, due in Canada e una a Singapore.

La classifica

Le ultime dieci posizioni della classifica degli ospedali più green del pianeta sono occupate da nove strutture ospedaliere statunitensi e una britannica:

30. Rush University Medical Center, East Tower, Chicago, Illinois;

29. Great Ormond Street Hospital, Morgan Stanley Clinical Building, London, U.K.;

28. Johnston Memorial Hospital, Abingdon, Virginia;

27. Bronson Methodist Hospital, Main Building, Kalamazoo, Michigan;

26. Women & Infants Hospital of Rhode Island, South Pavilion, Providence, Rhode Island;

25. Boulder Community Foothills Hospital, Boulder, Colorado;

24. Childrenis Healthcare of Atlanta, Atlanta, Georgia;

23. Anne Arundel Medical Center, Hospital Pavilion South, Annapolis, Maryland;

22. Walter Reed National Military Medical Center, Bethesda, Maryland;

21. University of Colorado Health, Medical Center of the Rockies, Loveland, Colorado.

Risalendo la classifica troviamo, dal ventesimo all’undicesimo posto, sette strutture ospedaliere statunitensi, una canadese, una britannica e l’unica struttura di Singapore.

20. Sentara RMH Medical Center, Harrisonburg, Virginia

19. Sunnybrook Health Sciences Centre, Toronto, Canada

18. University Hospital of South Manchester: Wythenshawe Hospital – Manchester, U.K.

17. Dana-Farber Cancer Institute: Yawkey Center for Cancer Care, Boston, Massachusetts

16. St. Elizabeth Hospital: Heart, Lung & Vascular Center, Appleton, Wisconsin

15. Helen DeVos Childrenis Hospital, Grand Rapids, Michigan

14. Mount Elizabeth Novena Hospital, Novena, Singapore

13. Martha’s Vineyard Hospital, Oak Bluffs, Massachusetts

12. UF Health Shands Cancer Hospital, Gainesville, Florida

11. Joe DiMaggio Children’s Hospital, Hollywood, Florida

La parte più alta della classifica si apre con un ospedale canadese in decima posizione. Le posizioni seguenti della classifica sono interamente statunitensi.

10. St. Mary’s Hospital, Sechelt, Canada

9. Muskogee Community Hospital, Muskogee, Oklahoma

8. North Shore University Hospital: Katz Women’s Hospital, Manhasset, New York

7. West Kendall Baptist Hospital, Miami, Florida

6. Legacy Salmon Creek Medical Center – Vancouver, Washington

5. NewYork-Presbyterian Hospital: Vivian and Seymour Milstein Family Heart Center, New York

4. Kiowa County Memorial Hospital, Greensburg, Kansas

Le tre strutture ospedaliere più sostenibili

Il podio di questa top 30 delle strutture ospedaliere più ecologiche è interamente dominato da ospedali statunitensi.

Al terzo posto troviamo il Providence Newberg Medical Center di Newberg in Oregon, progettato da Mahlum. È il primo ospedale statunitense ad aver ricevuto la certificazione Leed Gold e la prima struttura sanitaria negli Stati Uniti a soddisfare l’intero fabbisogno energetico mediante fonti rinnovabili (geotermico, eolico e idroelettrico). Un innovativo sistema di ventilazione inoltre, preleva continuamente aria dall’esterno contribuendo a migliorare la qualità e il comfort degli ambienti interni.

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Al secondo posto si classifica un ospedale texano, il Dell Children’s Medical Center of Central Texas di Austin. È il primo ospedale ad aver ottenuto la certificazione Leed Platinum, il più elevato standard previsto dalla certificazione Leed. Sembra quasi più chiara la luce che passa attraverso gli ampi vetri o quella che illumina l’asfalto dei numerosi garage e parcheggi della struttura: questa è, infatti, l’unica realtà pediatrica al mondo costruita quasi interamente con materiale riciclato. Proviene completamente da riciclo, il vetro utilizzato per la fabbricazione delle finestre e anche l’asfalto con cui sono stati ricoperti i numerosi posti macchina dell’ospedale era già stato utilizzato in precedenza altrove.

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Una turbina alimentata da gas naturale, inoltre, produce tutta l’energia elettrica necessaria al funzionamento della struttura, mentre all’esterno, nel giardino, una cascata d’acqua a risparmio idrico e una rigogliosa serie di piante disposte su vari livelli assicurano aria pulita e ricca di ossigeno a tutti gli ospiti e i degenti.

Questo ospedale presenta ulteriori caratteristiche green che lo rendono una delle strutture sanitarie più ecologiche del mondo: l’uso di vernici ecocompatibili, un sistema di illuminazione altamente efficiente, un sistema di raccolta dell’acqua piovana per l’irrigazione dei giardini e per i servizi igienici, impianti per il recupero di calore e un particolare tetto bianco in grado di riflettere la luce del sole e mantenere l’edificio fresco e confortevole in modo naturale.

Infine, è il Children’s Hospital di Pittsburgh in Pennsylvania, ad aggiudicarsi la medaglia d’oro di questa top 30 degli ospedali più ecologici del mondo. Presenta svariate caratteristiche che hanno fatto sì che ottenesse ben due certificazioni LEED e che fosse eletto l’ospedale più ecologico del mondo: è stato completamente eliminato l’uso della carta, svolgendo ogni operazione con mezzi elettronici oltre all’uso di materiali riciclati, a sistemi per il recupero dell’acqua, all’efficienza energetica e ad un eccellente sistema di trasporto pubblico e di condivisione di veicoli.

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Quanto sono sostenibili gli ospedali Italiani?

Non bisogna però pensare che queste siano realtà presenti esclusivamente all’estero. Anche in Italia stanno infatti nascendo strutture sanitarie sostenibili. 

Va ad esempio al Meyer di Firenze il primato italiano nel campo dell’efficienza energetica e della sostenibilità ambientale. Ha battuto sui tempi tutte le altre strutture italiane, introducendo per primo sistemi avanzati di ventilazione, climatizzazione e illuminazione per ridurre al minimo i consumi energetici e creare un migliore equilibrio termico all’interno. Le zone esterne del giardino, invece, hanno ricevuto la certificazione Bio-Habitat che attesta la gestione degli spazi verdi secondo principi biologici.

Nel nostro Paese inoltre numerose strutture ospedaliere partecipano al progetto europeo denominato “RES – Renovable Energy Sources“, il cui obiettivo è quello di ridurre le emissioni di anidride carbonica prodotte dai 15.000 ospedali presenti in Europa: l’Istituto Europeo di Oncologia, l’ospedale San Matteo di Pavia, l’istituto Humanitas Rozzano, gli ospedali di Ravenna, Rimini, Forlì, Cesena, Genova e Torino.

Con questo progetto, la Comunità Europea si è posta l’obiettivo di individuare delle best practices nel campo della sanità sostenibile da riproporre successivamente in tutte le strutture assistenziali europee.

Presso il Policlinico S. Orsola-Malpighi di Bologna, ad esempio, si sta cercando di quantificare il risparmio energetico prodotto dall’impiego della tecnologia LED al posto delle lampadine di tipo tradizionale. L’obiettivo, non è però solo quello di ottenere un risparmio energetico, ma anche quello di rendere più confortevole la permanenza dei pazienti e dei visitatori all’interno delle strutture, accrescendone il benessere visivo.

Tra le bio-innovazioni nell’edilizia sanitaria, occorre ricordare la pavimentazione ecologica dell’Ospedale Brotzu di Cagliari e le coperture dei parcheggi del San Camillo di Roma realizzate con pannelli solari. A San Donato Milanese, invece, vengono serviti già da tempo menu ospedalieri a km zero.

Merita, infine, di essere menzionato, il progetto di ospedale green curato da Renzo Piano, che sarà realizzato a Sesto San Giovanni: la Città della Salute, costruita secondo criteri di risparmio energetico, prevede infatti un parco verde di 450mila mq, in cui avranno un ruolo centrale orti e frutteti con scopi essenzialmente terapeutici.

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Progettazione bioclimatica per una casa orientata a Nord

Casa Girasol è un progetto dello studio spagnolo Cadaval y Solà-Morales realizzato nel 2014 a Port De la Selva a Girona, in Spagna. L’edificio sorge su una scogliera bagnata dal Mar Mediterraneo, in un villaggio di pescatori della Costa Brava, al confine con la Francia ed ha la caratteristica di essere completamente orientato verso Nord richiedendo un’attenta analisi bioclimatica nel corso della sua progettazione.

BIOCLIMATICA:  LA CASA DI TENERIFE CHE GUADA L’OCEANO

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L’esposizione a Nord 

Una posizione suggestiva, soprattutto per il panorama che circonda la casa. La volontà dei proprietari era di costruire una casa in stretto contatto col mare, ma non avevano considerato i problemi dovuti all’orientamento del terreno su cui sarebbe dovuta sorgere: totalmente orientato a Nord.

Il problema principale nella progettazione bioclimatica è stato dunque pensare una forma che permettesse di catturare la luce naturale. Il secondo problema è invece legato alla Tramontana, un vento freddo proveniente da nord, che raggiunge addirittura punte di 180 kmh.

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Analisi bioclimatica e progettazione della casa

Il progetto è frutto e conseguenza di numerose e attente analisi bioclimatiche, sia tramite utilizzo di software specializzati che tramite uno studio puntuale sviluppato tramite modelli e ricerche della forma, al fine di riuscire a garantire un ottimo comfort all’interno di Casa Girasol, nonostante la sua esposizione a nord.

La villa si sviluppa su 250 metri quadrati distribuiti su due piani, rispettivamente zona giorno e zona notte. Si compone di una serie di ambienti trattati come elementi indipendenti, ma allo stesso tempo in diretta connessione al grande spazio centrale della zona living. Il risultato è un grande ambiente da cui si diramano le diverse stanze: la zona pranzo, la zona relax, lo studio, e così via, ognuna diventa un cannocchiale sul paesaggio.

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L’idea prende spunto dal girasole che ruota per catturare il più possibile la radiazione solare, allo stesso modo la pianta e gli ambienti della casa risultano in parte frammentati, ruotano posizionandosi secondo orientamenti diversi, nord-est o nord-ovest, evitando di avere le grandi vetrate totalmente rivolte a nord, per cercare di limitare quanto più possibile le dispersioni e per cercare di captare più luce possibile.

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Ogni stanza è caratterizzata unicamente da pareti bianche e vetrate a tutta altezza. Avanzando e ruotando diventano così panoramiche sul mare, ognuna con una particolare e unica vista sul paesaggio e sulla costiera. La natura circostante diventa la quarta parete di ognuna delle stanze, trasformandole in un suggestivo e rilassante ambiente in cui il vero protagonista diventa la vista del mare e del cielo che muta continuamente colori anche a causa dei venti.

Questo schema planimetrico permette di ricavare un patio centrale, il quale diventa uno spazio aperto riparato dalle pareti che lo delimitano e pertanto fruibile anche nelle giornate in cui tira la tramontana. Allo stesso tempo la posizione del patio è studiata per permettere di far entrare più luce possibile all’interno della zona living che risulta caratterizzata da grandi vetrate e dalla quale è possibile avere una visuale continua sulle diverse panoramiche. In questo modo anche dal patio è possibile ammirare il paesaggio, ma senza l’inconveniente del vento.

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I materiali utilizzati sono tipici della tradizione locale. Le grandi vetrate sono state volute per creare una connessione diretta tra interno ed esterno, generando spazi riparati ma in continuità visiva tra di loro e con l’ambiente circostante.

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Una casa orientata a nord: quando un’attenta analisi bioclimatica può portare ad un progetto interessante e a soluzioni mirate che permettono di captare la luce facendo ruotare gli ambienti come un girasole.

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Il gattoparco, un parco cittadino dedicato ai gatti

Il diffuso amore per il felini ha portato alla nascita in Italia di numerosi gattoparchi, parchi cittadini e aree verdi appositamente strutturate per accogliere i gatti randagi e/o offrire servizi di diverso genere a quelli domestici.

PARCHI URBANI E BIOPARCHI PER GLI ANIMALI

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Anche Milano sta cercando di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti felini attraverso la creazione di appositi parchi. Nell’area tra via Barsanti, via Autari e Ripa di Porta Ticinese, in zona Navigli, il Piano Integrato d’Intervento recentemente approvato prevede, tra i vari interventi, anche la realizzazione di un gattoparco!

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Patrizia Peletti, presidente dell’associazione “Gatto viziato” che si occuperà della gestione del gattoparco dice: “Quando sarà stato bonificato il terreno, potremo partire con l’allestimento dell’area”

Nell’estate del 2014, quando lo spazio in zona Navigli venne individuato come possibile area di intervento, le sue condizioni non avrebbero fatto presagire nulla di buono. Invece è bastato poco, tanta forza di volontà e qualche idea originale per dare il via ad un progetto di rigenerazione urbana che potrà fungere da esempio per altri comuni che avranno interesse a pensare ai felini delle proprie zone.

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

Il progetto del gattoparco nella zona Navigli 

L’area a verde destinata a gattoparco ha un’estensione di ben 6.400 mq ed è adiacente al parco Baden Powell.

Lo spazio sarà protetto con una recinzione perimetrale dotata di un doppio cancello e all’interno di essa vi saranno altri piccoli spazi recintati che consentiranno ai proprietari dei gatti di fruire di spazio all’aperto per il gioco senza pericolo che il gatto scappi via.

Pare che i gestori potrebbero anche allestire l’area con strutture per far arrampicare i gatti, cespugli di erba gatta e tanti altri giochi e oggetti utili.

I benefici del gattoparco per il quartiere

Gabriele Rabaiotti, presidente del consiglio di Zona 6 spiega che il gattoparco Sarà un giardino condiviso. Nasce, infatti, su iniziativa dei cittadini”.

I felini potranno essere accompagnati nella struttura del gattoparco dai propri padroni e lasciati liberi di giocare e girare liberamente incontrando propri simili. Questo è importante soprattutto per chi ha un appartamento piccolo dove il proprio gatto non ha molta libertà e fuori dal quale rischierebbe di incorrere in mille pericoli.

Il gattoparco invece consente ai suoi ospiti di usufruire di un grande spazio protetto dalle insidie urbane. 
“Ma il parco non è solo per i gatti, è per tutti” spiega ancora Patrizia Peletti, la quale fa presente che nell’area saranno programmati anche incontri sul tema “gatto” da indirizzare ad adulti e bambini. 

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Il gattoparco, un parco cittadino dedicato ai gatti

Il diffuso amore per il felini ha portato alla nascita in Italia di numerosi gattoparchi, parchi cittadini e aree verdi appositamente strutturate per accogliere i gatti randagi e/o offrire servizi di diverso genere a quelli domestici.

PARCHI URBANI E BIOPARCHI PER GLI ANIMALI

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Anche Milano sta cercando di rispondere alle esigenze dei suoi abitanti felini attraverso la creazione di appositi parchi. Nell’area tra via Barsanti, via Autari e Ripa di Porta Ticinese, in zona Navigli, il Piano Integrato d’Intervento recentemente approvato prevede, tra i vari interventi, anche la realizzazione di un gattoparco!

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Patrizia Peletti, presidente dell’associazione “Gatto viziato” che si occuperà della gestione del gattoparco dice: “Quando sarà stato bonificato il terreno, potremo partire con l’allestimento dell’area”

Nell’estate del 2014, quando lo spazio in zona Navigli venne individuato come possibile area di intervento, le sue condizioni non avrebbero fatto presagire nulla di buono. Invece è bastato poco, tanta forza di volontà e qualche idea originale per dare il via ad un progetto di rigenerazione urbana che potrà fungere da esempio per altri comuni che avranno interesse a pensare ai felini delle proprie zone.

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

caption: L'area oggetto dell'intervento prima della bonifica. Foto dalla pagina Facebook "Il Gattoparco"

Il progetto del gattoparco nella zona Navigli 

L’area a verde destinata a gattoparco ha un’estensione di ben 6.400 mq ed è adiacente al parco Baden Powell.

Lo spazio sarà protetto con una recinzione perimetrale dotata di un doppio cancello e all’interno di essa vi saranno altri piccoli spazi recintati che consentiranno ai proprietari dei gatti di fruire di spazio all’aperto per il gioco senza pericolo che il gatto scappi via.

Pare che i gestori potrebbero anche allestire l’area con strutture per far arrampicare i gatti, cespugli di erba gatta e tanti altri giochi e oggetti utili.

I benefici del gattoparco per il quartiere

Gabriele Rabaiotti, presidente del consiglio di Zona 6 spiega che il gattoparco Sarà un giardino condiviso. Nasce, infatti, su iniziativa dei cittadini”.

I felini potranno essere accompagnati nella struttura del gattoparco dai propri padroni e lasciati liberi di giocare e girare liberamente incontrando propri simili. Questo è importante soprattutto per chi ha un appartamento piccolo dove il proprio gatto non ha molta libertà e fuori dal quale rischierebbe di incorrere in mille pericoli.

Il gattoparco invece consente ai suoi ospiti di usufruire di un grande spazio protetto dalle insidie urbane. 
“Ma il parco non è solo per i gatti, è per tutti” spiega ancora Patrizia Peletti, la quale fa presente che nell’area saranno programmati anche incontri sul tema “gatto” da indirizzare ad adulti e bambini. 

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L’osteria ristrutturata con materiali di recupero

In un edificio addossato alle antiche mura della città di Castelfranco Veneto – provincia di Treviso – dove fino a poco tempo fa si trovavano alcuni uffici comunali, oggi è possibile degustare un buon vino accompagnato da un piatto tipico. L’architetto Anthony Bandiera, proprietario del locale e progettista, in collaborazione con Ideal Work, ha trasformato gli spazi anonimi e ordinari nell’Osteria del Maniscalco scovando in ogni angolo della città e dei dintorni oggetti e materiali di recupero.

PROGETTARE CON MATERIALI DI RECUPERO

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Il progetto dell’osteria

L’Osteria del Maniscalco nasce dal recupero di materiali e arredi. Il locale si sviluppa su due livelli: una scala in ferro conduce al livello superiore che si affaccia direttamente sulla sala a doppia altezza del piano terra. Gli spazi interni sono stati ridisegnati e ristrutturati per adattarsi alla nuova funzione, però materiali e strutture sono stati mantenuti e valorizzati. Le travi in legno del soffitto sono state ripristinate, la parete in mattoni addossata alle mura medievali è stata lasciata a vista, mentre tutte le altre superfici verticali sono state rivestite con vecchie assi in legno di rovere. I pavimenti invece sono stati rifatti per rispondere alle nuove esigenze.

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Molti elementi utilizzati sia per i rivestimenti che per i complementi d’arredo sono stati recuperati rovistando nelle stanze di vecchi casali della zona e nei mercatini dell’usato. I piani dei tavoli sono realizzati con assi di legno grezzo dello spessore di 3-4 cm utilizzate anche per rivestire il bancone mentre le sedie in ferro nero sono di recupero. Nuova invece è la vetrina espositiva dei vini in acciaio e vetro. L’intento è stato, infatti, quello non solo di riutilizzare e dare nuova vita a oggetti in disuso o del passato, ma anche quello di far dialogare antico e moderno.

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L’osteria ristrutturata con materiali di recupero

In un edificio addossato alle antiche mura della città di Castelfranco Veneto – provincia di Treviso – dove fino a poco tempo fa si trovavano alcuni uffici comunali, oggi è possibile degustare un buon vino accompagnato da un piatto tipico. L’architetto Anthony Bandiera, proprietario del locale e progettista, in collaborazione con Ideal Work, ha trasformato gli spazi anonimi e ordinari nell’Osteria del Maniscalco scovando in ogni angolo della città e dei dintorni oggetti e materiali di recupero.

PROGETTARE CON MATERIALI DI RECUPERO

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Il progetto dell’osteria

L’Osteria del Maniscalco nasce dal recupero di materiali e arredi. Il locale si sviluppa su due livelli: una scala in ferro conduce al livello superiore che si affaccia direttamente sulla sala a doppia altezza del piano terra. Gli spazi interni sono stati ridisegnati e ristrutturati per adattarsi alla nuova funzione, però materiali e strutture sono stati mantenuti e valorizzati. Le travi in legno del soffitto sono state ripristinate, la parete in mattoni addossata alle mura medievali è stata lasciata a vista, mentre tutte le altre superfici verticali sono state rivestite con vecchie assi in legno di rovere. I pavimenti invece sono stati rifatti per rispondere alle nuove esigenze.

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Molti elementi utilizzati sia per i rivestimenti che per i complementi d’arredo sono stati recuperati rovistando nelle stanze di vecchi casali della zona e nei mercatini dell’usato. I piani dei tavoli sono realizzati con assi di legno grezzo dello spessore di 3-4 cm utilizzate anche per rivestire il bancone mentre le sedie in ferro nero sono di recupero. Nuova invece è la vetrina espositiva dei vini in acciaio e vetro. L’intento è stato, infatti, quello non solo di riutilizzare e dare nuova vita a oggetti in disuso o del passato, ma anche quello di far dialogare antico e moderno.

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La foresta galleggiante nel porto di Rotterdam: Bobbing Forest

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso” affermava Confucio. In contesti come quelli portuali però, dove è il cemento a far da padrone, la possibilità di ricavare spazi verdi può essere considerata quasi un miraggio. Una brillante soluzione a tale problema è stata trovata a Rotterdam dove, tra poco più di un mese, verrà presentata la prima foresta galleggiante al mondo: la “Bobbing Forest”. 

In copertina: foto da DobberendBos.nl

Il progetto della BOBBING FOREST

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caption: foto da DobberendBos.nl

Gli olandesi, sempre più impazienti per la realizzazione del progetto della Bobbing Forest, sono ancora increduli di fronte all’eco internazionale che l’iniziativa della foresta galleggiante ha avuto; d’altronde si sa, quando passione per l’arte e cura del verde si incontrano nel medesimo progetto non può che venir fuori qualcosa di sorprendente!

Saranno sufficienti poche settimane per completare l’installazione; tutto dovrà essere pronto per il 16 marzo, giorno dell’inaugurazione e, non a caso, Giornata Nazionale dell’Albero. In tale occasione a Rotterdam saranno messi in acqua ed ancorati sul fondo del bacino portuale di Rijnhaven “20 alberi galleggianti”, mentre un ventunesimo sarà lasciato sulla banchina in modo che residenti e turisti possano osservarlo da vicino.

L’obiettivo è quello di offrire un valido contributo alla lotta per i cambiamenti climatici ma soprattutto porre l’accento sulla necessità dell’innalzamento della qualità della vita nelle città; la foresta galleggiante vuole essere un esempio per le nuove generazioni, un simbolo dell’importanza delle aree verdi all’interno del centro abitato.

L’idea della foresta galleggiante

La Bobbing Forest è la versione a scala naturale della scultura che Jorge Bakker, artista colombiano ma olandese di adozione, ha realizzato nel 2012: un acquario contenente alberi in scala sospesi sull’acqua tramite galleggianti.

caption: foto da Onderwerper.nl

“In Search of Habitats” (letteralmente “in cerca di habitat”) è l’evocativo titolo dell’opera che usa elementi naturali come acqua e piante per indurre l’osservatore ad una riflessione: che rapporto i cittadini hanno con la natura e come entrambi si relazionano con l’ambiente che li circonda?

Il messaggio non è passato inosservato a Jeroen Everaert, responsabile del centro di produzione culturale Mothership, Anne van der Zwaag, storica d’arte e imprenditore culturale, e al designer olandese Jurgen Bey, tanto da spingerli a “spostare l’asticella un po’ più in alto”, cercando di espandere tale concetto nella vita reale.

caption: foto da DobberendBos.nl

È nato così un progetto tanto avvincente sulla carta quanto pieno di ostacoli nella realtà.

Le molteplici sfide (tecniche, ambientali ed economiche) non hanno fatto altro che alimentare la voglia di fare degli ideatori, portando sin da subito Motheriship a cercare collaboratori all’altezza della situazione, in grado di uscire fuori dagli schemi e trovare soluzioni innovative per la foresta galleggiante.

Il risultato finale è frutto di un lavoro sinergico in cui, a professionisti dalla consolidata esperienza, sono stati affiancati giovani in grado di andare oltre i comuni parametri, grazie alla freschezza delle loro idee.

Le sfide del progetto della Bobbing Forest

Come ironizzato dallo stesso Evereat, anche gli alberi, come tutti gli esseri viventi, “soffrono il mal di mare”.

Il primo problema da risolvere era perciò quello di individuare le specie vegetali che potessero sopravvivere alla “vita galleggiante”; inoltre le boe dovevano essere in grado di tenere in piedi gli alberi senza che questi si ribaltassero.

caption: foto da DobberendBos.nl

Le ricerche effettuate da un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Van Hall Larenstein hanno permesso di escogitare il sistema più efficace per mantenere in vita le piante nelle acque salmastre del porto oltre che individuare la specie arborea più idonea: l’Olmo Olandese (Ulmus x hollandica “Major”). Connotato dalla capacità di crescere rapidamente, il legno duro che lo caratterizza è infatti in grado di resistere all’azione del vento e dell’acqua; necessita inoltre di poca potatura.

Le sperimentazioni necessarie ad impedire il ribaltamento delle boe della Bobbing Forest, soprattutto nei periodi di burrasca, sono state condotte da un team di aspiranti ingegneri civili della Delft University of Technology. I calcoli effettuati hanno evidenziato la necessità di apportare modifiche alle boe standard; le variazioni sono state realizzate da una Società di produzione dell’acciaio, grazie al lavoro di alcuni giovani tirocinanti sulla base dei disegni esecutivi del gruppo di progettazione strutturale.

Nel corso del periodo di ricerca, nel Marzo 2014, è stato lanciato con successo un primo prototipo; per il completamento dell’opera manca solo il delicato compito dell’assemblaggio finale.

caption: a sinistra l’assessore Alexandra van Huffelen durante il lancio del primo prototipo nel 2014. L’albero era spoglio. A destra i prototipi dopo il monitoraggio di 6 mesi: gli alberi si sono riempiti di foglie! Foto da Dobberendbos.nl

La foresta galleggiante di Rotterdam un progetto sostenibile

Oltre a quelli dei gruppi di ricerca universitari, fondamentali sono stati gli sforzi messi in campo da diverse autorità, sia locali che nazionali. Il loro prezioso contribuito ha fatto sì che, durante il lungo iter progettuale, non fosse mai perso di vista l’obiettivo cardine del progetto: la sostenibilità.

La maggior parte dei materiali utilizzati per la realizzazione della Bobbing Forest sono infatti riciclati.

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caption: foto da DobberendBos.nl

La Rijkswaterstaat, Agenzia del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ha messo a disposizione 20 boe utilizzate nel Mar del Nord e in via di dismissione.

Gli olmi sono stati donati dalla Bomendepot, una struttura del Comune che si occupa dello “stoccaggio del alberi”; da un po’ di anni infatti la città di Rotterdam ha deciso di adottare una politica volta alla tutela degli alberi negli spazi pubblici: ogni volta che un pezzo di città viene rinnovata, gli arbusti non più adatti al nuovo contesto non vengono abbattuti ma stipati in attesa di una nuova collocazione.

Ruolo chiave è stato infine svolto dalla piattaforma per l’innovazione di Rotterdam, CityLab010, che ha permesso la fattibilità economica del progetto.

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La foresta galleggiante nel porto di Rotterdam: Bobbing Forest

“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso” affermava Confucio. In contesti come quelli portuali però, dove è il cemento a far da padrone, la possibilità di ricavare spazi verdi può essere considerata quasi un miraggio. Una brillante soluzione a tale problema è stata trovata a Rotterdam dove, tra poco più di un mese, verrà presentata la prima foresta galleggiante al mondo: la “Bobbing Forest”. 

In copertina: foto da DobberendBos.nl

Il progetto della BOBBING FOREST

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caption: foto da DobberendBos.nl

Gli olandesi, sempre più impazienti per la realizzazione del progetto della Bobbing Forest, sono ancora increduli di fronte all’eco internazionale che l’iniziativa della foresta galleggiante ha avuto; d’altronde si sa, quando passione per l’arte e cura del verde si incontrano nel medesimo progetto non può che venir fuori qualcosa di sorprendente!

Saranno sufficienti poche settimane per completare l’installazione; tutto dovrà essere pronto per il 16 marzo, giorno dell’inaugurazione e, non a caso, Giornata Nazionale dell’Albero. In tale occasione a Rotterdam saranno messi in acqua ed ancorati sul fondo del bacino portuale di Rijnhaven “20 alberi galleggianti”, mentre un ventunesimo sarà lasciato sulla banchina in modo che residenti e turisti possano osservarlo da vicino.

L’obiettivo è quello di offrire un valido contributo alla lotta per i cambiamenti climatici ma soprattutto porre l’accento sulla necessità dell’innalzamento della qualità della vita nelle città; la foresta galleggiante vuole essere un esempio per le nuove generazioni, un simbolo dell’importanza delle aree verdi all’interno del centro abitato.

L’idea della foresta galleggiante

La Bobbing Forest è la versione a scala naturale della scultura che Jorge Bakker, artista colombiano ma olandese di adozione, ha realizzato nel 2012: un acquario contenente alberi in scala sospesi sull’acqua tramite galleggianti.

caption: foto da Onderwerper.nl

“In Search of Habitats” (letteralmente “in cerca di habitat”) è l’evocativo titolo dell’opera che usa elementi naturali come acqua e piante per indurre l’osservatore ad una riflessione: che rapporto i cittadini hanno con la natura e come entrambi si relazionano con l’ambiente che li circonda?

Il messaggio non è passato inosservato a Jeroen Everaert, responsabile del centro di produzione culturale Mothership, Anne van der Zwaag, storica d’arte e imprenditore culturale, e al designer olandese Jurgen Bey, tanto da spingerli a “spostare l’asticella un po’ più in alto”, cercando di espandere tale concetto nella vita reale.

caption: foto da DobberendBos.nl

È nato così un progetto tanto avvincente sulla carta quanto pieno di ostacoli nella realtà.

Le molteplici sfide (tecniche, ambientali ed economiche) non hanno fatto altro che alimentare la voglia di fare degli ideatori, portando sin da subito Motheriship a cercare collaboratori all’altezza della situazione, in grado di uscire fuori dagli schemi e trovare soluzioni innovative per la foresta galleggiante.

Il risultato finale è frutto di un lavoro sinergico in cui, a professionisti dalla consolidata esperienza, sono stati affiancati giovani in grado di andare oltre i comuni parametri, grazie alla freschezza delle loro idee.

Le sfide del progetto della Bobbing Forest

Come ironizzato dallo stesso Evereat, anche gli alberi, come tutti gli esseri viventi, “soffrono il mal di mare”.

Il primo problema da risolvere era perciò quello di individuare le specie vegetali che potessero sopravvivere alla “vita galleggiante”; inoltre le boe dovevano essere in grado di tenere in piedi gli alberi senza che questi si ribaltassero.

caption: foto da DobberendBos.nl

Le ricerche effettuate da un gruppo di studenti della Facoltà di Scienze Applicate dell’Università di Van Hall Larenstein hanno permesso di escogitare il sistema più efficace per mantenere in vita le piante nelle acque salmastre del porto oltre che individuare la specie arborea più idonea: l’Olmo Olandese (Ulmus x hollandica “Major”). Connotato dalla capacità di crescere rapidamente, il legno duro che lo caratterizza è infatti in grado di resistere all’azione del vento e dell’acqua; necessita inoltre di poca potatura.

Le sperimentazioni necessarie ad impedire il ribaltamento delle boe della Bobbing Forest, soprattutto nei periodi di burrasca, sono state condotte da un team di aspiranti ingegneri civili della Delft University of Technology. I calcoli effettuati hanno evidenziato la necessità di apportare modifiche alle boe standard; le variazioni sono state realizzate da una Società di produzione dell’acciaio, grazie al lavoro di alcuni giovani tirocinanti sulla base dei disegni esecutivi del gruppo di progettazione strutturale.

Nel corso del periodo di ricerca, nel Marzo 2014, è stato lanciato con successo un primo prototipo; per il completamento dell’opera manca solo il delicato compito dell’assemblaggio finale.

caption: a sinistra l’assessore Alexandra van Huffelen durante il lancio del primo prototipo nel 2014. L’albero era spoglio. A destra i prototipi dopo il monitoraggio di 6 mesi: gli alberi si sono riempiti di foglie! Foto da Dobberendbos.nl

La foresta galleggiante di Rotterdam un progetto sostenibile

Oltre a quelli dei gruppi di ricerca universitari, fondamentali sono stati gli sforzi messi in campo da diverse autorità, sia locali che nazionali. Il loro prezioso contribuito ha fatto sì che, durante il lungo iter progettuale, non fosse mai perso di vista l’obiettivo cardine del progetto: la sostenibilità.

La maggior parte dei materiali utilizzati per la realizzazione della Bobbing Forest sono infatti riciclati.

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caption: foto da DobberendBos.nl

La Rijkswaterstaat, Agenzia del Ministero delle Infrastrutture e dell’Ambiente, ha messo a disposizione 20 boe utilizzate nel Mar del Nord e in via di dismissione.

Gli olmi sono stati donati dalla Bomendepot, una struttura del Comune che si occupa dello “stoccaggio del alberi”; da un po’ di anni infatti la città di Rotterdam ha deciso di adottare una politica volta alla tutela degli alberi negli spazi pubblici: ogni volta che un pezzo di città viene rinnovata, gli arbusti non più adatti al nuovo contesto non vengono abbattuti ma stipati in attesa di una nuova collocazione.

Ruolo chiave è stato infine svolto dalla piattaforma per l’innovazione di Rotterdam, CityLab010, che ha permesso la fattibilità economica del progetto.

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La casa laboratorio in una stalla del 1891

Un antico edificio rurale del 1891 situato ai margini di una stretta via di campagna in località Lasagnana, frazione di Val Parma (Parma) è stato trasformato in casa-studio per una giovane coppia. I vincoli sono diventati l’elemento generatore del progetto sull’ex stalla curato dall’architetto Francesco Di Gregorio. Muri, porte e finestre esistenti sono stati sapientemente integrati con la nuova funzione abitativa della casa-laboratorio e l’unitarietà dello spazio interno è stata salvaguardata.

LA VECCHIA STALLA CONVERTITA IN ABITAZIONE

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La struttura originaria della stalla è stata consolidata, è stata inserita una sottofondazione ed è stato creato un nuovo pavimento uniforme in cemento per la casa-laboratorio. Gli antichi spessi muri in pietra e le colonne in mattoni con capitelli lapidei sorreggono ancora i soffitti a voltine: gli elementi verticali sono stati lasciati a vista, mentre quelli orizzontali sono stati intonacati di colore bianco. Non volendo alterare l’aspetto esterno dell’edificio del 1891 e aprire nuove finestre, tutte le scelte compositive hanno cercato di non ostacolare il passaggio della luce naturale.

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La casa si sviluppa su di un unico livello senza partizioni fisse. Una serie di tende leggere è appesa ai cavi d’acciaio tesi tra una colonna e l’altra e permette di separare la zona dedicata al sonno, la zona dedicata al laboratorio e quella dedicata alla convivialità. La griglia di cavi serve inoltre per portare l’elettricità nei diversi punti dell’abitazione in maniera flessibile a seconda delle esigenze e senza forare i muri.

L’unico elemento costruito ex-novo è il bagno costituito da un parallelepipedo bianco inserito all’interno dello spazio voltato e rivestito in piastrelle quadrate di ceramica di dimensione 10×10 cm. All’interno sono inserite le funzioni, mentre i percorsi sono portati all’esterno: il lavandino e la doccia si aprono, infatti, direttamente verso la zona degli armadi e la zona del riposo.

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Un organo suonato dalle onde del mare a Zara

Fino ad oggi l’architettura ha emozionato, comunicato, rappresentato, divertito e affascinato. Oggi si può affermare che un’opera architettonica ha anche suonato. Il lungomare di Zara, in Croazia, infatti, non solo abbellisce un luogo che fino al 2005 era definito da un semplice muraglione in cemento, ma permette a passanti e turisti di ascoltare una piacevole melodia suonata dalle onde del mare.

L’idea nasce dall’estro creativo e dalla genialità dell’architetto Nikola Bašić, che ha voluto trasformare in un organo azionato dalla pressione dell’acqua marina un luogo che, dopo la ricostruzione post bellica della città, è rimasto abbandonato, proprio fino alla realizzazione dell’opera.

MUSICA DALLA PIOGGIA: L’EDIFICIO CHE SUONA QUANDO PIOVE

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L’architettura-strumento è stata battezzata “Sea Organ“, “Morske Orgulije” in lingua croata, ed è stata premiata, nel 2006, con un European Prize for Urban Space.

Sea Organ: i tubi che cantano

Il lungomare di Zara è lungo ben 70 metri e, all’interno degli ampi gradoni in marmo, sono installati 35 tubi in polietiliene di lunghezza, diametro e inclinazione diversa. In questo modo, quando le onde e il vento si infrangono contro la barriera marmorea, aria e acqua possono entrare nei tubi e generare un suono sempre diverso, dipendente non soltanto dal tipo di tubo coinvolto, ma anche dalle condizioni meteorologiche esistenti. 

Dei fori praticati lungo le alzate dei gradoni permettono al suono di uscire dal sistema e agli spettatori di godersi l’ineguagliabile spettacolo che musica, mare e paesaggio riescono ad offrire. 

L’intera opera è stata realizzata con materiali appositamente selezionati per garantire una buona qualità e diffusione del suono. Sono, inoltre, resistenti alle intemperie e alle condizioni climatiche che avrebbero potuto provocare danneggiamenti o addirittura distruzione degli stessi, soprattutto per azione della salsedine marina.

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Il lungomare di Zara: sette “Sirene” che cantano verso il mare

Proprio come le Sirene della mitologia, che incantavano i marinai con il loro dolce e soave canto, così i gradoni del Sea Organ ammaliano turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo rivolgendo una piacevole melodia al mare croato. I sette salti di quota paralleli del Lungomare di Zara, infatti, si gettano nel mare sia fisicamente che con le loro note, direzionando la musica verso l’acqua e in direzione opposta al centro della città.

La composizione dei vari podi segue una logica per cui ad ogni salto di quota si ha un cambio di passo, cosicché la sagoma della struttura mostri dei gradoni sfalsati tra di loro. 

I primi tre filari sono i più lunghi, costituiti da sei passi che scendono fino ad arrivare ad una quota di due metri, punto di approdo delle navi da crociera. Dal quarto gradone, per tutti i successivi, l’alzata e il numero dei passi permettono alla massa marmorea di avvicinarsi lentamente al mare, di lasciarsi trascinare gradualmente in acqua dalle onde che giungono a terra spinte dalla corrente. 

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Il Sea Organ è un organo anche nella forma

La scelta della forma organizzata per sovrapposizione di gradoni non è stata dettata soltanto dalla topografia del terreno su cui l’opera è stata realizzata. I tubi inseriti all’interno dell’armatura in marmo, infatti, seguono anche nell’altezza, la forma di un vero organo. Questa scelta consente di avere i tubi di lunghezza diversa e di ottenere note differenti in base a come il mare decide di suonarle.

Seguendo tale andamento anche con il rivestimento esterno e creando delle piccole terrazze che si diradano man mano che scendono verso il mare, Nikola Bašić ha ridisegnato il waterfront di Zara e gli ha dato una nuova funzione, oltre che una nuova vita. Il muraglione in cemento è stato sostituito da gradoni che si trasformano in sedute, che invitano gente del posto e visitatori occasionali a sedersi, a concedersi qualche minuto di tranquillità e a farsi cullare da una musica eseguita da un musicista d’eccezione: la natura.

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Un organo suonato dalle onde del mare a Zara

Fino ad oggi l’architettura ha emozionato, comunicato, rappresentato, divertito e affascinato. Oggi si può affermare che un’opera architettonica ha anche suonato. Il lungomare di Zara, in Croazia, infatti, non solo abbellisce un luogo che fino al 2005 era definito da un semplice muraglione in cemento, ma permette a passanti e turisti di ascoltare una piacevole melodia suonata dalle onde del mare.

L’idea nasce dall’estro creativo e dalla genialità dell’architetto Nikola Bašić, che ha voluto trasformare in un organo azionato dalla pressione dell’acqua marina un luogo che, dopo la ricostruzione post bellica della città, è rimasto abbandonato, proprio fino alla realizzazione dell’opera.

MUSICA DALLA PIOGGIA: L’EDIFICIO CHE SUONA QUANDO PIOVE

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L’architettura-strumento è stata battezzata “Sea Organ“, “Morske Orgulije” in lingua croata, ed è stata premiata, nel 2006, con un European Prize for Urban Space.

Sea Organ: i tubi che cantano

Il lungomare di Zara è lungo ben 70 metri e, all’interno degli ampi gradoni in marmo, sono installati 35 tubi in polietiliene di lunghezza, diametro e inclinazione diversa. In questo modo, quando le onde e il vento si infrangono contro la barriera marmorea, aria e acqua possono entrare nei tubi e generare un suono sempre diverso, dipendente non soltanto dal tipo di tubo coinvolto, ma anche dalle condizioni meteorologiche esistenti. 

Dei fori praticati lungo le alzate dei gradoni permettono al suono di uscire dal sistema e agli spettatori di godersi l’ineguagliabile spettacolo che musica, mare e paesaggio riescono ad offrire. 

L’intera opera è stata realizzata con materiali appositamente selezionati per garantire una buona qualità e diffusione del suono. Sono, inoltre, resistenti alle intemperie e alle condizioni climatiche che avrebbero potuto provocare danneggiamenti o addirittura distruzione degli stessi, soprattutto per azione della salsedine marina.

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Il lungomare di Zara: sette “Sirene” che cantano verso il mare

Proprio come le Sirene della mitologia, che incantavano i marinai con il loro dolce e soave canto, così i gradoni del Sea Organ ammaliano turisti e visitatori provenienti da tutto il mondo rivolgendo una piacevole melodia al mare croato. I sette salti di quota paralleli del Lungomare di Zara, infatti, si gettano nel mare sia fisicamente che con le loro note, direzionando la musica verso l’acqua e in direzione opposta al centro della città.

La composizione dei vari podi segue una logica per cui ad ogni salto di quota si ha un cambio di passo, cosicché la sagoma della struttura mostri dei gradoni sfalsati tra di loro. 

I primi tre filari sono i più lunghi, costituiti da sei passi che scendono fino ad arrivare ad una quota di due metri, punto di approdo delle navi da crociera. Dal quarto gradone, per tutti i successivi, l’alzata e il numero dei passi permettono alla massa marmorea di avvicinarsi lentamente al mare, di lasciarsi trascinare gradualmente in acqua dalle onde che giungono a terra spinte dalla corrente. 

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Il Sea Organ è un organo anche nella forma

La scelta della forma organizzata per sovrapposizione di gradoni non è stata dettata soltanto dalla topografia del terreno su cui l’opera è stata realizzata. I tubi inseriti all’interno dell’armatura in marmo, infatti, seguono anche nell’altezza, la forma di un vero organo. Questa scelta consente di avere i tubi di lunghezza diversa e di ottenere note differenti in base a come il mare decide di suonarle.

Seguendo tale andamento anche con il rivestimento esterno e creando delle piccole terrazze che si diradano man mano che scendono verso il mare, Nikola Bašić ha ridisegnato il waterfront di Zara e gli ha dato una nuova funzione, oltre che una nuova vita. Il muraglione in cemento è stato sostituito da gradoni che si trasformano in sedute, che invitano gente del posto e visitatori occasionali a sedersi, a concedersi qualche minuto di tranquillità e a farsi cullare da una musica eseguita da un musicista d’eccezione: la natura.

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Rifugi modulari nella natura come vecchie abitazioni di pescatori

In Danimarca, a sud dell’arcipelago Fyn, è possibile godersi a pieno la natura grazie a cinquanta costruzioni in legno esclusivamente realizzate per una vita all’aria aperta ed ispirati alle abitazioni un tempo dei pescatori. 

I rifugi sono collocati in 19 punti bene precisi: ogni posizione è accuratamente studiata in base ad un attento studio del paesaggio e delle sue prospettive. Questa disposizione, diffusa nei quattro comuni di Langeland, Ærø, Svendborg e Faaborg-Midtfyn, è stata garantita da un patto tra l’Agenzia del territorio della Danimarca ed il Ministero dell’Ambiente, in cui viene meno lo stato di area protetta delle suddette aree costiere. 

CASA NA AREIA: AIRES MATHEUS RECUPERA UN VILLAGGIO DI PESCATORI

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Nel progetto di LUMO Architects, che prende il nome di Shelters by he Sea, ogni rifugio è stato accuratamente selezionato e adattato all’ambiente circostante, in modo da costituire un landmark che, tuttavia, non interferisca con la qualità paesaggistica del sito. I rifugi sono situati molto vicino alla costa al fine di accogliere i vari visitatori provenienti dal mare.

I punti di riferimento, adattabili ad ogni esigenza, divengono un sostegno delle attività durante tutto l’anno, contribuendo a incanalare il traffico e direzionarlo oltre le aree naturalmente vulnerabili. Allo stesso tempo, essi funzionano anche come base e punti di ritrovo per canoisti, pescatori, subacquei e surfisti.

Ogni sito consiste in un riparo individuale o in un piccolo gruppo di vari rifugi, che da soli o in combinazione rafforzano la vicinanza alla vita all’aria aperta ed il legame con l’ambiente. Il concetto architettonico generale è stato quello di creare cinque differenti tipologie di edificio, sia dal punto di vista dimensionale che funzionale, che mantengano al tempo stesso una chiara relazione continua e spaziale tra loro.

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Fonte d’ispirazione per il design e l’architettura sono i vecchi capanni dei pescatori, da cui sono stati anche ispirati i nomi: Pescatrice, con i suoi tre livelli e piattaforma integrata di bird-watching; Anguilla, un riparo per sei-sette persone che funge anche da spazio pic-nic per le classi scolastiche; Lombo, un rifugio per 3-5 persone dotata di soggiorno e spazio sauna; Platessa una suite per due ed, infine, Eelpout che funziona come toilette.

Le varie scelte tipologiche sono state ideate per essere combinate tra di loro e per completarsi l’una con l’altra in diversi modi, creando così molteplici possibilità compositive e di utilizzo dei luoghi, prediligendo comunque lo spazio per una vita attiva all’aria aperta. I rifugi appaiono come corpi asimmetrici con linee angolate e sono coperti con assi di legno di grandi dimensioni e trattate con olio di catrame nero pigmentato. Le aperture, a forma di tondo, garantiscono il rapporto con la natura circostante ed il cielo.

Il profilo angolare e tattile permette una ricca varietà nella progettazione del rifugio, aggiungendo flessibilità funzionale e facilitano le diverse esigenze dei fruitori dell’area. 

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Rifugi modulari nella natura come vecchie abitazioni di pescatori

In Danimarca, a sud dell’arcipelago Fyn, è possibile godersi a pieno la natura grazie a cinquanta costruzioni in legno esclusivamente realizzate per una vita all’aria aperta ed ispirati alle abitazioni un tempo dei pescatori. 

I rifugi sono collocati in 19 punti bene precisi: ogni posizione è accuratamente studiata in base ad un attento studio del paesaggio e delle sue prospettive. Questa disposizione, diffusa nei quattro comuni di Langeland, Ærø, Svendborg e Faaborg-Midtfyn, è stata garantita da un patto tra l’Agenzia del territorio della Danimarca ed il Ministero dell’Ambiente, in cui viene meno lo stato di area protetta delle suddette aree costiere. 

CASA NA AREIA: AIRES MATHEUS RECUPERA UN VILLAGGIO DI PESCATORI

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Nel progetto di LUMO Architects, che prende il nome di Shelters by he Sea, ogni rifugio è stato accuratamente selezionato e adattato all’ambiente circostante, in modo da costituire un landmark che, tuttavia, non interferisca con la qualità paesaggistica del sito. I rifugi sono situati molto vicino alla costa al fine di accogliere i vari visitatori provenienti dal mare.

I punti di riferimento, adattabili ad ogni esigenza, divengono un sostegno delle attività durante tutto l’anno, contribuendo a incanalare il traffico e direzionarlo oltre le aree naturalmente vulnerabili. Allo stesso tempo, essi funzionano anche come base e punti di ritrovo per canoisti, pescatori, subacquei e surfisti.

Ogni sito consiste in un riparo individuale o in un piccolo gruppo di vari rifugi, che da soli o in combinazione rafforzano la vicinanza alla vita all’aria aperta ed il legame con l’ambiente. Il concetto architettonico generale è stato quello di creare cinque differenti tipologie di edificio, sia dal punto di vista dimensionale che funzionale, che mantengano al tempo stesso una chiara relazione continua e spaziale tra loro.

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Fonte d’ispirazione per il design e l’architettura sono i vecchi capanni dei pescatori, da cui sono stati anche ispirati i nomi: Pescatrice, con i suoi tre livelli e piattaforma integrata di bird-watching; Anguilla, un riparo per sei-sette persone che funge anche da spazio pic-nic per le classi scolastiche; Lombo, un rifugio per 3-5 persone dotata di soggiorno e spazio sauna; Platessa una suite per due ed, infine, Eelpout che funziona come toilette.

Le varie scelte tipologiche sono state ideate per essere combinate tra di loro e per completarsi l’una con l’altra in diversi modi, creando così molteplici possibilità compositive e di utilizzo dei luoghi, prediligendo comunque lo spazio per una vita attiva all’aria aperta. I rifugi appaiono come corpi asimmetrici con linee angolate e sono coperti con assi di legno di grandi dimensioni e trattate con olio di catrame nero pigmentato. Le aperture, a forma di tondo, garantiscono il rapporto con la natura circostante ed il cielo.

Il profilo angolare e tattile permette una ricca varietà nella progettazione del rifugio, aggiungendo flessibilità funzionale e facilitano le diverse esigenze dei fruitori dell’area. 

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The River: la copertura sinuosa è il simbolo del progetto

Un tempo fattoria, poi allevamento equestre, Grace Farms a New Canaan nel Connecticut è oggi un vero e proprio habitat naturale di 80 acri con grandi prati aperti, numerose piante ed alberature, boschi, zone umide, stagni ed oltre 16 diverse specie di anfibi e rettili. All’interno della riserva naturale sorge The River di SANAA, un luogo di servizi pubblici, in cui la natura, l’arte e la comunità possono ritrovarsi e dar vita ad esperienze creative e rilassanti, che possono essere una semplice sosta alla caffetteria o un corso di arte per famiglie, così come una serie di eventi e di attività culturali a contatto con la natura.

UN PARCO GIOCHI SUL TETTO DELLA BIBLIOTECA

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The River: l’edificio di Sanaa

All’interno di questo polmone verde si trova il The River, progettato dallo studio giapponese SANAA, un edificio minimalista, leggero, che ben si integra nel paesaggio fondendosi con l’orografia del territorio ed insinuandosi come un fiume all’interno dell’area naturale (non casuale la scelta del nome: river, in inglese, vuol dire fiume).

L’edificio, dalle forme sinuose, ricorda un altro progetto di Seijima e Nishizawa ovvero il Serpentine Pavilion di Londra.  È caratterizzato da un design minimalista tipicamente giapponese, dai colori neutri e chiari come il bianco o il legno di rovere che riveste pavimenti ed arredi, si compone principalmente di pochi materiali: vetro, cemento, acciaio e legno, che si plasmano insieme generando uno spazio fluido ed accogliente.

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La copertura è il vero segno forte dell’intervento, con le sue curve richiama l’andamento di un fiume che scorre all’interno del parco seguendo il pendio e diventando un collegamento tra le diverse aree ed attività al coperto e le zone all’aperto. Diventa perciò un elemento continuo, fluido, ma sotto di essa si alternano passaggi coperti, che fungono quindi da filtro tra le aree a verde, e le diverse funzioni ospitate dal The river: un anfiteatro di circa 2000mq, uno spazio per la discussione e gli uffici della fondazione, spazi comuni come bar, ristorante, una sala conferenze interrata, una biblioteca, una palestra ed un padiglione polivalente per le attività multidisciplinari.  L’elemento centrale del progetto è dunque la copertura composta prevalentemente in legno, con travi lamellari di 30 metri che poggiano su pilastri di acciaio di circa 13 cm di diametro, in contrapposizione vi sono le chiusure verticali totalmente trasparenti e realizzate con grandi lastre di vetro curvo.

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Così mentre la copertura, che segna il territorio, sembra galleggiare ed essere sospesa per aria, il resto dell’edificio scompare sotto di essa, lasciando libera la visuale da una parta all’altra del parco e tra un’attività e l’altra. Non interrompe la continuità, bensì la favorisce e permette una perfetta connessione tra le aree a verde e le aree attrezzate.  La natura avvolge perciò gli spazi, ed è visibile da tutte le stanze, è un aspetto importante che ben rispecchia l’anima della vita a Grace Farms: un luogo di contatto con la natura e tra le persone della comunità, in cui è possibile giocare, fare sport o attività ricreative e coltivare gli orti comuni.

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Certificazione LEED ed accorgimenti bioclimatici

L’edificio vanta inoltre alcuni accorgimenti bioclimatici per il risparmio energetico che gli varrà la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Oltre al sistema geotermico integrato composto da oltre 55 pozzi geotermici a 150 metri di profondità, l’intero edificio è progettato secondo criteri ecosostenibili per il minor consumo di energia e il riuso delle acque piovane. Il progetto del verde e del paesaggio è nato dalla collaborazione tra SANAA e lo studio OLIN che da sempre si occupa di architettura del paesaggio.

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The River: la copertura sinuosa è il simbolo del progetto

Un tempo fattoria, poi allevamento equestre, Grace Farms a New Canaan nel Connecticut è oggi un vero e proprio habitat naturale di 80 acri con grandi prati aperti, numerose piante ed alberature, boschi, zone umide, stagni ed oltre 16 diverse specie di anfibi e rettili. All’interno della riserva naturale sorge The River di SANAA, un luogo di servizi pubblici, in cui la natura, l’arte e la comunità possono ritrovarsi e dar vita ad esperienze creative e rilassanti, che possono essere una semplice sosta alla caffetteria o un corso di arte per famiglie, così come una serie di eventi e di attività culturali a contatto con la natura.

UN PARCO GIOCHI SUL TETTO DELLA BIBLIOTECA

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The River: l’edificio di Sanaa

All’interno di questo polmone verde si trova il The River, progettato dallo studio giapponese SANAA, un edificio minimalista, leggero, che ben si integra nel paesaggio fondendosi con l’orografia del territorio ed insinuandosi come un fiume all’interno dell’area naturale (non casuale la scelta del nome: river, in inglese, vuol dire fiume).

L’edificio, dalle forme sinuose, ricorda un altro progetto di Seijima e Nishizawa ovvero il Serpentine Pavilion di Londra.  È caratterizzato da un design minimalista tipicamente giapponese, dai colori neutri e chiari come il bianco o il legno di rovere che riveste pavimenti ed arredi, si compone principalmente di pochi materiali: vetro, cemento, acciaio e legno, che si plasmano insieme generando uno spazio fluido ed accogliente.

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La copertura è il vero segno forte dell’intervento, con le sue curve richiama l’andamento di un fiume che scorre all’interno del parco seguendo il pendio e diventando un collegamento tra le diverse aree ed attività al coperto e le zone all’aperto. Diventa perciò un elemento continuo, fluido, ma sotto di essa si alternano passaggi coperti, che fungono quindi da filtro tra le aree a verde, e le diverse funzioni ospitate dal The river: un anfiteatro di circa 2000mq, uno spazio per la discussione e gli uffici della fondazione, spazi comuni come bar, ristorante, una sala conferenze interrata, una biblioteca, una palestra ed un padiglione polivalente per le attività multidisciplinari.  L’elemento centrale del progetto è dunque la copertura composta prevalentemente in legno, con travi lamellari di 30 metri che poggiano su pilastri di acciaio di circa 13 cm di diametro, in contrapposizione vi sono le chiusure verticali totalmente trasparenti e realizzate con grandi lastre di vetro curvo.

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Così mentre la copertura, che segna il territorio, sembra galleggiare ed essere sospesa per aria, il resto dell’edificio scompare sotto di essa, lasciando libera la visuale da una parta all’altra del parco e tra un’attività e l’altra. Non interrompe la continuità, bensì la favorisce e permette una perfetta connessione tra le aree a verde e le aree attrezzate.  La natura avvolge perciò gli spazi, ed è visibile da tutte le stanze, è un aspetto importante che ben rispecchia l’anima della vita a Grace Farms: un luogo di contatto con la natura e tra le persone della comunità, in cui è possibile giocare, fare sport o attività ricreative e coltivare gli orti comuni.

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Certificazione LEED ed accorgimenti bioclimatici

L’edificio vanta inoltre alcuni accorgimenti bioclimatici per il risparmio energetico che gli varrà la certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Oltre al sistema geotermico integrato composto da oltre 55 pozzi geotermici a 150 metri di profondità, l’intero edificio è progettato secondo criteri ecosostenibili per il minor consumo di energia e il riuso delle acque piovane. Il progetto del verde e del paesaggio è nato dalla collaborazione tra SANAA e lo studio OLIN che da sempre si occupa di architettura del paesaggio.

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I grattacieli di Zaha Hadid a Pechino

Tre “montagne intrecciate” dalle forme sinuose, morbide e fluide che ricordano tre elementi naturali, nel distretto di Wangjing a Pechino. Questa è l’interpretazione di colei che ormai è considerata la regina dell’architettura, sempre al centro dell’attenzione e vincitrice di numerosi premi per l’architettura sostenibile: Zaha Hadid.

Anche stavolta l’architetto iracheno è riuscita a trionfare ipnotizzando la giuria e aggiudicandosi il prestigioso premio “Emporis Skyscrapers Award 2014” con il suo progetto Wangjing SOHO, diventato ormai un punto di riferimento nel contesto urbano della città cinese.

CITY LIFE: IL QUARTIERE DI MILANO A ZERO EMISSIONI FIRMATO DALLE ARCHISTAR

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IL CONTESTO URBANO

Gli edifici multifunzionali di Zaha Hadid, completati ormai da un anno, sono alti rispettivamente 118, 127 e 200 metri, immersi in un grande parco pubblico di 60 mila metri quadrati che attira a sé la comunità locale. La fusione di verde e architettura caratterizza l’ambiente rendendolo armonioso e affascinante.

Tutto il complesso è situato a nord-est di Pechino, a circa dieci km dal centro, in un quartiere sorto a metà degli anni novanta a destinazione residenziale, trasformatosi poi in un grande polo tecnologico, sede di numerose aziende e società internazionali e uno dei centri più famosi per le start-up della capitale. Per questo motivo, nel distretto di Wangjiing con il passare degli anni, è aumentata sempre più la domanda di spazi per uffici flessibili e diversificati: da quelli di dimensioni molto ridotte a quelli più ampi per i gruppi di fama internazionale.

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Le aree esterne

La composizione dei volumi dei grattacieli e il disegno delle forme sinuose, favoriscono l’ingresso di luce naturale da ogni punto degli edifici, la cui visione cambia secondo l’angolo da cui si osservano; da certi punti le torri appaiono come unico insieme architettonico, da altri come corpi individuali. La scelta di realizzare tre torri a discapito di un unico volume su un’area di 560 mila mq totali, è stata sicuramente una scelta intelligente che ha permesso di alleggerire la massa architettonica all’interno del sito a forma di ventaglio, dando un carattere identitario al contesto locale in continua crescita.

Il particolare studio delle aree esterne stimola i dipendenti degli uffici e degli spazi commerciali a recarsi al lavoro in bicicletta o con un’auto elettrica. Sono infatti presenti numerosi parcheggi e colonnine per la ricarica, oltre a docce e spogliatoi per rinfrescarsi dopo la pedalata.

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LE CARATTERISTICHE SOSTENIBILI

Su ogni piano sono presenti serramenti apribili con sistemi in vetrocamera basso-emissivi per favorire la ventilazione naturale, quando necessario. Sulle facciate, fasce orizzontali aggettanti in alluminio proteggono dal soleggiamento mentre lo strato esterno isolante riduce il fabbisogno energetico per riscaldare e raffrescare gli ambienti. In un contesto climatico estremo come quello di Pechino (e in questi giorni le immagini che arrivano dai media sono molto eloquenti), per questo progetto sono stati studiati appositi sistemi per abbattere le emissioni, limitare l’uso di acqua potabile con dispositivi di riutilizzo e riciclo dell’acqua, ridurre i consumi energetici con sensori di controllo, impianti per l’erogazione di corrente a bassa intensità e recupero di calore dall’aria esausta. Sono stati inoltre installati refrigeratori, ventilatori, boiler e pompe ad alta efficienza facendo registrare in un anno la riduzione del 12,8% dei consumi energetici e un risparmio idrico del 42%.

Per gli interni la preferenza è andata su materiali a basso contenuto di composti organici volatili, eliminando così le fonti d’inquinamento negli ambienti con l’uso di filtri ad alta efficienza e permettendo un aumento di aria fresca per persona di circa il 30%.

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Il secondo gradino del podio dell’“Emporis Skyscrapers Award 2014” è andato all’architetto italiano Stefano Boeri con il suo Bosco Verticale realizzato a Milano, un progetto intenzionato a riportare verde e biodiversità in un contesto fortemente urbanizzato e povero di spazi verdi.

Al terzo posto il progetto per il grattacielo francese Tour D2 realizzato dall’Agence d’Architecture Anthony Béchu.

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Lighthouse See Hotel. Il concorso per riprogettare il faro di Murro di Porco

Il faro di Murro di Porco, nel siracusano, si erge solitario in un contesto ricco di storia e tradizione, in un paesaggio d’eccellenza pregno di istanze ambientali ed estetiche in cui, complice il tempo, ha perso la sua funzione. YAC (Young Architects Competitions), con la collaborazione di Agenzia del Demanio e grazie al sostegno di Sia Guest di Rimini Fiera, lancia il concorso “Lighthouse See Hotel” per la riprogettazione del faro siciliano da destinare a struttura ricettiva all’avanguardia.

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LE FINALITÀ DEL CONCORSO

Far rinascere l’antico Faro di Murro di Porco (Siracusa) ed inserirlo con il sito all’interno del circuito turistico regionale trasformandolo in una struttura turistico-alberghiera. Questo l’obiettivo del concorso “Lighthouse See Hotel” di YAC, che chiama a partecipare architetti, progettisti, studenti e designers per riprogettare la struttura di segnalazione e così salvarla dal progressivo degrado cui sarebbe destinata come altri edifici costieri.

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Immaginare un nuovo futuro per i fari abbandonati attraverso la tutela della lanterna e l’accostamento dell’architettura contemporanea ad un’emergenza storica, nuova porta verso il mare da cui accedere per partire alla scoperta del territorio. Ispirandosi alle numerose esperienze internazionali sul tema delle architetture costiere, i progettisti potranno misurarsi con un contesto maestoso e un ecosistema lussureggiante, concentrandosi sulle potenzialità ricettive dell’area siracusana. Rientra tra le scelte dei concorrenti la tipologia di struttura, energeticamente sostenibile, della vision progettuale: lighthouse resort, lighthouse landscape hotel, lighthouse sea center, lighthouse art hotel.

GIURIA E PREMI

La giuria di questa edizione è composta da Manuel Aires Mateus, architetto fondatore dell’omonimo studio, Fabrizio Barozzi dello studio Barozzi/Veiga, vincitore del premio dell’Unione Europea per l’Architettura contemporanea 2015 Mies van der Rohe Award,  Pierluigi Cervellati, architetto che ha contribuito a definire la disciplina del “Restauro Urbano”,  Alessandro Marata, presidente del Dipartimento Ambiente e Sostenibilità presso il Consiglio Nazionale degli Architetti e titolare dello studio Arkit, Bruno Messina, docente di Progettazione Architettonica alla facoltà di Architettura dell’Università di Catania, Matteo Agnoletto, associato in composizione architettonica presso la Facoltà di Architettura “Aldo Rossi” di Cesena (UniBo), Giancarlo Garozzo, Sindaco di Siracusa, Roberto Reggi, ingegnere Direttore dell’Agenzia del Demanio dal 2014.

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Al primo classificato sarà assegnato un premio di 8 mila euro; 4 mila al secondo, 2 mila euro al terzo. Sono inoltre previste 2 menzioni gold premiate con un rimborso spese di 500 euro e 10 menzioni d’onore non onerose ma ottenenti visibilità e pubblicità. Ai 30 finalisti sarà riservata la pubblicazione sul sito di Young Architects Competition.

Il concorso prevede la possibilità di registrarsi in tre momenti, con la registrazione “early bird” a 50 euro entro il 20 Dicembre, “standard” a 75 euro entro il 24 Gennaio. Dopo di allora la registrazione avrà un costo di 100 euro. La consegna degli elaborati è fissata al 29 Febbraio 2016.

Tutti i progetti premiati verranno pubblicati su siti Web e format di architettura e saranno esposti in eventi di architettura nazionali ed internazionali.

Per il bando ed ulteriori informazioni si rimanda al sito di YAC .

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Un progetto paesaggistico per Viale Lombardia a Monza

Il progetto di sistemazione paesaggistica di Viale Lombardia a Monza è stato occasione per intervenire su un’importante arteria stradale conferendole un nuovo significato: non più elemento di divisione tra parti di città, ma di ricucitura e unione tra quartieri. L’intervento commissionato da Salini Impregilo a Lande, società specializzata nel recupero e nella valorizzazione dei paesaggi naturali, urbani ed industriali, ha preso il via nel 2013 per inserirsi nel più vasto programma di connessione tra la S.S. 36 “dello Spluga” ed il sistema autostradale di Milano nei comuni di Monza e Cinisello Balsamo traducendosi, nel tratto che attraversa Monza, in un esercizio progettuale di riqualificazione dell’area contigua attraverso il verde.

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La nuova riconfigurazione di Viale Lombardia a Monza

Il progetto urbano di Lande, si è occupato di ridare dignità al percorso urbano senza cadere nel datato cliché che vuole ogni percorso carrabile trasformato in viale pedonalizzato costeggiato da un doppio filare di alberi. Interrata la viabilità primaria lungo un tratto di 2 km, restano 5 ettari di superficie destinata a parco lineare che incorniciano ad Est il tessuto urbano consolidato residenziale e commerciale, ad Ovest l’area di più recente sviluppo costituita da spazi più aperti e meno densamente edificati. 

Lungo questa imbastitura verde, la nuova configurazione di Viale Lombardia prevede una strada ad una corsia per senso di marcia, due corsie ciclabili, ampi marciapiedi e un’area pavimentata da destinare ad attività varie, separate da fasce di verde connettivo, verde di mitigazione e aiuole spartitraffico con più di 9750  graminacee ornamentali a dividere  il sedime ciclabile da quello stradale.

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Le aree verdi del progetto

Nel nuovo sistema urbano previsto da Lande, le aree verdi del progetto paesaggistico si ancorano all’esistente trama vegetale ad enfatizzare le emergenze urbane e i caratteri paesaggistici del territorio attraverso la piantumazione di alberi “a filare” (Celtis australis), e di arbusti e altre specie (oltre 10 mila) disposti “a siepi” o “a gruppo” (Cornus mas e Nandina domestica tra le altre), scelti secondo  le diverse configurazioni che queste essenze assumeranno nel tempo e prevedendo per ognuna di loro la giusta posizione. Ad esempio, la superficie che ricopre la galleria è occupata da un prato fiorito e da specie arbustive le cui radici ben si adattano agli spessori di terreno disponibile.

L’intervento di sistemazione, non ancora ultimato ma in evidente progresso, ha già riconsegnato l’arteria, ora più funzionale e sicura, alla comunità di Monza, integrandone funzioni e vivibilità con i luoghi urbani prima lasciati al margine.

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Un progetto paesaggistico per Viale Lombardia a Monza

Il progetto di sistemazione paesaggistica di Viale Lombardia a Monza è stato occasione per intervenire su un’importante arteria stradale conferendole un nuovo significato: non più elemento di divisione tra parti di città, ma di ricucitura e unione tra quartieri. L’intervento commissionato da Salini Impregilo a Lande, società specializzata nel recupero e nella valorizzazione dei paesaggi naturali, urbani ed industriali, ha preso il via nel 2013 per inserirsi nel più vasto programma di connessione tra la S.S. 36 “dello Spluga” ed il sistema autostradale di Milano nei comuni di Monza e Cinisello Balsamo traducendosi, nel tratto che attraversa Monza, in un esercizio progettuale di riqualificazione dell’area contigua attraverso il verde.

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La nuova riconfigurazione di Viale Lombardia a Monza

Il progetto urbano di Lande, si è occupato di ridare dignità al percorso urbano senza cadere nel datato cliché che vuole ogni percorso carrabile trasformato in viale pedonalizzato costeggiato da un doppio filare di alberi. Interrata la viabilità primaria lungo un tratto di 2 km, restano 5 ettari di superficie destinata a parco lineare che incorniciano ad Est il tessuto urbano consolidato residenziale e commerciale, ad Ovest l’area di più recente sviluppo costituita da spazi più aperti e meno densamente edificati. 

Lungo questa imbastitura verde, la nuova configurazione di Viale Lombardia prevede una strada ad una corsia per senso di marcia, due corsie ciclabili, ampi marciapiedi e un’area pavimentata da destinare ad attività varie, separate da fasce di verde connettivo, verde di mitigazione e aiuole spartitraffico con più di 9750  graminacee ornamentali a dividere  il sedime ciclabile da quello stradale.

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Le aree verdi del progetto

Nel nuovo sistema urbano previsto da Lande, le aree verdi del progetto paesaggistico si ancorano all’esistente trama vegetale ad enfatizzare le emergenze urbane e i caratteri paesaggistici del territorio attraverso la piantumazione di alberi “a filare” (Celtis australis), e di arbusti e altre specie (oltre 10 mila) disposti “a siepi” o “a gruppo” (Cornus mas e Nandina domestica tra le altre), scelti secondo  le diverse configurazioni che queste essenze assumeranno nel tempo e prevedendo per ognuna di loro la giusta posizione. Ad esempio, la superficie che ricopre la galleria è occupata da un prato fiorito e da specie arbustive le cui radici ben si adattano agli spessori di terreno disponibile.

L’intervento di sistemazione, non ancora ultimato ma in evidente progresso, ha già riconsegnato l’arteria, ora più funzionale e sicura, alla comunità di Monza, integrandone funzioni e vivibilità con i luoghi urbani prima lasciati al margine.

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